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Gli OICR di Credito e l’ennesima revisione del TUF: un codice in perenne mutazione

Il Legislatore ha di nuovo messo mano al Testo Unico della Finanza, un articolato ormai in perpetua mutazione. Questa volta, però, il risultato sembra in linea con le aspettative degli operatori e apporta chiarimenti sostanziali per favorire l’afflusso di risorse – in forma di capitale di debito – verso il nostro Paese. Una riforma che sembra andare nella direzione più opportuna, nonostante scelte sistematiche che appaiono non sempre impeccabili...

Alfonso Parziale, Federico Stoppello

In un nostro precedente intervento su FCHub (A. Parziale, F. Stoppello, Finanziamenti alle imprese tramite canali alternativi al sistema bancario: i fondi comuni di investimento ) era stato sinteticamente delineato il quadro delle fonti in materia di finanziamento alle imprese da parte di fondi comuni di investimento costituiti in Italia ed all’estero, oggetto di una recente novella, certamente pregevole nelle intenzioni e pienamente in linea con i desiderata degli operatori economici.

In estrema sintesi, il Legislatore aveva modificato in minima misura il Testo Unico della Finanza (TUF) per consentire agli OICR costituiti in Italia di erogare direttamente finanziamenti alle imprese, demandando la successiva regolamentazione di dettaglio alla normativa di rango secondario, attraverso i regolamenti del Ministero dell’economia e delle finanze e delle competenti autorità di vigilanza.

La normativa, seppure di non immediata ricostruzione, attribuiva con certezza agli OICR italiani la possibilità di erogare crediti a valere sul proprio patrimonio (icasticamente, di erogare prestiti), mentre lo stesso non poteva dirsi nel caso in cui tale attività volesse essere intrapresa da parte di un OICR straniero. La mancanza di un’autorizzazione espressa e l’assenza di apposite norme di raccordo con la normativa bancaria sembravano costituire ostacoli difficilmente sormontabili per l’apertura del mercato del credito a questi soggetti. Con l’occasione di un recentissimo decreto “banche” (D.L. 18/2016, in costanza del procedimento di conversione in legge) – che tra le varie cose riforma il credito cooperativo e disciplina la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze bancarie (c.d. GACS) – si è provveduto quindi a modificare ulteriormente il TUF per sistemare la materia.

Non si può negare come in Italia alla codificazione si stia attribuendo sempre più un senso “dinamico”, in cui il testo unico, piuttosto che fissare norme destinate alla durevolezza, si configura come un articolato “fluido” in perenne divenire e soggetto, come le cattedrali medievali, a variazioni in corso d’opera ed innesti più o meno consistenti; ma non è evidentemente questa la sede per approfondire il tema.

Per quanto qui concerne, la nuova normativa precisa ed espande le disposizioni in materia di “erogazione diretta di crediti” approntando precisazioni e chiarimenti fortemente auspicati dalla comunità finanziaria, che passiamo rapidamente in rassegna.

La prima rilevante precisazione riguarda la platea dei destinatari dei finanziamenti, che viene ristretta attraverso una revisione dell’articolo 1, comma 1, lett. k) del TUF: destinatari dei finanziamenti erogati dagli OICR potranno essere esclusivamente i soggetti “diversi dai consumatori”. La previsione ha portata generale (con ciò intendendosi che troverà applicazione sia alle operazioni condotte dagli OICR italiani che stranieri) e va raccordata con il nuovo Capo II-quinquies del TUF, rubricato appunto “OICR di credito”.

A tale ultimo riguardo, occorre ricordare che le norme del TUF non disciplinano in modo peculiare l’oggetto delle attività di investimento condotte dai fondi, né tantomeno quelle condotte da fondi comuni costituiti all’estero, limitandosi ad un generico richiamo alle attività tipicamente svolte da un “OICR” nel già richiamato articolo 1, comma 1, lett. k)Con riferimento ai FIA italiani, tale compito, come noto, è assolto dal Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze n. 30 del 2015 in esecuzione della delega di cui all’art. 39 TUF, congiuntamente al Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio emanato con Provvedimento della Banca d’Italia del 19 gennaio 2015.

La citata regolamentazione, peraltro, aveva già integralmente disciplinato quanto necessario per l’erogazione di finanziamenti da parte di FIA italiani, per cui la disposizione del nuovo articolo 46-bis del TUF (Erogazione diretta di crediti da parte di FIA Italiani), curiosamente è posteriore alla relativa norma secondaria e si limita ad avere una portata ricognitiva, ricordando che la concessione di finanziamenti dovrà avvenire “nel rispetto” di tali fonti regolamentari, eccezion fatta per il restringimento dell’ambito soggettivo dei potenziali debitori ai soli soggetti “diversi da consumatori” (limitazione precedentemente assente).

Con riguardo all’operatività di un fondo straniero, invece, l’individuazione della più corretta sedes materiae è certamente meno immediata. I FIA UE oggetto delle nuove norme, non va dimenticato, sono soggetti autorizzati e vigilati nei rispettivi Stati membri di costituzione e sono le norme ivi applicabili che dispongono, inter alia, dei limiti all’investimento del risparmio raccolto. Ciò detto, va però evidenziato il merito del nostro legislatore che, con il nuovo articolo 46-ter TUF in materia di “Erogazione diretta di crediti da parte di FIA UE in Italia”, ha fugato le incertezze sino ad oggi esistenti approntando il necessario substrato normativo per consentire ai fondi comunitari di operare in Italia.

La soluzione adottata dal Legislatore italiano è interessante e pionieristica perché, allo stato, non vi è nessun quadro normativo applicabile a livello comunitario in tema di erogazione di finanziamenti, salve le disposizioni del Regolamento ELTIF (Regolamento (UE) 2015/760 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015 relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine), la cui portata, però, è evidentemente limitata a questa peculiare tipologia di fondi. 

La nuova norma del TUF individua dunque delle “condizioni” all’operatività dei FIA UE, che a ben vedere cercano di mediare l’esigenza di approntare una normativa nazionale con la constatazione per cui, in effetti, i FIA UE sono già soggetti alla vigilanza di uno Stato membro diverso dall’Italia. La soluzione individuata sembra essere quindi l’estensione in Italia della facoltà di erogare finanziamenti in favore di FIA autorizzati nel rispettivo Stato membro di costituzione; e tutto ciò a condizione che le modalità di partecipazione, funzionamento e gestione del rischio del FIA siano in qualche modo “analoghe” (se non, con riferimento al solo profilo di contenimento del rischio, “equivalenti”) a quelle praticate nel nostro Paese.

Pertanto, la normativa nostrana tenta di costruire un difficile “ponte” per consentire ai FIA UE autorizzati nel rispettivo Stato membro e con caratteristiche comparabili a quelle dei FIA Italiani di erogare credito in Italia. La soluzione sembra un efficace contemperamento tra l’esigenza di preservare la solidità del mercato del credito ed evitare disparità di trattamento in un settore che, nonostante le recenti e necessarie aperture costituisce tutt’ora – e per fortuna – attività riservata.

Quanto ai requisiti di autorizzazione, i gestori dei FIA UE che intendono investire “in crediti a valere sul proprio patrimonio in Italia comunicano tale intenzione alla Banca d’Italia. Il FIA UE non può iniziare ad operare prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla comunicazione, entro i quali la Banca d’Italia può vietare l’investimento in crediti a valere sul proprio patrimonio in Italia”.

La stesura della norma sembra richiamare alla mente il meccanismo di comunicazione basato sul c.d. silenzio-assenso,condizionato al decorso di un determinato termine, attualmente in vigore per quanto riguarda la libera prestazione di servizi in Italia da parte di banche comunitarie. Ciò che pare tuttavia differenziare prima facie i due meccanismi è la mancanza di un diretto richiamo all’intermediazione dell’autorità competente dello Stato membro di costituzione del FIA UE: mentre infatti per le banche è previsto che la comunicazione avvenga tra autorità (dallo stato di costituzione a quello in cui si intende avviare l’attività), sia pur su sollecitazione del richiedente presso le competenti sedi nazionali, la lettera della norma sembrerebbe aprire ad una comunicazione diretta a Banca d’Italia da parte del FIA UE.

Nondimeno, non si può escludere che un meccanismo speculare a quello previsto per le banche comunitarie venga introdotto in sede di emanazione della normativa secondaria da parte della Banca d’Italia, in coerenza con il principio c.d. di “home country control”, come detto requisito necessario per l’erogazione di finanziamenti in Italia da parte di FIA UE.

La formulazione della disposizione non è tuttavia cristallina e lascia qualche dubbio interpretativo quanto al suo ambito di applicazione: operando per analogia con quanto disposto per le banche e per gli intermediari finanziari, però, deve probabilmente ritenersi che il termine dei sessanta giorni debba decorrere prima dell’avvio “dell’attività” intesa nel senso più ampio del termine, inclusa quindi l’eventuale informazione pubblicitaria, negoziazione di contratti etc. e non del solo “investimento”, cioè dell’effettiva erogazione del credito.

Visto però il particolare mercato di riferimento (clienti diversi dai consumatori e quindi, principalmente, imprese), c’è da credere che, in pratica, si potrà anche assistere a forme di “reverse solicitation” operate dai potenziali clienti, che potrebbero stimolare l’intervento diretto del fondo nel nostro Paese per l’erogazione del credito e negoziare nella massima riservatezza il contratto in attesa del decorso del termine di legge per la relativa autorizzazione.

La riforma risolve poi alcune ulteriori questioni rimaste in sospeso nel precedente articolato, “ibridando”, come già accaduto in altre occasioni, il contenuto del TUF con alcune previsioni del Testo Unico Bancario (TUB). In primo luogo, il FIA UE operante in Italia sarà infatti soggetto alla normativa in materia di trasparenza e rapporti con i clienti previste per gli operatori Italiani, con la comprensibile esclusione dell’obbligo di risoluzione stragiudiziale delle controversie. E’ inoltre prevista l’applicazione, mutatis mutandis, del quadro sanzionatorio individuato dal TUB. Da ultimo, il legislatore si premura come di consueto di delegare alla Banca d’Italia le necessarie disposizioni attuative, tra cui quelle in materia di partecipazione dei fondi alla Centrale dei Rischi, al pari di quanto già previsto per i FIA Italiani.

In definitiva, quindi, le nuove norme sembrano avere ad oggetto l’autorizzazione all’esercizio di una attività riservata nel nostro Paese: indubbiamente, infatti, l’erogazione di un finanziamento costituisce il più tipico esempio di attività finanziaria, che il nostro ordinamento consente in via professionale nei confronti del pubblico solo a talune categorie di soggetti. Passaggio ulteriore – e necessario – consiste nell’interrogarsi sulla possibilità che tale autorizzazione ricomprenda non solo l’erogazione diretta di finanziamenti, ma includa anche altre attività similari come, ad esempio, l’acquisto di crediti già erogati.

Il tenore letterale dei nuovi articoli del TUF, facendo largamente riferimento a crediti erogati dal FIA “a valere sul proprio patrimonio”, sembrerebbe ad un primo sguardo deporre in senso contrario. Occorre in tal senso rilevare come, all’interno dell’architettura semantica del TUF, l’investimento in crediti e l’erogazione di crediti a valere sul proprio patrimonio si pongono in un rapporto di genere a specie.

La definizione di OICR contenuta nel TUF distingue infatti i “crediti” in generale da quelli “erogati a valere sul proprio patrimonio”: si tratta di due oggetti diversi dell’investimento dell’OICR, che nella normativa secondaria sono oggetto di discipline in parte differenti. Se così è, allora, un FIA UE si troverebbe in una situazione – invero paradossale – tale da poter erogare finanziamenti senza essere tuttavia autorizzato ad acquistare crediti che originano da finanziamenti già erogati o altra fonte (i.e. crediti commerciali, ecc.), attività sottoposta a riserva se esercitata in via professionale nei confronti del pubblico e non oggetto di espressa esenzione nell’attuale quadro normativo.

Al riguardo, non si può peraltro sottacere l’esistenza di un Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze (n. 53/2015), il quale disciplina, tra le altre cose, l’esercizio in Italia di attività finanziarie (rectius attività di concessione di “finanziamenti sotto qualsiasi forma”) da parte di soggetti esteri e che, forse, meglio si sarebbe prestato ad accogliere una novella in tema di erogazione di finanziamenti. Il tema non è scevro da implicazioni rilevanti: il concetto di “attività finanziaria” appare infatti ben diverso e più ampio rispetto a quello di “erogazione di crediti a valere sul proprio patrimonio”, tale da rendere quindi necessaria una complicata opera ermeneutica per individuare analogie e differenze tra i diversi concetti. Si tratta purtroppo di un dubbio residuo a valle della riforma che ha riflessi considerevoli, poiché inibisce l’investimento in un settore attualmente in piena vitalità quale è l’acquisto di crediti, in particolare deteriorati (oggetto peraltro di intervento dedicato con il medesimo D.L. nella sezione relativa al GACS).

Preme tuttavia rilevare come, essendo il D.L. in parola nel corso del procedimento di conversione in legge, il legislatore ben potrebbe intervenire già in questa sede per correggere tale discrasia, ad esempio riprendendo la formula già presente nella definizione di OICR (e nella relativa normativa d’attuazione) autorizzando i FIA UE ad investire in crediti, “inclusi” quelli erogati a valere sul proprio patrimonio (dicitura peraltro già presente in alcune sezioni del nuovo art. 46-ter TUF), in linea con quanto attualmente previsto per i FIA italiani.

Da ultimo, vale la pena menzionare come il D.L. in commento, al comma secondo dell’art. 17, si adoperi per modificare le previsioni normative di carattere fiscale inerenti alla ritenuta sugli interessi per fare salve “le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico”. Tale precisazione si è resa evidentemente necessaria in risposta ai profondi dubbi sollevati dagli operatori in materia e, con tale inciso, quindi, il legislatore ha definitivamente chiarito – sia pure in modo “asimmetrico” – la subordinazione delle richiamate norme fiscali alla riserva di attività posta a livello primario dalle previsioni del TUB.

In conclusione, il Legislatore ha tradotto in norma quanto richiesto a gran voce dagli operatori, peraltro con soluzioni originali e non prive di inventiva, che possono considerarsi anche di esempio a livello comunitario. Certamente regolare la materia nel TUF lascia la sensazione di un “ rattoppo” normativo, sicuramente utile ma che, forse, avrebbe meritato una diversa collocazione nel nostro ordinamento. I continui rimandi tra norme di TUF e TUB, la perpetua modifica delle fonti normative, l’alternarsi di disposizioni di rango primario e secondario generano, infatti, un quadro caotico e frastagliato: in un momento di forte competizione tra ordinamenti per attirare i desiderati “ investimenti”, forse, c’è ancora spazio per una riflessione sul riassetto delle fonti.

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