In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Il PNRR visto da vicino

La lettura del PNRR rivela due aspetti critici: mancano interventi sul lato dei costi e delle spese del bilancio pubblico; c'è scarsa attenzione sui possibili rischi che le banche commerciali correranno al termine delle moratorie e delle garanzie statali introdotte con la pandemia. In previsione di possibili futuri oneri per le finanze pubbliche, ecco un consiglio sulle prossime emissioni

Giuseppe Guglielmo Santorsola
santorsola

Il PNRR è stato approvato dal Parlamento italiano ed è stato condiviso in alcuni punti chiave con la Commissione Europea. I tempi sono stati rispettati e sono quindi possibili analisi del documento prima della attivazione e, soprattutto, della disponibilità delle risorse finanziarie assegnate, con una scansione temporale da definire.

Restano, come è ovvio, valutazioni non sempre condivise e lamentele da parte di soggetti, settori e stakeholders che non si ritengono soddisfatti dal dettato finale del documento. Si aggiungono le valutazioni comparative con il documento precedente, di fatto abbandonato. Dedicare attenzione a questo è peraltro poco utile e non viene analizzato perché contemplerebbe valutazioni estranee alle mie competenze. La profondità delle analisi è palesemente diversa e la completezza del progetto non richiede ulteriori considerazioni. E’ sufficiente sottolineare che osservatori stranieri, solitamente critici, hanno mutato il loro atteggiamento. Tutto ciò non può però significare, a priori, un giudizio positivo circa gli effetti pratici che verranno a determinarsi.

A monte, e fuori dalle competenze specificatamente italiane, resta la capacità della UE di dotarsi in tempi non lunghi delle risorse necessarie per garantire la partenza dei progetti (il RRF). Come è noto si tratta di raccogliere almeno 750mld€ in un mercato finanziario dove altri attori sono alla ricerca di capitali, in uno scenario dove la struttura dei tassi di interesse non è in grado di indirizzare da sola la selezione delle preferenze degli investitori. La domanda di fondi si disegna attorno al tasso di interesse zero e deve essere analizzata in base ad altri fattori, non convenzionali rispetto alla prassi.

È importante tuttavia sottolineare come la scelta unitaria della UE elimina una pericolosa concorrenza interna tra i Paesi membri. Resta il dubbio in merito alla capacità di investitori istituzionali globali di disporre di risorse da impiegare rispetto alla consuetudine degli anni passati.

I TEMI DEL PIANO

I temi principali oggetto della struttura del piano riguardano:

  • la governance dell’intero processo ripartita fra le funzioni di valutazione e di controllo senza eccessivo accentramento e sotto la supervisione del MEF;
  • la scelta di digitalizzazione diffusa a tutti i livelli;
  • la scelta di privilegiare la semplificazione delle procedure, storico freno per l’attuazione delle necessarie riforme;
  • la scuola e la formazione nei suoi differenti livelli;
  • la riforma della P.A. e della giustizia (più civile che penale) con scelte ampie di digitalizzazione;
  • la decisione di ricorrere a “normative speciali” per accelerare le procedure autorizzative, anche in occasioni ed eventi particolari e aree critiche di intervento, legate a settori chiave quali la cultura e il turismo;
  • la scelta, ultimamente più disattesa, di privilegiare la concorrenza, soprattutto in settori critici quali le scelte sostenibili, l’assegnazione di appalti e la soluzione in merito all’esistenza di barriere; 
  • un importante destinazione di risorse (6,25mld€) verso la ricerca, elemento essenziale per il futuro e leva creatrice di risorse autonome nell’auspicato caso di successo dei risultati;
  • la scelta di destinare risorse per il turismo quale industria chiave per ricostituire fondamentali flussi finanziari per sostenere l’economia interna;
  • la necessaria scelta di destinare, auspicabilmente solo nel breve periodo, le risorse necessarie per gestire l’uscita dalla pandemia.

In termini quantitativi, la distribuzione delle risorse è quella riportata nella tabella predisposta nel testo del PNRR, con il supporto del fondo complementare al RRF (il fondo europeo).

Fonte: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza-Next Generation Italia, Presidenza del Consiglio

LE CRITICITA’

La predisposizione del PNRR deve essere esaminata in congiunzione con la presentazione del Documento di economia e finanza (DEF). In tal modo si può commentare la strategia economica del governo. I commenti in merito, anche a livello internazionale, sono in genere positivi, fattore inusuale nella consuetudine degli ultimi anni e sono letti come una discontinuità che favorisce l’ipotesi di accoglimento da parte della UE e di consenso da parte dei mercati finanziari.

Due aspetti che potrebbero definire un sentiment diverso da quello che ha caratterizzato la posizione italiana negli ultimi anni (non pochi in verità). Puntualità e completezza sono i due profili, uno formale e l’altro più sostanziale. Un altro aiuto è rinvenibile nel confronto con la forma e la sostanza della prima versione (senza ipotizzare per questo un giudizio troppo politico in merito, che non compete a questa nota). 

In uno spettro più ampio rispetto a un passato precedente l’evento pandemico, si deve considerare l’eccezionalità di un’ampia disponibilità di risorse che può essere confrontata in termini reali con quella disponibile a partire dal 1948 per la ricostruzione post-bellica. È auspicabile la ripetizione dello scenario che determinò i risultati del periodo successivo in quella occasione, in termini di volontà e di ampiezza del cambiamento. Ciò di cui necessitava il Paese e che non trovava né piena disponibilità, né risorse fino al 2019.

Resta da valutare, più che quanto dettagliato nel documento ed ampiamente già commentato, quali siano i possibili punti deboli o aree critiche. Tralascio anche in questo caso considerazioni di parte e concentro l’attenzione su due profili:

  • a limitatezza o assenza di interventi sul lato dei costi e delle spese relative al bilancio pubblico;
  • la contenuta attenzione verso il sistema finanziario ed in particolare verso le banche commerciali, quelle possibilmente più in tensione in un periodo nel quale il disegno dell’equilibrio di alcuni importanti settori economici potrebbe ingessare quote importanti dei loro attivi.

Riguardo al primo tema, si tratta di un’occasione “persa” in merito a una variabile che pesa per oltre 900mld€ all’anno e circa il 60% del PIL attuale. Certamente, le nuove spese per infrastrutture e ristrutturazioni in campo sanitario e dell’istruzione avverranno senza incidere su nuove spese; altrettanto sollievo potrebbe derivare dalle scelte di semplificazione, digitalizzazione e revisione della disciplina degli appalti.

Tuttavia, l’onere delle spese correnti, così non incrementato, non viene ridotto e si ripresenterà critico quando si esaurirà l’effetto delle risorse esterne (a partire quindi dal 2028). Rilevo un ulteriore rischio di sovrapposizione e crescita dei costi quando si sovrapporranno in futuro i costi relativi al capitale pubblico fisico e quelli connessi all’indilazionabile aggiornamento del capitale digitale attivato con la leva del RRF.

In altri termini, senza ulteriori interventi nei prossimi anni, resterà il vincolo di un debito pubblico la cui copertura richiede un PIL che equivale a circa 20 mesi di attività economica, ridotto in futuro certamente nella percentuale, ma non nell’ammontare. Inoltre, la struttura demografica e il longevity risk impongono una crescita strutturale futura delle spese previdenziali e sanitarie. Sarà complesso trovare consenso per una futura riduzione, quando le condizioni economiche riprendessero ad essere espansive.

In merito al problema relativo alle banche, naturale tema della mia attenzione, si addensano due rischi: uno comunitario, legato al permanere o alla pura sospensione dei vincoli patrimoniali e di compliance di cui alla CRD V-CRR II, e l’altro legato al temuto termine delle moratorie e delle garanzie statali introdotto nell’ultimo anno. Sussiste, inoltre, una quota di “disordine” del sistema che coinvolge tutte le banche nel terreno degli NPL e qualche banca, anche non minore, per la loro stabilità complessiva.

La gestione di questi problemi comporterebbe inevitabilmente l’utilizzo di altre risorse pubbliche e, quindi, impatterebbe sul debito. Qualche previsione esplicita nel PNRR in merito alla gestione del debito “pandemico” avrebbe potuto semplificare il quadro futuro ed evitarne la gestione quando il clima finanziario sarà meno accomodante. 

Sintetizzo, infine, i due profili critici ragionando sui tassi d’interesse. Quando si innalzassero, le banche troverebbero sollievo nei propri conti economici, i loro clienti-imprese pagherebbero più care proprie strutture finanziarie troppo indebitate e il debito pubblico soffrirebbe di un costo superiore di circa 13mld€ (a medio termine e non immediatamente) per ogni mezzo punto di incremento. 

Emettere abbondantemente in questo periodo e su tempi lunghi appare una scelta lungimirante per attutire gli effetti qui commentati, complementare al PNRR e utile monitoraggio del consenso ora formalmente raccolto.