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Non decolla il testamento delle banche

I regolatori Usa rigettano i piani di risoluzione delle crisi presentati dai grandi gruppi bancari. E dichiarano inidonee le procedure di bancarotta ordinaria ricevute. Per carenza dei dati e per limitata trasparenza. In bilico la compatibilità tra vigilanza e riservatezza delle informazioni.

Jacopo Carmassi

Il 5 agosto 2014 i regolatori bancari americani, la Federal Reserve (Fed) e la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), hanno “bocciato” le cosiddette “living wills” di 11 grandi gruppi bancari. Le living wills sono uno dei principali strumenti regolamentari introdotti dopo la crisi finanziaria globale del 2008 per contrastare il fenomeno del “too-big-to-fail” e rendere possibile il fallimento delle istituzioni finanziarie, anche di quelle più grandi e complesse, senza innescare una crisi sistemica e senza costi per i contribuenti.

Il fallimento – disordinato e con conseguenze sistemiche – di Lehman Brothers nel settembre del 2008 aveva evidenziato l’esigenza di una predisposizione di informazioni, misure e strumenti che consentissero ai regolatori di intervenire prontamente ed efficacemente in caso di risoluzione di istituzioni finanziarie, soprattutto se sistemiche. Negli Stati Uniti il Titolo I del Dodd-Frank Act (Dfa) del 2010 ha introdotto per le istituzioni finanziarie sistemiche, sia americane che estere, l’obbligo di preparare e presentare alla Fed e alla Fdic dei “resolution plans”, noti anche come living wills, che descrivano in dettaglio la propria struttura societaria e il proprio business, e indichino le misure che saranno adottate in caso di crisi del gruppo per favorirne un’ordinata e rapida risoluzione. Nelle living wills le istituzioni finanziarie sono chiamate a descrivere ex-ante strategie e meccanismi di risoluzione in base alle procedure di bancarotta ordinaria; solo nel caso in cui le procedure ordinarie si rivelino inefficaci o insufficienti le autorità possono decidere di ricorrere alla procedura speciale di risoluzione prevista dal Titolo II del Dfa, l’Orderly Liquidation Authority (Ola), gestita dalla Fdic, la quale può anche attingere, in caso di necessità, a fondi prestati dal Tesoro (che devono essere rimborsati, anche con contributi ex-post delle banche).

Il testo del Dfa (sezione 165(d)) richiede che nei resolution plans le istituzioni finanziarie presentino una descrizione di strutture proprietarie, attività, passività e obblighi contrattuali; informazioni su come le banche di deposito saranno protette dai rischi prodotti dalle entità non bancarie del gruppo; l’identificazione delle cross-guarantee, delle principali controparti e dei processi per determinare a quali soggetti il gruppo fornisce collaterale. Il Dfa, inoltre, attribuisce ai regolatori il potere di chiedere alle banche di modificare i resolution plans ed anche, qualora le modifiche non siano ritenute soddisfacenti, di imporre requisiti regolamentari più stringenti o addirittura la dismissione di attività.

La Fed e la Fdic hanno pubblicato nel novembre del 2011 la normativa secondaria, su cui sono basati struttura e contenuto delle living wills presentate dalle banche: i piani devono contenere informazioni dettagliate sulla strategia di rapida e ordinata risoluzione; sulla struttura societaria del gruppo, sulle principali entità legali, la loro collocazione geografica e le loro interconnessioni all’interno del gruppo; sulle principali voci di bilancio; sulle linee di business e sulla loro mappatura rispetto alle entità legali; sulle operazioni e sui servizi essenziali forniti dalle diverse entità del gruppo e sulle modalità di protezione di tali funzioni in caso di risoluzione; sui sistemi di information management; sulle autorità di vigilanza a cui sono soggette le varie entità del gruppo; e sulle misure che verranno adottate in caso di risoluzione.

Il regolamento di implementazione adottato da Fed e Fdic introduce inoltre un requisito di trasparenza dei resolution plans, con la previsione di una sezione pubblica delle living wills. Mossi dalla preoccupazione di preservare la natura proprietaria e confidenziale di alcune informazioni e dal timore di possibili effetti destabilizzanti di una piena disclosure delle living wills, i regolatori hanno tuttavia optato per un compromesso che prevede la pubblicazione solo di parti dei resolution plans che contengano informazioni generali e basate su informazioni già pubbliche.

I regolatori americani hanno suddiviso le banche soggette al requisito delle living wills in tre gruppi, sulla base di criteri dimensionali, e hanno previsto per ciascuno di essi tempistiche diverse per l’invio ai regolatori dei piani di risoluzione. Il primo gruppo include sette banche americane (Bank of America, Citigroup, JP Morgan Chase, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of New York Mellon e State Street) e quattro gruppi bancari europei (Deutsche Bank, Barclays, Credit Suisse e UBS): queste istituzioni hanno presentato la prima versione delle loro living wills nel luglio 2012, e successivamente una seconda versione nell’ottobre del 2013 e una terza nel luglio del 2014.

I resolution plans del 2012 presentavano significative criticità: in particolare, le informazioni apparivano non sufficientemente dettagliate su numerosi aspetti, tra cui la mappatura delle strutture societarie, l’indicazione delle principali entità del gruppo, le interconnessioni tra le diverse entità e la descrizione delle strategie di risoluzione. Per esempio, non erano state indicate come “material entities” alcune entità legali (spesso holding company intermedie) con attivo superiore a 50 miliardi di dollari – la soglia prevista dal Dfa per l’identificazione dei gruppi bancari sistemici! – e la mappatura delle entità legali rispetto alle linee di business appariva molto debole. Inoltre, la maggior parte delle informazioni incluse nelle sezioni pubbliche delle living wills era già presente in altri documenti pubblici (relazioni annuali, siti internet, etc.) – ma questo, come detto, è in effetti previsto e consentito dalle regole di implementazione. Peraltro, le sezioni pubbliche hanno tipicamente una lunghezza di poche decine di pagine, mentre le living wills nella loro versione integrale sono composte da migliaia di pagine.

La Fed e la Fdic, pur notando alcuni miglioramenti, hanno adesso valutato negativamente le living wills presentate dagli 11 gruppi bancari nel secondo round (ottobre 2013); la Fdic ha dichiarato che esse non sono credibili, non facilitano una risoluzione ordinata in base al regime di bankruptcy ordinario e non sono sufficienti per poter escludere realisticamente la necessità di un sostegno pubblico diretto o indiretto in caso di crisi. Pur in presenza di una certa eterogeneità tra le living wills delle diverse banche, la Fed e la Fdic hanno individuato alcune criticità comuni, tra le quali: i) la formulazione di ipotesi non realistiche sul comportamento di clienti, controparti, investitori, strutture di central clearing e regolatori, e (ii) la mancata adozione (o addirittura identificazione) di misure volte a modificare strutture e pratiche, che sarebbero necessarie per permettere un’ordinata risoluzione.

Gli 11 gruppi bancari dovranno quindi, entro il 1 luglio 2015, adottare una serie di misure per rafforzare i resolution plans e soddisfare le richieste dei regolatori, e scongiurare così un loro intervento in termini di requisiti regolamentari addizionali o sul business. Tali misure includono:

i) una semplificazione delle strutture societarie, cercando di allineare quanto più possibile entità legali e linee di business, nell’ottica di facilitare la risoluzione; ii) l’adozione di una struttura societaria con una holding company, che favorisca la risoluzione; iii) la tutela, nella fase di risoluzione, della continuità delle funzioni e dei servizi che supportano le operazioni critiche e le principali linee di business; iv) la modifica di alcuni contratti finanziari, per garantirne lo “stay” (sospensione delle azioni esecutive dei creditori) in caso di risoluzione; v) la dimostrazione di capacità operative in termini di preparazione alla risoluzione, per esempio in merito alla generazione di informazioni affidabili in tempi rapidi.

In conclusione, i resolution plans potrebbero – e dovrebbero – svolgere tre funzioni cruciali: i) fornire ex-ante ai supervisori e alle autorità di risoluzione un quadro dettagliato su struttura e operatività delle istituzioni finanziarie, che possa servire da “guida” in caso di risoluzione; ii) aumentare la trasparenza e la disciplina di mercato; iii) indurre le banche a ridurre la loro complessità e a semplificare le loro strutture societarie. Il giudizio espresso nell’agosto del 2014 dalla Fed e dalla Fdic indica che resta ancora molta strada da fare per il raggiungimento di questi tre obiettivi.

Con riferimento al secondo obiettivo, quello della trasparenza, le sezioni pubbliche delle living wills potrebbero giocare un ruolo molto importante nel migliorare la qualità e la quantità delle informazioni disponibili per creditori e controparti, rafforzando la disciplina di mercato. Tale funzione appare particolarmente importante dato che le istituzioni finanziarie che devono presentare le living wills sono proprio quelle potenzialmente “too-big-to-fail”, che secondo numerosi studi beneficerebbero di un sussidio implicito, in termini di minor costo del funding, proprio grazie al loro status di “too-big-to-fail”. Un aumento della trasparenza, a fronte peraltro di strutture societarie complesse e opache, potrebbe senz’altro aiutare i creditori a prezzare meglio il rischio e contribuire in tal modo a limitare il problema del “too-big-to-fail”. La Fed e la Fdic sembrano sensibili a questo tipo di problema e nel loro comunicato hanno dichiarato di voler valutare l’opportunità di rafforzare le sezioni pubbliche delle living wills, pur preservando un appropriato equilibrio tra la trasparenza da un lato e la riservatezza di informazioni proprietarie e di vigilanza dall’altro lato.

In Europa i resolution plans sono stati introdotti dalla direttiva su bank recovery e resolution e dal regolamento che istituisce il Single Resolution Mechanism; l’Autorità Bancaria Europea (Eba) sta elaborando le regole di implementazione. L’esperienza americana in materia di living wills può senz’altro fornire preziosi elementi di riflessione, sia per i policy-makers nazionali ed europei sia per il dibattito scientifico nella comunità accademica.

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