Per concessione dell'autore della rubrica, pubblichiamo il suo articolo uscito sul "Corriere della Sera" del 31 agosto
Per capire meglio com’è andata in Afghanistan e perché un esito diverso, anche solo parzialmente democratico, non sarebbe stato possibile, è utile ricordare alcune conclusioni raggiunte dai numerosi studi sui processi di democratizzazione degli ultimi cinquanta anni.
Un problema dibattuto in passato è stato quello della possibilità di esportare la democrazia: se la democrazia è un prodotto della cultura occidentale, come può radicarsi in culture diverse? Ma già almeno dai primi anni novanta del secolo scorso, è stato mostrato come si trattasse di un falso problema.
Limitandoci agli studiosi più noti, da una parte, Amartya Sen aveva sottolineato come i valori democratici siano universali e la democrazia sia il solo regime che permetta di evitare una carestia e, dall’altra, Giovanni Sartori aveva ricordato come la garanzia dei diritti civili eviti ai cittadini le sofferenze che un potere non controllato può infliggere ovvero, in breve, la liberal-democrazia con le sue regole ha un effetto di demo-protezione.
Il Corriere (21 agosto) ha riportato l’analisi di Sartori, maturata in quegli anni, nella sintesi di Marco Valbruzzi. E Cassese ancora sul Corriere (23 agosto) ha anche mostrato molto bene e con precisione come ormai sia riconosciuto anche giuridicamente “il diritto dei popoli alla democrazia”. A questo si può aggiungere come le stesse donne e uomini in diverse parti del mondo abbiano capito e condiviso queste conclusioni anche per esperienza diretta. Se si conosce l’esistenza di un’alternativa, nessuno può scegliere di morire di fame ovvero di vivere nella paura di essere violentati, abusati in modi diversi, messi in galera o, peggio, uccisi. Dunque, pur in modi diversi, specie dai primi anni Novanta ad oggi (in poco più di trenta anni circa) la democrazia è stata legittimata nel mondo.
Allora perché una democratizzazione in Afghanistan era impossibile? Proprio le vicende di diversi paesi in questi anni hanno evidenziato che a fronte di un’ampia accettazione del regime democratico, sono emersi alcuni ostacoli che se esistono ne impediscono la realizzazione effettiva. Dunque, la domanda non è sull’esportabilità della democrazia, ma sull’efficacia degli ostacoli alla democratizzazione emersi in diversi paesi e documentati dalla ricerca, e semmai come quegli ostacoli potrebbero essere superati o almeno attenuati.
Semplificando un quadro più complesso, gli ostacoli emersi sono stati soprattutto tre: la diffusione dell’islamismo, la stabilità di forti identificazioni etniche, la presenza – talora dominante – del narco-traffico.
Solo in Tunisia con una soluzione costituzionale di compromesso si è riuscita a a garantire i diritti civili dei cittadini separandola dagli impedimenti che sorgevano con un’applicazione più letterale della sharia. In Indonesia, la frammentazione dell’islamismo ha assicurato una soluzione politica quasi democratica. Ma, in generale, una religione totalizzante come l’islamica non ha consentito la garanzia effettiva di diritti e libertà per donne e uomini, anche quando quella religione è stata strumentalizzata, come sembra stia facendo Erdoğan in Turchia, il cui regime è ormai un quasi-autoritarismo.
Anche le identificazioni etniche, che mettono in primo piano la comunità rispetto all’individuo e ai suoi diritti e impediscono di trovare soluzioni di tolleranza e compromesso per fare convivere etnie diverse, hanno ostacolato l’instaurazione della democrazia, ad esempio in alcuni paesi africani. Infine, se vi è la presenza di organizzazioni criminali, la loro capacità corruttiva delle istituzioni statali e di controllo del territorio toglie qualsiasi speranza anche a quei paesi i cui cittadini sono in stragrande maggioranza favorevoli alla democrazia, magari avendo vissuto per anni in quel tipo di regime. Basti pensare alla drammaticità della situazione venezuelana.
Se ci riflettiamo, in Afghanistan sono presenti in maniera accentuata tutti e tre questi ostacoli. I talebani sono sostenitori di un islamismo radicale. Il paese è diviso in diverse etnie. Come è noto, l’Afghanistan produce il 90% dell’eroina venduta nel resto del mondo.
Di tutto questo Biden, Blinken e i numerosi loro consulenti erano al corrente. E, infatti, qualche giorno fa Biden ha cambiato versione affermando che l’invasione dell’Afghanistan aveva il solo obiettivo di eliminare uno stato che proteggeva il terrorismo, tornando così alle prime dichiarazioni di Bush nel 2001, ma non a quelle degli anni seguenti in cui era emerso l’obiettivo della democratizzazione del paese. In breve, erano tutti ben consapevoli che si stava giocando una partita che non si poteva vincere e che bisognava solo abbandonarla al più presto.