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In che modo gli immigrati cambiano la struttura produttiva del paese di destinazione? Un’analisi statistica del caso italiano

Ci sono due possibili impatti di uno shock di offerta di lavoro sui comportamenti delle imprese italiane: le imprese che fanno maggiormente uso del fattore divenuto più abbondante potrebbero aumentare la loro produzione. Abbiamo definito questa risposta specifica come “effetto scala”. Il secondo impatto, invece, è associato all’aumento del rapporto lavoro-capitale da parte di tutto il tessuto produttivo italiano. Questa risposta può essere definita come “effetto intensità”. I risultati di questa ricerca sono a favore dell’effetto intensità e perciò possiamo concludere che l’aumento della forza lavoro indotto dall’immigrazione ha provocato un generale cambiamento tecnologico caratterizzato da un più alto rapporto lavoro-capitale.

Francesco Bloise, Rama Dasi Mariani
Bloise
Rama-Mariani

Un consolidato filone di analisi economica, i cui risultati sono stati già da tempo divulgati, suscitando interesse anche al di fuori della comunità scientifica, studia il modo in cui le nuove tecnologie influenzano l’occupazione e la composizione della forza lavoro. Nel saggio pubblicato sul numero 1/2018 di Economia Italiana, abbiamo indagato, invece, la relazione opposta. In particolare, abbiamo voluto studiare quale effetto una variazione della forza lavoro indotta dall’immigrazione possa avere sulle tecnologie produttive.

L’analisi proposta risulta di particolare interesse poiché si focalizza sull’economia italiana in un periodo di grande rilevanza per la sua storia immigratoria, ossia gli anni dal 2005 al 2010. A ben vedere, l’Italia è stata a lungo un paese di emigrazione. Durante le prime decadi del XX secolo, in totale 24 milioni di persone hanno lasciato il paese, dirette soprattutto verso gli Stati Uniti e il Sud America. Grazie anche al rientro di molti emigranti, alla fine degli anni ’70, si è registrato per la prima volta un saldo d’immigrazione netta positiva. Tuttavia, la prima vera ondata migratoria che ha colpito l’Italia è stata agli inizi degli anni ’90, in conseguenza del crollo dei regimi comunisti. In quegli anni anche i flussi dal Nord Africa hanno iniziato ad aumentare. In effetti, le caratteristiche geografiche del paese fanno sì che queste due continuino ad essere le principali aree di origine dei lavoratori immigrati in Italia.

I richiedenti asilo provenienti dall’area del Maghreb sono attualmente al centro di un forte dibattito europeo in relazione alla sostenibilità della Convenzione di Dublino e le politiche di riallocazione dei rifugiati tra i paesi dell’Unione. Noi tralasciamo le peculiarità del caso di cronaca per concentrarci sulla c.d. immigrazione economica, ossia i flussi di persone che si spostano per ragioni di lavoro. Stando ai dati OCSE, questa è aumentata notevolmente a partire dal 2007, l’anno in cui i cittadini dei paesi coinvolti nell’allargamento ad Est dell’Unione Europea hanno avuto piena libertà di movimento all’interno dell’area Shengen. Il periodo considerato nella nostra analisi si trova a cavallo di quest’anno chiave e, dunque, lo studio getta luce su un caso che merita un’attenzione specifica.

Infatti, non mancano in letteratura analisi dell’effetto dell’immigrazione sul mercato del lavoro. Per quanto, queste hanno riguardato soprattutto il livello e la distribuzione dei salari e si sono concentrate in particolar modo sul mercato del lavoro statunitense. Tuttavia, non poche differenze storico-istituzionali esistono tra i due casi di studio. Risulta, perciò, di grande importanza analizzare espressamente il mercato del lavoro italiano e capire cosa sia effettivamente successo alle occupazioni dopo l’arrivo dei lavoratori stranieri, in modo da poter formulare le giuste politiche di integrazione.

Nel nostro quadro di analisi i flussi migratori verso l’Italia rappresentano un aumento della forza lavoro e l’obiettivo è capire in che modo il mercato si riaggiusti per raggiungere un nuovo equilibrio tra domanda e offerta. Per questo, partiamo dalla considerazione che la domanda di lavoro dipende da tre fattori: il costo del lavoro, il livello della produzione e la tecnologia. Quest’ultima intesa come rapporto tra lavoro e capitale impiegati. Ognuno di essi rappresenta un potenziale canale di assorbimento dell’offerta straniera. Per tanto, a seguito dello shock potremmo osservare una maggiore occupazione ma a salari più bassi, un incremento dell’occupazione a causa di una maggiore produzione dei settori industriali in cui gli stranieri trovano facilmente occupazione oppure un più alto numero di lavoratori impiegati con un accresciuto rapporto tra lavoro e capitale.

Con l’ausilio dei dati della Rilevazione Longitudinale su Imprese e Lavoro effettuata dall’INAPP (ex ISFOL) e la Rilevazione sulle Forze Lavoro fornita dall’ISTAT, abbiamo cercato di inferire quale dei sopraelencati canali di aggiustamento abbia giocato il ruolo più importante per il mercato del lavoro italiano. In particolare, poiché vi sono numerose evidenze empiriche a favore di un effetto nullo sul salario medio, ci siamo concentrati sui secondi due.

 

La metodologia

Seguendo la scomposizione proposta da Dustmann e Glitz (2015), abbiamo stimato l’impatto di uno shock di offerta sui comportamenti delle imprese italiane. Come già anticipato, due sono i possibili cambiamenti che abbiamo cercato di valutare tramite la nostra analisi empirica. Innanzitutto, le imprese che fanno maggiormente uso del fattore divenuto relativamente più abbondante in seguito allo shock di offerta potrebbero aumentare la loro produzione. Abbiamo definito questa risposta specifica come “effetto scala”. Il secondo impatto, invece, è associato all’aumento del rapporto lavoro-capitale da parte di tutto il tessuto produttivo italiano. Questa risposta può essere definita come “effetto intensità”.

Per stimare questi due cambiamenti, si è calcolato il numero di lavoratori associati ad ogni regione, settore industriale e skill. Inoltre, la specifica domanda di lavoro, che in equilibro è pari all’offerta, è stata scomposta in un elemento associato all’effetto scala, un elemento associato all’effetto intensità e ad una componente residua. Ci siamo poi concentranti soltanto sui settori tradable, ossia quelli esposti alla concorrenza internazionale, per i quali, in linea con gli studi precedenti, possiamo effettivamente assumere un effetto nullo sui salari. Attraverso le stime OLS, validate inoltre dall’analisi a variabili strumentali, abbiamo ottenuto dei coefficienti che catturano l’impatto causale dello shock di offerta sull’equilibrio del mercato del lavoro italiano. I risultati sono a favore dell’effetto intensità e perciò possiamo concludere che l’aumento della forza lavoro indotto dall’immigrazione ha provocato un generale cambiamento tecnologico caratterizzato da un più alto rapporto lavoro-capitale.

Entrando maggiormente nella tecnica statistica utilizzata, possiamo riassumente che lo strumento utilizzato per correggere il problema di endogeneità, ossia l’impossibilità di stabile un nesso causale, presente nelle stime OLS è molto simile a quello proposto dalla letteratura economica sul fenomeno migratorio. In generale, diverse sono le ragioni che rendono la variazione dell’offerta di lavoro associata all’immigrazione un fenomeno correlato e non scatenante i cambiamenti del mercato del lavoro. Per esempio, gli immigrati potrebbero essere in grado di individuare le regioni dove la domanda di lavoro è in crescita, decidendo la propria destinazione in base a fattori correlati con le scelte produttive delle imprese e con il ciclo economico. Quindi, nel nostro caso specifico, se gli immigrati tendono a localizzarsi maggiormente nelle regioni in espansione economica, vi è una correlazione spuria tra shock di offerta e performance delle imprese.

Per risolvere questo problema delle stime, si può utilizzare una caratteristica comune dei flussi migratori. Diversi studi mettono in luce il fatto che i nuovi migranti tendono a stabilirsi nel paese di destinazione dove vivono già dei connazionali. Infatti, condividere esperienze e informazioni riguardanti il nuovo luogo di residenza sono vantaggi che riducono il costo dello spostamento. Si può quindi utilizzare la composizione etnica passata per catturare la componente esogena dell’immigrazione attuale – quella parte che dipende dalle reti sociali tra i migranti e non dalle condizioni dei mercati del lavoro locali.

La validità dello strumento scelto fa riferimento alla particolare storia del fenomeno. Da una parte, i flussi attuali vengono calcolati tra il 2005 e il 2010. D’altra parte, le informazioni sulla locazione passata dei migranti e la loro provenienza sono state ottenute dai dati del censimento del 1991. Da quella data ad oggi, due importanti shock politici hanno influito significativamente sulla legislazione sull’immigrazione, in modo da poter considerare il nostro strumento ragionevolmente esogeno alle condizioni attuali del mercato del lavoro. Innanzitutto, nel 1998, sono stati istituiti i centri di residenza temporanea che hanno scoraggiato gli spostamenti dei migranti sprovvisti di un permesso di soggiorno. La legislazione è diventata ancora più stringente nel 2002 quando è stata istituita la possibilità di un’espulsione immediata dei migranti irregolari.

Come già anticipato, la stima a variabili strumentali ha confermato un effetto generale sulle tecnologie produttive che ha portato ad una riduzione della quota di capitale impiegato.

Ciò che è più importante sono le implicazioni di politica economica che possiamo trarre dai nostri risultati. In particolare, la riduzione del costo del lavoro associato ai lavoratori immigrati, meno tutelati e con un più basso salario di riserva, non rappresenta un efficiente canale per l’incremento dell’occupazione. Allo stesso modo, la concorrenza internazionale, di cui abbiamo tenuto conto nella nostra analisi, sembra essere in grado di prevenire l’effetto sui salari ma non necessariamente favorire gli investimenti e il progresso tecnologico. L’unica via percorribile, perciò, sembra essere quella di favorire l’accesso al credito per le imprese. È questa la direzione che ci attendiamo prendano i politici italiani per favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro e poter trarre vantaggio da questa importante risorsa economica.

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