Gli investimenti infrastrutturali possono stimolare crescita e occupazione. Come sostenuto dal neo presidente della Commissione europea Junker. Ma i lavori vanno finanziati. E la stessa istituzione sceglie i project bond per la raccolta di fondi destinati a trasporti, energia e telecomunicazioni
Il primo dei dieci punti programmatici del discorso con il quale Jean-Claude Junker ha chiesto fiducia al Parlamento di Strasburgo è incentrato sulla necessità di effettuare investimenti infrastrutturali, per stimolare la crescita e rilanciare l’occupazione, fino a 300 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Se è vero che si tratta ormai di una necessità condivisa e trasversale, è altrettanto vero che i modi per soddisfarla possono essere molto diversi.
La proposta di Junker parte da tre presupposti essenziali:
Di conseguenza, sviluppandosi attraverso l’auspicio del miglioramento del contesto istituzionale e regolamentare, si tratta di una soluzione che non prevede l’utilizzo di risorse provenienti direttamente dai bilanci degli Stati Membri, ma intende sfruttare l’effetto leva di risorse già disponibili, o appositamente allocate, nell’alveo del bilancio Ue. I circa 80 miliardi di fondi strutturali non ancora erogati potrebbero costituire una base di partenza. Sarebbero, però, utilizzati direttamente, o impiegati per garantire un effetto leva attraverso la Banca Europea degli Investimenti (Bei) che, forte del suo rating, potrebbe impiegarli a garanzia della raccolta sul mercato di capitali privati attraverso emissioni obbligazionarie? Risorse, queste ultime, che la Bei potrebbe utilizzare non solo direttamente, per finanziare gli investimenti infrastrutturali; ma anche indirettamente, per stimolare la creazione di un autentico mercato dei project bond, pressoché scomparso dopo la crisi del 2009. Opzione cui la Commissione Europea aveva già rivolto l’attenzione dal 2010/2011.
Perché i project bond?
Uno schema di finanziamento che presenti una provvista diversificata è maggiormente in grado di soddisfare le necessità di progetti complessi e con un orizzonte temporale di lungo periodo, come quelli infrastrutturali. Accanto all’equity e al credito bancario, quindi, sarebbe piuttosto naturale attendersi che una società di progetto, costituita nell’alveo di un partenariato pubblico privato, cerchi di beneficiare delle risorse provenienti da investitori istituzionali, tipicamente pazienti e con attese di ritorno moderate. A maggior ragione, nel caso di progetti “bancabili”, con profili di rischio chiaramente delineati, con asset ring fenced e magari non ancora avviati a causa degli stringenti vincoli di bilancio del settore pubblico. In breve, non dovrebbe stupire l’individuazione di project bond – sottoscritti da fondi pensione, compagnie di assicurazione o banche di sviluppo – tra le liabilities di una società di progetto. Eppure, in Europa, domina il finanziamento bancario e il mercato dei project bond è in una fase embrionale.
Fino alle restrizioni sul credito bancario, iniziate con il 2009, non c’era stata la necessità di concepire una differenziazione nella natura del capitale di debito legata alla durata dei finanziamenti: il sistema di intermediazione creditizia europeo non aveva mai mostrato particolari disagi a concedere prestiti a lungo termine e, quindi, non aveva creato i presupposti per la creazione di un liquido e spesso mercato obbligazionario. La riduzione delle risorse pubbliche da un lato, e le necessità di consolidamento dei bilanci bancari coerentemente con i requisiti regolamentari di Basilea III dall’altro, però, intaccando la disponibilità delle fonti principali di finanziamento infrastrutturale, hanno spinto le istituzioni europee a ritenere che «un’iniziativa dell’Unione europea per sostenere i project bond, assieme alla Banca Europea degli Investimenti, dovrebbe aiutare ad affrontare le necessità di investimento nei grandi progetti infrastrutturali dell’Unione».
Secondo l’Epec (European PPP Expertise Centre), il finanziamento tramite project bond presenta, rispetto al credito bancario, vantaggi:
e criticità:
La criticità più consistente, comunque, è la garanzia sulla qualità del credito, tanto in considerazione della strategia degli investitori istituzionali, quanto dei nuovi parametri regolamentari degli istituti di credito.
La Project Bond Initiative
Il supporto al credito, o meglio al merito di credito, veniva effettuato, prima della crisi finanziaria, principalmente da società assicurative ad hoc. Le recenti difficoltà sulle monoline wrap, tuttavia, hanno indotto la Commissione Europea e la Bei a varare la Project Bond Initiative. La fase pilota, iniziata nel 2012 e programmata fino al 2016, prevede la disponibilità di 230 milioni di euro provenienti dal bilancio comunitario, da ripartire su progetti infrastrutturali rientranti nei seguenti settori:
Secondo le stime della Bei, le risorse stanziate ad oggi, attraverso la Project Bond Credit Enhancement Facility (Pbce), renderebbero possibile la mobilitazione di 750 milioni di euro e garantirebbero un effetto leva in grado di far affluire sui settori strategici considerati più di 4 miliardi di euro. Di fatto, la Pbce rappresenta una forma di sostegno al credito limitato, tanto che per ogni transazione non può essere superiore a 200 milioni di euro o al 20% del valore nominale dei senior bond, ma teoricamente in grado di innalzare il merito di credito di questi ultimi, sia in virtù della disponibilità a far affluire risorse sul progetto, sia per l’effetto reputazionale derivante dal coinvolgimento di un’istituzione come la Bei.
I possibili meccanismi di applicazione sono due:
I due meccanismi della Project Bond Credit Enhancement Facility (Pbce)
Funded Pbce
Unfunded Pbce
Fonte: elaborazioni su dati Bei
I project bond sono una one-fits-all solution?
Perché le previsioni della Bei sull’effetto leva della Project Bond Initiative possano realizzarsi, tuttavia, è indispensabile una sostenuta domanda da parte di investitori disposti ad acquistare i senior bond. Domanda che, almeno nel breve periodo, non sembrerebbe essere nelle condizioni di costituirsi in qualunque parte del territorio dell’Unione. Le cause sono diverse, strettamente connesse alla natura di ogni economia, ma, in linea generale si possono menzionare:
Se ne ha una conferma considerando le iniziative ad oggi approvate nell’ambito del programma Pbce dalla Bei. In termini di valore, su circa 1 miliardo di euro, le infrastrutture autostradali costituiscono il 50% del totale e la Germania e il Regno Unito, che – seppur per ragioni diverse – rappresentano mercati più solidi per la project finance, detengono rispettivamente il 27,9% e il 33,7% del totale.
Nell’attesa che i project bond diventino uno strumento di finanziamento infrastrutturale comune ai progetti realizzati nelle diverse economie dell’Unione, potrebbe essere auspicabile, nel frattempo, considerare soluzioni complementari e dedicate (come, ad esempio, la Caisse Nationale des Autoroutes in Francia).