Recenti riforme hanno autorizzato alcune categorie di fondi di investimento ad erogare finanziamenti: il quadro normativo non agevole da ricostruire e alcune incertezze sul trattamento dei fondi comuni costituiti all’estero rischiano però di depotenziare un’iniziativa lodevole per superare l’attuale fase di crisi economica.
A partire dal 2012, il Governo italiano ha introdotto una serie di incisive riforme per facilitare l ’accesso al credito da parte delle imprese. La linea politica sviluppata da questi interventi consiste nell ’allargamento del mercato del credito attraverso l ’ ingresso di nuovi soggetti, ai quali è stata attribuita la possibilità di investire nel c.d.credito “diretto” , cioè l’erogazione di finanziamenti.
L’idea, di per sé ambiziosa, punta a superare la tradizionale egemonia del credito bancario tra le fonti di finanziamento delle imprese e intende contrastare l’attuale fase di contrazione del credito favorendo il c.d. shadow banking system, e cioè la diffusione e l’operatività di soggetti che, pur non essendo qualificabili come intermediari bancari e finanziari in senso stretto, possono in qualche modo contribuire all’offerta di credito al sistema produttivo.
In questo contribuito esaminiamo, sia pure in forma un po’ rapsodica, le innovazioni in materia di erogazione di finanziamenti da parte dei fondi di investimento: mentre la disciplina applicabile ai fondi costituiti in Italia appare più coerente ed esaustiva, il quadro normativo applicabile ai fondi stranieri (costituiti sia in UE che al di fuori) solleva alcune perplessità.
Fondi comuni di investimento costituiti in Italia
Recenti modifiche al Testo Unico della Finanza (TUF) hanno attribuito ad alcune tipologie di fondi comuni di investimento la possibilità di investire direttamente le risorse raccolte in crediti “erogati a valere sul proprio patrimonio” (art. 1, lett. k) del TUF, che definisce gli OICR), e cioè ad erogare direttamente finanziamenti in favore di terzi.
La ricostruzione del quadro normativo di riferimento, però, è complessa e le norme applicabili si rinvengono (non senza difficoltà) in una congerie di fonti secondarie emanate da soggetti diversi, tra cui, per tutti, il Ministero dell’Economia e Finanze e la Banca d’Italia. Non è questa la sede per richiamare tutti gli interventi legislativi e regolamentari rilevanti, potendosi tuttavia tentare una breve rassegna delle novità introdotte.
Innanzitutto, occorre rilevare che l’attività di concessione di finanziamenti non è aperta a tutte le categorie di fondi comuni di investimento, bensì è stata riservata ai fondi di investimento alternativi (FIA) chiusi, riservati o meno ad investitori qualificati. La stessa attività di concessione di finanziamenti, inoltre, non avviene in modo indiscriminato ma, al pari di altri investimenti condotti dai fondi, è soggetta ad alcuni limiti di natura regolamentare.
Le norme di nuova introduzione dispongono innanzitutto un limite massimo di esposizione verso una stessa controparte pari al 10% delle attività del fondo. La norma ha un contenuto omologo ad altre previsioni volte ad assicurare una certa diversificazione del portafogli di investimenti, allo scopo di gestire i rischi collegati agli stessi. Vi è poi un limite massimo all’indebitamento finanziario contratto dal fondo (leverage), diverso dai conferimenti effettuati dai quotisti, che varia in base alla tipologia di fondo e tende a non snaturare le caratteristiche proprie dello stesso.
Altro limite normativo inerisce alla durata dei crediti erogabili, stabilendosi, con una norma più che ragionevole, che i finanziamenti erogati a valere sulle risorse proprie del fondo non possano avere una scadenza successiva rispetto alla durata del fondo medesimo. La previsione è ovviamente finalizzata ad assicurare lo smobilizzo degli investimenti al momento del rimborso dei quotisti, comportando l’afflusso al fondo della necessaria liquidità per effettuare i pagamenti dovuti.
Infine, nel tentativo di evitare che l’apertura allo shadow banking system a nuovi soggetti aumenti l’opacità del mercato del credito, si prevede la partecipazione dei fondi che erogano finanziamenti alla Centrale dei Rischi. La norma consente quindi di rappresentare con maggiore correttezza e precisione le esposizioni di ciascun debitore, quand’anche questi facciano ricorso a soggetti finanziatori diversi da banche ed intermediari finanziari. Sarà interessante verificare se, in pratica, l’attività di segnalazione di vigilanza sarà svolta in house dai gestori del fondo o se, come è più probabile, sarà attribuita in outsourcing a terzi soggetti.
Fondi comuni di investimento costituiti all’estero
Mentre la disciplina relativa ai fondi comuni “nazionali” sembra abbastanza coordinata e completa, alcuni dubbi permangono tuttavia in merito alla possibilità di erogazione diretta di finanziamenti in Italia da parte di fondi di investimento esteri (peraltro, argomentazioni simili potrebbero muoversi anche in relazione alla c.d. erogazione “indiretta”, i.e., tramite acquisto di crediti rivenienti da finanziamenti già erogati).
Da un lato, infatti, la definizione di OICR contenuta nel TUF (e già richiamata sopra) include, accanto ai fondi comuni di investimento italiani, sia i fondi europei che quelli extra-UE e, di conseguenza sembrerebbe attribuire anche a tali soggetti la possibilità di esercitare l’attività di finanziamento. A tale previsione si affiancano altresì talune norme di carattere fiscale, le quali parrebbero contemplare la possibilità di erogazione di finanziamenti anche da parte di fondi costituiti al di fuori del territorio nazionale.
D’altro canto, però, l’attività di concessione di finanziamenti in Italia costituisce un’attività riservata e rigidamente regolamentata e, nel complesso di norme che la caratterizzano, non sembra possibile rinvenire una norma che disciplini in modo specifico i fondi comuni di investimento non italiani. Ad esempio, non si fa riferimento alle attività condotte dai fondi all’articolo 114 del TUB, che disciplina espressamente alcune ipotesi in cui non trova applicazione la disciplina in materia di intermediari finanziari e che contempla espressamente, ad esempio, le imprese di assicurazione italiane.
Neppure si rinviene un riferimento esplicito ai fondi comuni di investimento “stranieri” nel decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 53/2015, che disciplina, tra le altre cose, l’esercizio in Italia di attività finanziarie da parte di soggetti esteri. A ben vedere, anzi, il decreto al suo interno contempla una definizione di “intermediari finanziari” così ampia da sembrare ricomprendere anche i fondi comuni di investimento, con la conseguenza (sempre in astratto) di estendere anche a tali entità una disciplina onerosa e di difficile coordinamento con le caratteristiche tipiche dei fondi.
In definitiva, ciò che sembra mancare nella disciplina attualmente vigente è una “norma di coordinamento”, una disposizione espressa che riconduca l’operatività dei fondi stranieri ai canoni normativi da noi conosciuti. Non è impossibile tentare una ricostruzione interpretativa della disciplina applicabile ma l’assenza di una disposizione esplicita, in un sistema ormai ipertrofico e dettagliatissimo, appare una carenza rilevante, che allo stato attuale depotenzia in modo significativo la capacità attrattiva del nostro ordinamento verso investimenti da parte di fondi costituiti all’estero.
Cionondimeno, le incertezze interpretative sopra menzionate potrebbero essere temporaneamente poste in secondo piano – in attesa di futuri interventi chiarificatori – laddove si decida di esplorare vie alternative per consentire anche ai fondi esteri l’esercizio dell’attività di concessione di finanziamenti in Italia. Un’ipotesi di lavoro degna di menzione potrebbe essere, tra le varie, quella di avvalersi delle possibilità introdotte dalla Direttiva AIFM, la quale allo stato consente, tra le altre cose e subordinatamente al ricorrere di determinate condizioni, la gestione transfrontaliera di fondi di investimento alternativi da parte di gestori comunitari debitamente autorizzati.
Conclusioni
Le recenti modifiche normative consentono ai FIA italiani di esercitare l’attività di erogazione di finanziamenti in Italia, a condizione che vengano rispettati alcuni limiti e altri requisiti di carattere regolamentare. Inoltre, le operazioni di finanziamento concluse da tali tipologie di fondi beneficiano del regime fiscale agevolato di recente introduzione.
Con riferimento ai fondi di investimento esteri, invece, l’estrema frammentarietà e lo scarso coordinamento delle disposizione emanate a più livelli non consentono di ricostruire con certezza il quadro normativo applicabile, con ciò minando alla base possibili iniziative di investimento.
Ad ogni modo, lo sforzo del nostro Legislatore deve in ogni caso essere visto come un tentativo positivo per rimuovere progressivamente le barriere all ’ingresso nel mercato del credito, sebbene un chiarimento circa la posizione dei fondi esteri sarebbe senz ’altro d’ aiuto per fornire ad investitori ed operatori quelle “ certezze”necessarie per sperimentare operazioni innovative a sostegno dell ’ economia. Il tempo ci dirà se le nuove norme potranno fornire un contributo alla ripresa economica o resteranno, soltanto, testimonianzadelle buone intenzioni del Legislato re.