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MIFID
La formazione dei consulenti finanziari è necessaria.
Ma attenti ai costi per le banche

La Consob, in attuazione del d.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 in materia di intermediari, ha prodotto un impianto regolamentare frutto di un lavoro importante, su cui non si può non esprimere il proprio apprezzamento. Su alcune modalità di adempimento dell’obbligo di aggiornamento professionale, valga qualche riflessione in più.

Marco Tofanelli
Tofanelli

Ai sensi del nuovo articolo 81, comma 1, del citato Regolamento, gli intermediari sono chiamati a “garantire che i membri del personale effettuino         un percorso continuo di formazione o sviluppo personale pertinente alla propria qualifica che preveda, almeno ogni dodici mesi, la partecipazione a un corso della durata di almeno trenta ore … I corsi devono concludersi con lo svolgimento di un test di verifica delle conoscenze acquisite, conformemente a quanto disposto dall’articolo 79, commi 8 e 9” (lettera h); “effettuare, in occasione di cambiamenti e modifiche del ruolo del personale addetto alla prestazione dei servizi pertinenti o dei modelli di servizio o della normativa di riferimento, una specifica formazione che preveda la partecipazione a un corso della durata di almeno trenta ore … I corsi devono concludersi con lo svolgimento di un test di verifica delle conoscenze acquisite, conformemente a quanto disposto dall’articolo 79, commi 8 e 9” (lettera i).

Da una prima lettura delle disposizioni sembra emergere la richiesta della frequenza sia di un corso di aggiornamento professionale della durata di         almeno trenta ore ogni anno, sia anche di un corso della durata minima anch’essa di trenta ore al verificarsi degli eventi, più o meno qualificati, previsti nella menzionata lettera i).

Inoltre, il rinvio alle modalità di effettuazione del test previste nell’art. 79, commi 8 e 9, comporterebbe che il test debba essere effettuato “esclusivamente in aula” (comma 9, lett. a).

Tali previsioni risultano obiettivamente gravose e i costi relativi probabilmente non proporzionati rispetto alle finalità perseguite, sia con riferimento agli intermediari di piccole dimensioni sia in specie a quelli con “reti fisiche” particolarmente numerose.

Notevole, intanto,risulta la deviazione dall’intento di rimettere all’autonomia dell’intermediario (“autonomo” essendo invero rimasto l’Organo nella definizione piuttosto vaga di “modifiche del ruolo del personale” o “del modello di servizio” o anche “della normativa di riferimento”, amplissima volendo) l’individuazione delle modalità di assolvimento delle esigenze di aggiornamento professionale del personale quale sembrava esser stato accolto anche nella bozza della nuova disciplina posta in consultazione nel mese di luglio dello scorso anno, di cui tra l’altro è rimasta traccia nella Relazione illustrativa che accompagna il nuovo Regolamento, ove ancora si legge che “la revisione delle esigenze di sviluppo e formazione del personale è rimessa in capo all’intermediario” (p. 154).

La previsione di ulteriori corsi di durata predeterminata per ogni modifica della normativa di riferimento, in particolare, oltre ad essere suscettibile         di interpretazione varia, non sembra tener conto del fatto che le ore di formazione sugli aggiornamenti normativi, lungi dal potersi ricondurre ad una cifra determinata a priori, dovrebbero essere stabilite discrezionalmente dagli intermediari in funzione della rilevanza che le novità esplicano di volta in volta sull’attività svolta dai consulenti finanziari.

Ma, a ben vedere, l’organizzazione di corsi di aggiornamento sulle novità normative sono già contemplate, con modalità più elastiche, proprio nella citata lettera h) del comma 1 dell’art. 81, ai sensi della quale gli intermediari devono garantire la frequenza di un corso della durata di “almeno” trenta ore. L’avverbio “almeno”, in particolare, indurrebbe a ritenere che rientri già e quindi contestualmente si esaurisca nell’obbligo previsto dalla lettera h) la previsione di un numero aggiuntivo di ore di aggiornamento professionale la cui concreta determinazione dovrebbe dipendere dalla valutazione delle esigenze formative del personale condotta anno per anno in connessione anche con il tenore delle novità normative sopravvenute.

La previsione, poi, dell’obbligo di effettuazione del test in aula non sembra avere a sua volta tenuto adeguatamente conto delle difficoltà logistiche         e dei costi anche impliciti derivanti dalla necessità di allestire aule per lo svolgimento del test, in specie ripeto per gli intermediari che si avvalgano di reti fisiche numerose e ancor più – proporzionalmente – per quelle che si avvalgono di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, tutti appunto dedicati allo svolgimento di quell’attività e che potrebbero trovarsi addirittura ad organizzare queste specifiche aule ogni giorno lavorativo dell’anno; sono immaginabili i costi vivi di allestimento delle aule e i rilevanti costi impliciti conseguenti alla necessità di dedicare risorse sull’intero territorio nazionale unicamente per consentire l’organizzazione, l’effettuazione e la gestione dei risultati dei test. È evidente come, di converso, piccole “reti” dovrebbero comunque sopportare costi organizzativi fissi probabilmente poco proporzionati alle dimensioni.

Tale disciplina risulta sensibilmente più gravosa anche di quella adottata dall’Ivass con il Regolamento n. 6/2014, da cui pure sembrano mutuate alcune delle nuove previsioni del Regolamento n. 20307/2018. Nel predetto Regolamento dell’Ivass si prevede infatti la frequenza di un corso di aggiornamento professionale “di durata non inferiore a 60 ore nel biennio”, senza quindi la previsione di ulteriori corsi di durata predeterminata per gli aggiornamenti normativi, o in occasione dell’adozione di un nuovo modello di servizio da parte dell’intermediario o dell’assegnazione di un nuovo ruolo al personale (art. 7); l’obbligo di svolgimento del test in aula a conclusione dei soli corsi per la formazione iniziale (art. 8, comma 5), risultando così consentito lo svolgimento anche on line dei test di verifica dei corsi di aggiornamento professionale.

La scelta di escludere l’obbligatorietà del test in aula a conclusione dei corsi di aggiornamento professionale, in particolare, venne accolta dall’Ivass all’esito anche di una valutazione comparativa dei relativi costi e benefici, dovendosi considerare che tale test riguarda l’intera rete, a differenza del test previsto a conclusione della formazione iniziale, che invece riguarda solo i neofiti, rispetto al quale può immaginarsi un diverso approccio nell’accertamento di conoscenze da valutare se acquisite o meno, rispetto a quelli appunto di mero aggiornamento.

E, ancora, la disciplina relativa agli agenti in attività finanziaria ed ai mediatori creditizi non prevede il test in aula né per l’aggiornamento professionale né per la formazione iniziale (v. la Circolare OAM n. 19/2014).

Infine, nessun test di verifica risulta poi prescritto ai fini del conseguimento dei crediti formativi da parte degli iscritti nei vari albi professionali.

In conclusione, richiamando l’esigenza espressa a p.157 della Relazione illustrativa, ossia, “limitare i costi amministrativi a carico degli intermediari”, ma anche per garantire certezza applicativa, ben potrebbe l’Autorità valutare di intervenire sul testo del Regolamento n. 20307/2018 al fine di abrogare la sopra citata lettera i) del comma 1 dell’art. 81 ed eliminare nella lettera h) del comma 1 dell’art. 81 il rinvio alle modalità di espletamento del test previste nell’art. 79, comma 9, lettera a), del medesimo Regolamento.

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