approfondimenti/politica economica
“Non ti scordar di me”: il vero problema rimane il fardello del debito

Gli interventi di politica economica moderatamente espansivi messi in atto nel 2015 hanno segnato il ritorno ad un favorevole contesto macroeconomico. Tuttavia, al di là dell’entusiasmo che ha rianimato la fiducia di imprese e consumatori e della rinnovata vitalità con cui gli investitori esteri sono tornati a guardare all’Italia, il paese permane in una situazione di pericolosa fragilità finanziaria dovuta al pesante livello di indebitamento. Sebbene la “crisi da debito” sia alle spalle, occorre agire a fianco della BCE con un aggiustamento fiscale determinato e duraturo.

Giorgio Di Giorgio
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Il 2015 si è aperto bene, con l’avvio, seppur tardivo, del Quantitative easing anche nell’Eurozona. I benefici non si sono fatti attendere.Una consistente riduzione dei tassi di interesse, già a livelli eccezionalmente bassi, sui mercati bancari e su tutte le scadenze dei debiti pubblici, una ulteriore diminuzione degli spread sui titoli dei paesi periferici e un salutare deprezzamento del cambio dell’euro. Se al quadro aggiungiamo la buona notizia di un prezzo del petrolio molto conveniente, e il ritorno alla neutralità delle politiche fiscali, ispirate all’austerity all’indomani della crisi dei debiti sovrani, non sorprende che il contesto macroeconomico sia tornato favorevole.

La fiducia di imprese e consumatori ha iniziato gradualmente a riprendere spessore, con essa gli ordini e le transazioni. Finalmente, anche nell’Eurozona, si è attivata una moderata ripresa economica, e i tassi di disoccupazione hanno invertito la rotta e iniziato a ridursi, pur collocandosi ancora abbondantemente al di sopra delle medie di lungo periodo.

In questo contesto, anche per l’effetto del combinato disposto del completamento delle riforme avviate dalle amministrazioni Monti e Letta e di nuovi forti impulsi da parte del Governo Renzi, anche l’Italia ha ripreso un percorso di crescita, iniziando ad uscire, faticosamente, da una stagnazione lunga e dolorosa, che ha purtroppo avuto effetti devastanti sul tessuto sociale oltre che economico ed istituzionale del paese.

La recente manovra di politica economica e finanziaria si caratterizza per una impostazione moderatamente espansiva, e contiene interventi apprezzabili, in termini sia di saldi che di valori assoluti per la finanza pubblica del paese. Entrando nel dettaglio delle singole misure, la valutazione è meno ovvia. Se aver evitato un ulteriore aumento delle imposte indirette all’alba di una ripresa economica va senza dubbio nella giusta direzione, l’abolizione delle tasse sulla (quasi) totalità delle prime abitazioni è onestamente meno comprensibile, essendo già stata di molto ridotta dal Governo Letta, e poteva forse essere sostituita da un intervento (pure annunciato, ma per il futuro) sulle imposte dirette a carico di imprese e persone fisiche. Allo stesso modo, non si comprende bene l’elevazione a 3000 euro della soglia di utilizzo legalizzato del contante, ma soprattutto in quanto non viene spiegato come tale soglia è stata determinata (perché non 2000 o 4000?). E’ chiaro che non è con una soglia che si elimina l’evasione fiscale, tuttavia sembra oggi difficile accettare l’idea che cittadini onesti e trasparenti effettuino regolarmente pagamenti in contante di importi superiori a poche centinaia di euro, senza utilizzare invece le diverse moderne e più sicure tecnologie di pagamento. E, se anche ne avessero l’abitudine, varrebbe la pena di impegnarsi per educarli a comportamenti diversi.

All’interno di una manovra articolata, quello che colpisce è la riluttanza che emerge nel ridurre le rendite politiche e degli apparati locali, rinviando (ancora) una revisione della spesa che incida significativamente sulla spesa corrente delle amministrazioni pubbliche e soprattutto delle partecipate degli enti locali, e che inizi invece a rimettere risorse su investimenti pubblici in infrastrutture utili e produttive, materiali e immateriali. Se non si riduce il peso del settore pubblico (oltre il 50%!!!) sull’economia del paese, e della spesa corrente in particolare, ogni tentativo di riduzione (necessario) delle tasse (per chi le paga) e in prospettiva del peso del debito pubblico sul PIL è destinato purtroppo ad essere vanificato facilmente al presentarsi di un nuovo shock esogeno negativo; purtroppo, come già la volatilità estiva ha mostrato, questa eventualità non si può escludere.

Al di là dei miglioramenti visibili e incoraggianti prodotti nel paese dalle recenti riforme strutturali e dalla fiducia che l’ottimismo e il dinamismo del premier infondono, anche agli investitori esteri, che tornano a guardare con interesse all’Italia, il nostro paese rimane gravato da un fardello pesante. Il rapporto debito / Pil, al 135%, rappresenta un pericoloso elemento di fragilità finanziaria. E’ vero che oggi all’orizzonte non c’è un aumento dei tassi nell’Eurozona, ma per quanto tempo? E’ vero che abbiamo degli ottimi gestori del nostro debito (per necessità), ma quanto spazio delle future manovre sarebbe “mangiato” da un sensibile aumento dei tassi su tutta la curva, dato lo stock del nostro debito e la necessità di rifinanziare annualmente tra il 20 e il 30% dello stesso? Non siamo più, per fortuna, in una “crisi da debito”. Ma sarebbe il caso di non dimenticare un passato recente che ci ha fatto tremare. E di lavorare da subito, con il cesello se non con la scure, per agire a fianco della BCE con un aggiustamento fiscale determinato e duraturo. Questo richiede la chiusura di società pubbliche e la creazione di nuovi spazi (regolati) per il mercato, l’alienazione senza svendita del patrimonio immobiliare pubblico e nuove privatizzazioni, finalizzando il tutto esclusivamente al rimborso del debito; ancora, la ricerca ossessiva di risparmi possibili nella spesa pubblica e la sua riqualificazione in senso produttivo.Il ritorno alla crescita economica e al perseguimento dell’obiettivo di inflazione del 2% da parte della BCE sono fattori imprescindibili, cosi come, in prospettiva, la mutualizzazione di almeno parte dei debiti pubblici in una Unione fiscale Europea che diventi un ulteriore tassello a medio termine verso il traguardo più ambizioso e di lungo periodo di una Unione politica.

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