approfondimenti/diritto
Appello senza fine

Due intermediari sanzionati dalla Consob. Il ricorso, respinto, davanti al Tribunale amministrativo regionale. Fino alla richiesta di pronuncia del Consiglio di Stato. Con l’auspicio che presto la questione si risolva una volta per tutte.

Fabiano De Santis

Il Consiglio di Stato, con decreto cautelare del 2 dicembre scorso, ha sospeso gli effetti della sentenza del Tar del Lazio del 27 novembre 2014, con la quale il Tribunale Amministrativo aveva respinto il ricorso presentato da Banca Profilo e dalla controllante Arepo Bp di Matteo Arpe; con ciò ponendo un proprio veto giudiziario sulla necessità di adeguare il procedimento sanzionatorio della Consob per i casi penalmente rilevanti.

La prossima udienza dinanzi al Consiglio di Stato è fissata per il 13 gennaio 2015.

Questi i fatti: il procedimento sanzionatorio trae origine dagli acquisti di azioni Banca Profilo effettuati dalle due società tra il giugno del 2011 e il maggio del 2013; tali acquisti, peraltro tempestivamente comunicati a Bankitalia e Consob, avrebbero avuto l’effetto di sostenere artificialmente il prezzo del titolo, in maniera da integrare un’ipotesi di manipolazione del mercato.

I Ricorrenti, Banca Profilo ed Arepo Bp, avevano chiesto al Tar Lazio l’annullamento del procedimento avviato nei loro confronti per il mancato adeguamento ai principi del giusto processo dell’iter sanzionatorio scadenzato dal Regolamento dell’Autorità di vigilanza.

Il Ricorso si imperniava su quella stessa violazione del diritto al giusto processo, che fu motivo della censura mossa ai regolamenti dell’Authority di vigilanza, nella primavera scorsa, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per il doppio processo a cui furono sottoposti Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti per l’equity swap Ifil-Exor.

Occorre considerare che la pronuncia della Cedu n. 18640 del 4 marzo 2014, era stata già efficacemente recepita e richiamata dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato che, con l’ordinanza n. 4491, il 2 ottobre scorso (Ric. n. 4491/2014, n. 07566/2014 Reg. Ric.), aveva accolto il ricorso con il quale Banca Profilo aveva impugnato l’ordinanza del Tar Lazio (sezione seconda) n. 4009/2014 del 4 settembre 2014, in quanto negatoria della domandata sospensiva degli effetti di alcuni regolamenti della Consob, ritenuti, dalla Ricorrente, contrari alla Convenzione.

In realtà la riformata pronuncia del Tar Lazio rimase, in quell’occasione, strettamente legata al presunto mancato raggiungimento della prova in ordine all’imminente e irreparabile pregiudizio per i Ricorrenti; presupposto ineludibile per la concessione del provvedimento sospensivo che non fu concesso proprio perché il Collegio non ritenne che la Consob avesse adottato provvedimenti lesivi della sfera giuridica (e personale) degli istanti.

Di qui il ricorso al Consiglio di Stato che, fondando il proprio giudizio sulle statuizioni della sentenza Cedu, diede ragione alla Ricorrente ritenendo gli atti regolamentari adottati dalla Consob in contrasto con la sentenza della Corte Europea per contrarietà di alcuni di essi all’articolo 6 della Convenzione, norma che garantisce il diritto all’equo processo, non realizzabile nel procedimento sanzionatorio anche a causa del mancato rispetto del contraddittorio e della mancanza di pubblicità del procedimento.

Testualmente il Consiglio di Stato afferma che: “i regolamenti, per non violare la sentenza internazionale, devono essere modificati tanto più che la difformità rispetto alla Convenzione europea reca in sé un chiaro pregiudizio. A ciò si aggiunga che sussiste un obbligo di adeguamento alle sentenze Cedu come ha precisato anche la Corte costituzione nella pronuncia n. 113 del 7 aprile 2011”.

Badando ai contenuti della sentenza del Tribunale Amministrativo del 27 novembre u.s. (sentenza

n. 11886/2014), risulta chiaro che sia in atto un corto circuito giudiziario, che potrà essere, ci si augura non solo temporaneamente, risolto da una nuova pronuncia del Consiglio di Stato.

Risulta evidente il contrasto tra le posizioni assunte dai due Organi di Giustizia Amministrativa, anche solo partendo dalla opposta lettura che i due Collegi forniscono della medesima sentenza Cedu. Mentre il Tar Lazio arriva a sostenere che: “non sussista affatto «l’obbligo della Consob di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza Cedu su menzionata», in quanto da un’attenta lettura di tutti passaggi della motivazione dalla sentenza n. 18640 del 2014 si desume chiaramente che il sistema di irrogazione e impugnazione  delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187-ter del Tuf ha superato indenne lo scrutinio operato dalla Corte Europea dei diritti umani“, il Consiglio di Stato depone per la necessaria osservanza dell’obbligo di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni “penali” alla sentenza Cedu su menzionata .

Per il Tribunale Amministrativo è “evidente” che il ragionamento della Corte di Strasburgo vedesse nel “procedimento amministrativo” per applicare le sanzioni sugli abusi di mercato “una prima fase, affidata alla Consob, di un procedimento unitario, seguita da due successive fasi di natura giurisdizionale, rappresentate dal giudizio di opposizione (presso la corte di Appello, ndr) e dal giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, nell’ambito delle quali la  decisione amministrativa della Consob viene sottoposta al controllo di organi giurisdizionali”. “Sicché – viene sottolineato – per valutare se vi sia stata o meno una lesione del diritto al giusto processo si dovrebbe considerare il procedimento nel suo complesso e non le sue singole fasi”.

In definitiva, fino ad ora il Tar Lazio non ha potuto non riconoscere, nel procedimento sanzionatorio Consob, l’assenza di quelle caratteristiche di imparzialità e di indipendenza tipiche degli organi giurisdizionali, ma alla possibilità di impugnare le decisioni dell’Authority dinanzi agli organi giurisdizionali, ha assegnato una funzione “riequilibratrice” e salvifica, rispetto ad un iter procedimentale che, seppur riconosciuto lontano da quel che si definisce un “processo” (nell’accezione più garantistica del termine), viene ritenuto indenne da censure poiché incastonato in un più ampio sistema da poter valutare (positivamente) nel suo complesso.

In realtà, malgrado l’articolata ricostruzione del Tar Lazio, permangono davvero pochi dubbi sul fatto che la richiamata sentenza Cedu ponga censure profonde proprio sull’iter procedimentale che si consuma dinanzi alla Commissione di Vigilanza.

Il monito della Cedu è stato chiaro ed inequivocabile: la tutela delle ragioni collettive affidate all’Authority, non può prescindere dal riconoscimento di garanzie difensive da accordare ai sottoposti ad indagine nel corso del procedimento sanzionatorio; atteso che le sanzioni comminate dalla Consob, ai sensi dell’art. 187-ter del Tuf, travalicano, e di gran lunga, la dimensione meramente amministrativa, denotando invece una componente repressiva tipica della sanzione penale.

Condividi questo articolo