Secondo alcune ricostruzioni, dalla MiFID deriverebbe la possibilità che l’attività di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede dovrebbe potersi svolgere, oltre che individualmente, anche in forma societaria. In Italia, la necessità che il consulente finanziario sia una persona fisica è un momento imprescindibile della riserva all’esercizio dell’attività di offerta fuori sede, che rappresenta un vantaggio competitivo che permette solo ad alcuni soggetti di promuovere e collocare prodotti e servizi al domicilio dell’investitore. Chi richiama la disciplina del tied agent dimentica che la complessiva disciplina italiana dell’offerta fuori sede si atteggia chiaramente quale disciplina dell’attività e non del soggetto, applicandosi alla persona che va fuori sede per conto dell’intermediario, a prescindere dalla sua qualifica di agente o di dipendente (potendo addirittura essere un mandatario). La MiFID disciplina l’agente, non l’attività; non incide in alcun modo sullo statuto normativo del dipendente; non menziona mai l’attività di offerta fuori sede, se non per escluderla dal proprio ambito applicativo, rimettendone così la disciplina alle autonome valutazioni dei singoli legislatori nazionali.
Si stanno proponendo ricostruzioni secondo le quali l’attività di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede dovrebbe potersi svolgere, oltre che individualmente, anche in forma societaria; e tale possibilità (un obbligo di conformità all’ordinamento comunitario, addirittura) si farebbe discendere dalla MiFID (II, in particolare), là dove prevede che il tied agent possa essere una persona fisica o giuridica. Tali ricostruzioni, al di là dell’aspettativa, mi sembrano controvertibili. In Italia, la necessità che il suddetto consulente finanziario sia una persona fisica costituisce un momento imprescindibile della riserva all’esercizio dell’attività di offerta fuori sede, che è ben altra cosa rispetto alla disciplina del tied agent. La riserva è un indubbio vantaggio competitivo che permette solo ad alcuni soggetti di promuovere e collocare prodotti e servizi al domicilio dell’investitore: la forte asimmetria a sfavore del cliente viene “perequata”attraverso una serie di presidi, tra cui elemento essenziale è la certezza che la persona che entra concretamente in contatto con l’investitore proponendogli degli investimenti in prodotti finanziari possegga idonei requisiti di onorabilità e di professionalità attestati da un ente terzo che vigili costantemente sul suo operato: la piena e assoluta personalità della prestazione è un elemento indefettibile nel “modello” che normativamente è stato disegnato (e che industrialmente ha dato ottima prova di sé), nell’ambito dell’allocazione imperativa delle risorse tra domanda ed offerta.Ciò tanto è vero che, non a caso, in Italia la complessiva disciplina dell’offerta fuori sede si atteggia chiaramente quale disciplina dell’attività e non del soggetto, applicandosi alla persona che va fuori sede per conto dell’intermediario, a prescindere dalla sua qualifica di agente o di dipendente (potendo addirittura essere un mandatario). Ora, tale peculiare aspetto sembra essere dimenticato da chi richiama la disciplina del tied agent: la normativa sull’offerta fuori sede non riguarda l’agente (collegato), impone invece un costo per lo svolgimento di un’attività riservata che non è, a ben guardare (solo, tanto) del consulente abilitato, ma (anche, specie) di quei soggetti –persone giuridiche con determinati requisiti- che di quelli, agenti o dipendenti (o mandatari) che siano, debbano necessariamente avvalersi. In sintesi, lo statuto del consulente abilitato all’offerta fuori sede è unico, vale per gli agenti e i dipendenti, presuppone la personalità della prestazione, non risente della disciplina comunitaria del tied agent. Del resto e per converso, nella MiFID, così come in tutti i Paesi europei dove si contempla la possibilità del tied agent persona giuridica, non vi è una disciplina – né quindi una riserva nell’esercizio – dell’attività di offerta fuori sede. Altro è dettare uno statuto normativo dell’agente, prevedendo in tale contesto che questi possa essere una persona fisica o giuridica, altro è disciplinare l’attività, da chiunque svolta (agente o dipendente) per proteggere l’investitore sollecitato fuori sede. La MiFID disciplina l’agente, non l’attività; non incide in alcun modo sullo statuto normativo del dipendente; non menziona mai l’attività di offerta fuori sede, se non per escluderla dal proprio ambito applicativo, rimettendone così la disciplina alle autonome valutazioni dei singoli legislatori nazionali (considerando 101). E tale esclusione ritengo sia appositamente prevista per legittimare quegli ordinamenti che, come il nostro, si siano dotati (o vogliano dotarsi) di una disciplina imperativa dell’offerta fuori sede le cui norme sono di applicazione necessaria, nel senso, cioè, che si applicano, a tutela degli investitori italiani, a tutte le imprese di investimento, anche comunitarie ed extracomunitarie, che intendano svolgere tale attività in Italia. E fra tali norme primeggia appunto quella che impone alle imprese di investimento di qualsiasi nazionalità di avvalersi di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede nella esclusiva veste di persone fisiche, italiane o straniere, purché con domicilio eletto in Italia ed iscritte all’albo di detti consulenti tenuto dall’Organismo di cui all’articolo 31 del TUF. Un tied agent comunitario operante in forma societaria, ritengo, non potrebbe iscriversi a tale albo, risultandogli così inibita la possibilità di formulare proposte di investimento fuori sede ad investitori italiani. Il che porta anche ad escludere la sussistenza di un problema di concorrenza fra ordinamenti. Come sembra, la disciplina nazionale dell’attività di offerta fuori sede prevale su quella comunitaria del soggetto tied agent. E prevale, ovviamente, anche dopo che con la MiFID II si è prevista l’obbligatorietà della disciplina del tied agent da parte degli Stati membri: quest’ultima rimane pur sempre una disciplina del soggetto, destinata a cedere di fronte alle esigenze di tutela degli investitori sottese alla disciplina dell’attività (di offerta fuori sede).
Riterrei, quindi, non sussistente un obbligo di adeguamento alla disciplina comunitaria; permarrebbe, tuttavia, perché no, la possibilità di opzione legislativa interna. Ma anche a tale riguardo esprimo forti dubbi, poiché andrebbe riformata, anche per quanto sopra esposto, l’intera disciplina della riserva, con conseguenze ad oggi difficilmente immaginabili. In breve, è certamente vero che si potrebbe tentare di costruire una disciplina ad hoc di una ipotetica società fra consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, così come la si è prevista per la società fra avvocati e poi in generale per la società fra professionisti (che, peraltro, non necessitano di un incarico ab origine per poter operare), e che in tale contesto si potrebbe immaginare di prevedere che detta società debba a sua volta avvalersi (a prescindere ora dalle molte implicazioni in tema ad esempio di attrazione delle responsabilità tra soci), nelle relazioni interpersonali con gli investitori, esclusivamente di persone fisiche dotate dei medesimi requisiti di onorabilità e di professionalità attualmente prescritti per l’iscrizione nell’albo di cui al citato articolo 31 del TUF. Ma, a parte le difficoltà e le incertezze che inevitabilmente si porrebbero in sede di costruzione dello statuto di una (l’ennesima) società di diritto speciale, gli è che l’interposizione di tale società eliderebbe fortemente la possibilità per l’intermediario preponente di instaurare una relazione contrattuale diretta con le persone fisiche incaricate di dialogare per suo conto con gli investitori, propri clienti, precludendogli la possibilità di selezionare dette persone, affievolendone i controlli sulle medesime e spezzando in definitiva il nesso fra l’operato di queste e la sua responsabilità. Non si dimentichi, infatti, che nella disciplina italiana dell’attività di offerta fuori sede la qualificazione del consulente finanziario come persona fisica si ricollega indissolubilmente alla previsione della responsabilità solidale dell’intermediario per i danni che il consulente possa cagionare agli investitori, anche meramente potenziali, non solo a seguito della violazione di regole di condotta ma finanche nel caso di compimento di illeciti penalmente rilevanti. Dal lato dell’intermediario, pertanto, l’attività di offerta fuori sede implica l’assunzione di un rischio molto elevato, nei confronti della propria clientela, qui chiaramente compensato da un’adeguata capacità di selezione dei consulenti e di controllo sul loro operato (nel settore finanziario non sono conosciuti accordi collettivi, né si sente il bisogno di prevederne, e l’eventuale gradimento, tutto da verificare, alle modifiche nella compagine sociale sarebbero tutte rimesse alla singola autonomia contrattuale, con evidenti disallineamenti ed inefficienze). L’intermediario non può rinunciare a valutare le qualità morali e professionali delle singole persone fisiche da inserire nella propria struttura posto che, ripeto, la relazione contrattuale è tra intermediario e cliente; il vincolo che si crea è fortemente fiduciario. È indubitabile che, in caso contrario, il rischio operativo assumerebbe proporzioni tali da fare alfine dubitare della tenuta del modello industriale delle reti; in realtà, è probabile che verrebbero a vanificarsi investimenti ingenti in tema di presidi di controllo sui rischi, perché è chiaro che tali presidi dovrebbero “spostarsi” sulla società a valle, ritenendo difficilmente accettabile un modello di minor protezione nei confronti dell’investitore, e impraticabile la duplicazione dei costi di compliance.
Si stanno profilando diversi modi di svolgere il servizio di consulenza. Quello appena visto fa capo perlopiù ai soggetti abilitati alla prestazione del servizio di collocamento i quali, fuori sede, si avvalgono di persone fisiche anche esse abilitate in virtù dell’iscrizione in un proprio albo. Queste ultime sono ora i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, agenti o dipendenti, e come tali possono svolgere nei confronti della clientela, per conto del soggetto abilitato, tutte le attività che svolge l’intermediario (promozione e collocamento, raccolta delle disposizioni della clientela, consulenza sugli strumenti finanziari offerti). Altro modello è quello che fa capo ai consulenti finanziari autonomi ed alle società di consulenza finanziaria. Tali altri soggetti prestano in proprio il servizio di consulenza, potendo assumere, questi sì, la forma che desiderano, di persona fisica o giuridica, ma senza poter prestare alcun altro servizio di investimento e senza poter ricevere il passaporto comunitario, né potendo promuovere o collocare il loro servizio fuori sede. Un ultimo modello è rappresentato dalla SIM, anch’essa obbligata ad avvalersi del consulente abilitato per l’attività fuori sede, la quale può scegliere di prestare il solo servizio di consulenza oppure di abbinare la prestazione di tale servizio a quella di altri servizi di investimento, come ad esempio quello di collocamento (SIM di distribuzione) o quello di ricezione e trasmissione di ordini (SIM di brokeraggio). Coloro che desiderano svolgere la professione di consulente finanziario dispongono dunque di un ventaglio completo di opzioni. Fra queste, vi è quella del consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, il quale sceglie di operare avvalendosi del brand, delle piattaforme, degli strumenti, degli investimenti in definitiva di un intermediario che, tra l’altro, centralizza importanti funzioni, con evidenti economie di scala: modelli organizzativi interni ben possono superare alcuni aspetti evidenziati da chi sostiene l’introduzione dell’agente persona giuridica, senza dover necessariamente riformare il modello italiano dell’offerta fuori sede; perché di “altro, diverso modello” dovrebbe parlarsi, tutto da costruire, incidendo tra l’altro necessariamente sullo statuto ad oggi unico del consulente abilitato (che contempla anche il dipendente, rispetto al quale di persona giuridica non è a discutere).
E, concludo, il successo dell’attività, su cui non mi soffermo perché noto, non deriva dalla figura del tied agent, presente appunto in tutti i Paesi, ma dal binomio intermediario/consulente abilitato –organizzazione/personalità- operante in regime di riserva fuori sede che svolge il servizio di investimento di consulenza centrato sugli interessi del cliente.