approfondimenti/politica economica
Migliora per le imprese italiane l’accesso ai finanziamenti

Nei suoi primi cinque appuntamenti (l’ultimo a fine settembre 2015) il Targeted Longer-Term Refinancing Operations (TLTRO) ha messo a disposizione del sistema bancario europeo 400 miliardi di euro, dei quali 111 miliardi affluiti alle banche italiane. L’ammontare di risorse aggiuntive effettivamente immesso nel circuito bancario è tuttavia inferiore a questi due importi poiché una parte dei nuovi fondi è servita a rimborsare precedenti finanziamenti della Bce. Da parte sua, il Quantitative Easing, arrivato all’ottavo mese, ha prodotto evidenti riflessi per le attività economiche, indebolendo il rapporto di cambio dell’euro e spingendo al ribasso l’intera struttura dei rendimenti finanziari. Uno degli aspetti su cui è opportuno concentrarsi riguarda l’impatto degli interventi espansivi della Bce sul finanziamento delle imprese italiane, con riferimento non solo al circuito bancario ma anche a quello extra-bancario.

Silvano Carletti
Carletti

Secondo le statistiche dell’Eurosistema, da tre mesi lo stock dei prestiti alle imprese non finanziarie registra nell’insieme dell’eurozona una crescita marginale ma comunque positiva (+0,1% a/a a settembre 2015). La metà dei paesi che compongono l’area propone una variazione positiva. L’Italia non fa parte di questo gruppo ma l’intensità della contrazione (-1,1% a/a a settembre) si è visibilmente ridotta nei mesi più recenti: sei mesi fa la flessione ancora superava il 2%, un anno fa era appena scesa sotto il 4%.

Le statistiche della Banca d’Italia evidenziano come la contrazione dell’aggregato sia la sintesi di andamenti piuttosto diversi. Crescono, infatti, i finanziamenti all’agricoltura (+1,3%), al commercio (+1,7%) e alle imprese manifatturiere (+0,4%). Se la prima branca ha un peso complessivamente contenuto (2%) ben più rilevante è il contributo della seconda (16%) e soprattutto della terza branca (26%). Decisamente negativo, invece, si conferma l’andamento delle costruzioni (-4,1% a/a) e delle attività immobiliari (-4,2%), comparti che congiuntamente contribuiscono per circa un terzo all’aggregato totale.

A rendere timido l’andamento del credito alle imprese è certamente la situazione del rischio di credito. Il tasso annualizzato di decadimento [rapporto percentuale tra i nuovi prestiti entrati in sofferenza e l’ammontare dei prestiti non in sofferenza all’inizio del periodo] rimane ancora molto elevato (4,4% a giugno 2015), sfiorando la doppia cifra (9,2%) per il settore delle costruzioni. Il dato medio più recente è quasi 4 volte quello registrato prima dello scoppio della crisi (metà 2007); per le imprese manifatturiere questo confronto è più favorevole (2,3 volte); per il settore delle costruzioni e quello delle attività immobiliari è invece ben peggiore (quasi 7 volte).

Questa pesante eredità accentua la selettività delle banche, ma anche su questo terreno si rilevano importanti novità:risultano in crescita sia i finanziamenti a favore delle imprese sane sia quelli a favore delle imprese classificate come vulnerabili; continuano, invece, a contrarsi fortemente quelli verso le imprese valutate come rischiose (-4,6% a/a a giugno).

Nel prossimo futuro il processo di deterioramento del portafoglio prestiti dovrebbe registrare una certa attenuazione non solo per il più favorevole andamento della congiuntura ma anche per la profondità del processo di selezione avvenuto tra le imprese. Secondo una rilevazione di pochi mesi fa [cfr. Cerved, Osservitalia 2014] un quinto circa delle PMI attive nel 2007 non risultava a fine giugno 2014 più presente nel circuito produttivo (fallimento, procedura concorsuale non fallimentare, liquidazione volontaria).

La dinamica del credito è fortemente condizionata dal profilo finanziario delle imprese, sia in termini di eleggibilità al credito sia di bisogno effettivo. In un suo recente approfondimento, Prometeia [cfr. Rapporto di Previsione, ottobre 2015] sottolinea come le imprese con più forte proiezione internazionale si caratterizzano per indici finanziari ben più solidi della media (un differenziale che tende a crescere) e quindi sono meno toccate dalla possibile maggiore selettività degli istituti di credito. D’altra parte, però, queste stesse imprese ricorrono al finanziamento bancario in misura meno intensa. Nell’insieme, per ogni euro di fatturato le imprese italiane contabilizzano in media debiti bancari per circa 18 centesimi; per i cinque settori più dinamici e maggiormente internazionalizzati si scende a 11 centesimi (solo 8 centesimi per il settore automobilistico e per quello farmaceutico); viceversa, nel caso dell’edilizia, si sale al di sopra dei 30 centesimi. La dinamica del credito sarà quindi ampiamente condizionata dall’articolazione settoriale del processo di ripresa economica.

Anche per effetto delle politiche espansive adottate dalla Bce, il finanziamento bancario è tornato più competitivo. L’indicatore sintetico di costo dei (nuovi) prestiti alle imprese è diminuito nell’ultimo anno nell’insieme dell’eurozona di 46 centesimi; nel caso di Germania e Francia la flessione è inferiore a 20 punti base; è invece prossima a 75 pb per la Spagna e ancora maggiore nel caso dell’Italia (un punto percentuale pieno).

Questa trasformazione dello scenario bancario ha avuto inevitabili riflessi sul mercato dei corporate bond. A livello di intera eurozona negli ultimi 12 mesi le emissioni nette (in euro e con scadenza oltre un anno) sono diminuite a/a di oltre un terzo (-35%); in soli 7 paesi si registra una variazione di segno positivo ma si tratta di paesi poco rilevanti sotto questo profilo. Altri 6 paesi (tra essi Francia e Germania) propongono un flusso di emissioni nette ancora positivo ma ridotto di quasi un terzo rispetto ad un anno prima. L’Italia è il più importante tra i restanti 6 paesi nei quali il flusso dei rimborsi eccede le nuove emissioni.

Al di là delle fluttuazioni congiunturali l’accresciuto ruolo del mercato dei corporate bond è una delle principali conseguenze della difficile congiuntura economica adesso in fase di superamento e certamente tra le cause della moderazione dell’attuale ripresa del credito bancario. Prima dello scoppio della crisi (metà 2007) a livello di eurozona lo stock dei titoli di debito delle impreseera pari all’11% dello stock dei prestiti bancari alle imprese, percentuale salita al 14% a metà 2012, e a oltre il 19% alla fine del settembre scorso. Nel caso dell’Italia, l’analoga percentuale è salita dal 7% di metà 2007 al 14,5% di settembre 2015; in valore assoluto la consistenza delle obbligazioni societarie (€117 mld a fine settembre) è cresciuta di €63 mld, a fronte di un incremento di €43 mld dei prestiti bancari. In altri termini, la crescita del mercato dei corporate bond ha soddisfatto il 59% della domanda aggiuntiva di finanziamenti formulata dalle imprese italiane tra metà 2007 e settembre 2015; il fenomeno si presenta più attenuato in Francia (48%) e in Germania (33%).

Oltre che ad una maggiore diversificazione delle fonti di indebitamento, la correzione più importante cui sono chiamate le imprese italiane riguarda la base patrimoniale. Anche sotto questo profilo lo scenario con cui si confrontano le imprese sembra più disponibile. Tra il 2011 e il 2014 la leva finanziaria (misurata dal rapporto tra i debiti finanziari e la somma degli stessi con il patrimonio netto) è in media diminuita di sei punti percentuali. Rimane comunque sensibilmente più alta rispetto al resto dell’eurozona. E’ stato stimato (sulla base dei bilanci 2013) che per allineare la leva finanziaria delle società italiane a quella delle imprese dell’area euro sarebbe necessario sostituire con patrimonio un ammontare di debiti finanziari superiore a €200 miliardi.

Il sistema delle imprese italiane sta in effetti compiendo passi in avanti verso una maggiore patrimonializzazione. Dalla considerazione dei bilanci 2013 di oltre 35 mila imprese italiane con un fatturato superiore a €5 milioni, emerge che il 71% di esse ha aumentato il patrimonio netto rispetto all’anno precedente, prevalentemente con il reinvestimento dell’utile prodotto.

Il contributo della Borsa al processo di rafforzamento patrimoniale continua ad essere marginale ma non esiguo come in passato. Dopo il minimo toccato nel 2012, le operazioni di nuova quotazione sono risalite a 18 nel 2013, aumentate a 28 nell’anno successivo, un trend di crescita proseguito nell’anno in corso (a fine ottobre, completate 23 operazioni per un totale di €2,2 miliardi).

Anche la considerazione dell’attività di private equity conferma l’esistenza di un importante ammontare di risorse potenzialmente a disposizione delle imprese del nostro Paese. Le risorse raccolte nella prima metà di quest’anno, infatti, superano €1,3 miliardi, un importo di poco inferiore al dato dell’intero 2014. Il favorevole andamento del mercato borsistico ha parallelamente favorito una forte accelerazione dell’attività di disinvestimento (€1,9 mld nel primo semestre 2015). Seppure i nuovi impieghi si siano mossi su livelli elevati (€1,8 mld), l’ammontare dei fondi alla ricerca di nuove opportunità di investimento è fortemente cresciuto (a €8,6 mld a fine giugno 2015, +€1,2 mld negli ultimi 12 mesi). Sotto questo ultimo profilo, l’Italia è pienamente parte di un fenomeno di dimensione globale: le risorse di private equity alla ricerca di opportunità di investimento (dry powder) ammontavano a fine 2014 a $1,2 trilioni, quasi il 30% in più rispetto a due anni prima.

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