approfondimenti/diritto
Sul divieto di pattuizione di interessi su interessi

Per i finanziamenti con ammortamento a rata costante (alla francese), oltre alle criticità in tema di anatocismo, per scongiurare ogni effetto sorpresa ex art. 1195 c.c., collegato all’impiego del regime composto nella definizione della rata e del connesso piano di ammortamento, si impone un rigoroso rispetto delle prescrizioni di trasparenza fissate dall’art. 117 TUB.

Roberto Marcelli
roberto-marcelli

Con le modifiche introdotte all’art. 120 TUB, prima dalla legge n. 147/13 e successivamente dalla legge n. 49/16, sono state rimosse le deroghe che per lungo tempo hanno consentito l’impiego del tasso composto nei finanziamenti, ripristinando il divieto di pattuizione di interessi su interessi, precedentemente consentito dalla Delibera CICR 9/2/00. Per i finanziamenti con ammortamento a rata costante (alla francese), oltre alle criticità in tema di anatocismo, per scongiurare ogni effetto sorpresa ex art. 1195 c.c., collegato all’impiego del regime composto nella definizione della rata e del connesso piano di ammortamento, si impone un rigoroso rispetto delle prescrizioni di trasparenza fissate dall’art. 117 TUB.

La dizione ‘ammortamento alla francese’, nel significato correntemente impiegato, nulla dice del regime finanziario che governa il piano di rientro, né tanto meno indica univocamente il criterio di imputazione adottato. Come in matematica, anche in diritto, non è affatto prescritto che gli interessi pagati nella rata debbano essere calcolati sull’intero debito residuo.

Anche nel rispetto del principio che ‘il pagamento fatto in conto capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi’ (art. 1194, 2° comma c.c.) possono darsi modalità diverse – tutte legittime – di comporre la rata in quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi allo stesso attribuiti. Anzi, al contrario, in assenza di un consapevole assenso del mutuatario, il pagamento delle rate, in un rigoroso rispetto del principio che sottende l’art. 1194 c.c., non può che essere rivolto esclusivamente alla quota capitale in scadenza e agli interessi semplici resi liquidi ed esigibili con essa.

Poiché l’ammortamento alla francese, o a rata costante, come ordinariamente inteso, può essere sviluppato sia in regime semplice che composto, tale aspetto viene a costituire un elemento qualificante le condizioni contrattuali. L’impiego della capitalizzazione composta, che sostanzialmente deroga dal principio di proporzionalità richiamato dall’art. 821 c.c., nell’assetto negoziale diffusamente impiegato nelle operazioni di finanziamento con ammortamento alla francese (o a rata costante), rimane, di fatto, ignoto al mutuatario.

Dal valore della rata riportato in contratto e dai valori numerici che vengono prospettati in allegato, non può trarsi alcuna adesione e consenso ai criteri impiegati per pervenire a tali valori: al mutuatario rimane ignota la presenza stessa delle scelte effettuate, nella convinzione che risultino informate al criterio di proporzionalità e univocamente determinate dalla scienza finanziaria, una volta definiti i termini riportati nell’enunciato del contratto.

Le criticità risultano oltremodo accentuate in assenza dell’allegato piano di ammortamento: quest’ultimo è previsto dalle disposizioni della Banca d’Italia solo per i mutui a tasso fisso; per altro, in applicazione delle ‘Informazioni europee di base sul credito ai consumatori’ (IEBCC), non è previsto per i finanziamenti del credito al consumo.

L’anticipato pagamento degli interessi maturati, rispetto alla scadenza del capitale di riferimento, intanto è consentito dall’ordinamento, in quanto evita l’ascesa esponenziale degli interessi tipica dell’anatocismo. Per evitare nell’ammortamento a rata costante (alla francese) la convenzione anatocistica, l’intermediario deve necessariamente prevedere in contratto una rata determinata in capitalizzazione semplice e convenire, eventualmente, il sistema di calcolo degli interessi riferito al debito residuo, anziché alla quota capitale in scadenza. Solo in tal modo viene rispettata la libera determinazione delle parti nella periodicità e nel calcolo degli interessi, senza per questo impiegare alcuna convenzione anatocistica, né per il calcolo della rata, né per quello degli interessi. 

Per contratti di adesione, predisposti dall’intermediario, l’indeterminatezza contrattuale attiene ai criteri di determinazione della spettanza inclusa nella rata e, distintamente, alle imputazioni a capitale e ad interessi relative alla debenza. Tali indeterminatezze trascinano con sé il vizio del consenso e, per i risvolti penalizzanti che si riversano sul mutuatario, inducono un imprescindibile effetto sorpresa ex art. 1195 c.c. 

Con una labile adesione e irraggiungibile consapevolezza risulta arbitrario impiegare i criteri di imputazione dell’art. 1194 c.c. informandoli ad una convenzione formalmente inespressa, che orienta, alle distinte scadenze, i pagamenti delle rate prioritariamente al pagamento di tutti gli interessi maturati, a prescindere dall’esigibilità o meno del capitale di riferimento: nella circostanza appare consequenziale l’applicazione del principio dell’art. 1194 c.c. esclusivamente al capitale liquido ed esigibile (quota capitale) ex art. 1282 c.c. 

Una recente pronuncia della Cassazione (Pres. De Chiara, Rel. Fidanza, n. 9141 del 19 maggio 2020), seppur nell’ambito di un rapporto di conto corrente, ribadisce un  principio che appare confortare le perplessità sopra esposte: ‘Non vi è dubbio che il debito di interessi, quale accessorio, debba seguire il regime del debito principale, salvo una diversa pattuizione tra le parti che dovrebbe, tuttavia, specificare una modalità di calcolo degli interessi (intrafido) idonea a scongiurare in radice il meccanismo dell’anatocismo’.