Austerity addio. Le promesse della campagna elettorale sono contrassegnate da una voglia pazza di chiudersi dietro le spalle l’epoca del rigore: ridurre la pressione fiscale con la flat tax, rivedere la legge Fornero, istituire il reddito di cittadinanza, tagliare le tasse universitarie, sono tutti modi per sciogliere le briglie alla spesa pubblica. L’idea di fondo che prende piede è che dare stimoli all’economia non sia a fondo perduto, ma “ritorni” indietro in termini di maggior reddito, maggiori consumi, maggiori introiti fiscali. Sulla bella illusione di dare addio al rigore, di spogliare il paese del corsetto della disciplina di bilancio che l’Europa dell’euro gli ha imposto a causa del debito pubblico mostre (peraltro con molte deroghe) i politici possono anche far finta di crederci e gli elettori cullarsi beati. Ma gli economisti? Che ne pensano gli economisti? In realtà la categoria, a parte coloro che hanno messo al servizio della politica la loro professione, resta piuttosto silente.
È stata quindi una bella eccezione il dibattito promosso dalla rivista Economia Italiana proprio sul tema in questione. “La disciplina di bilancio può essere controproducente?” si è chiesto maliziosamente il paper firmato da Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli per l’ultimo numero della rivista fondata da Mario Arcelli, quasi a voler dare spazio ai critici dell’austerità in nome di una visione “keynesiana”. In realtà la risposta di Codogno e Galli è che alla riduzione del debito non si può derogare, ma solo contemplare possibili eccezioni in casi di recessione molto profonda, e per periodi di tempo limitati.
Visto che il paper si può leggere integralmente su EI, Fchub ha pensato di rendere un servizio ai suoi lettori dando conto delle opinioni di altri partecipanti. Abbiamo chiesto a Enrico Giovannini, Paolo Guerrieri, Gustavo Piga e Pietro Reichlin il loro pensiero. Ecco le interviste.