Lo scenario che condiziona le scelte finanziarie internazionali sta rapidamente cambiando. Il primo fattore di discontinuità è l’ormai imminente fine del QE: il bazooka di Mario Draghi verrà riposto nel fodero, ma non ancora conservato in soffitta visto che la ripresa sta rallentando, e la stessa inflazione, che sembra aver agganciato il 2 per cento, non ha una presa solidissima su quel livello.
Ad ogni modo, a cominciare da ottobre gli acquisti di titoli della Bce si dimezzeranno, per azzerarsi a dicembre mentre continuerano ad essere rinnovati i titoli in scadenza.
Il secondo fattore di novità sono le mosse della Fed, che a giugno ha alzato i tassi di un quarto di punto, tra l’1,75 e il 2 per cento, ed è solo il secondo ritocco dei quattro annunciati per l’anno in corso (più tre il prossimo). Una stretta decisa sia sulla base di una crescita robusta, ma anche di un’inflazione ormai stabilmente oltre il 2 per cento. Terzo fattore, l’instabilità dei mercati emergenti, che finora avevano attirato gli entusiasmi, e da cui è iniziata la ritirata. La politica economica di Trump, dalle tasse ai dazi, complica ulteriormente le cose e rischia di minare la crescita. La consapevolezza che la crescita dei corsi azionari non potrà continuare all’infinito fa il resto.
Come giocheranno queste variabili sulle scelte dei gestori del denaro? Alcuni consigli vengono da un panel di professionisti che si sono scambiati i punti di vista in un incontro alla Luiss. Da un lato operatori come Paolo Moia di Banca Profilo, Claudio Casadei di Anima sgr e Barbara Pastorelli di Vercapital sgr. Con un orizzonte diverso, più a lungo termine, ci sono le mosse di alcuni gestori di fondi: Walter Anedda presidente di Cnpac (la cassa dei commercialisti), Enrico Cibati, responsabile investimenti di Cassa forense, Gianluigi Costanzo responsabile della gestione del patrimonio di Fondazione Cariplo, Giorgio Fano, gestore finanziario di Eurofer, il fondo negoziale dei lavoratori Fs, e Saverio Massi Benedetti di Groupama. Eccole qui sintetizzate in un decalogo.
Inflazione: non è tutto oro quello che luccica, perché anche se il Qe ha spinto il mondo fuori dalla palude della stagflazione, la ripresa dell’inflazione non è uguale ovunque. Negli Usa si rischia il surriscaldamento, in Europa è piu corretto parlare di reflazione.
Corporate bond: potrebbero essere quelli che soffrono di più dal rialzo dei tassi dei Treasury, quindi attenti a stuare la mossa giusta.
Recessione: il momento verrà, ma non subito. Abbiamo ancora un annetto di tempo prima del terremoto.
Profitti aziendali: allarme, i margini sono bassi, soprattutto per le imprese legate alle materie prime.
Gestione del rischio: di questi tempi meglio una gestione “attiva” che “passiva”, in quanto in grado di difendere meglio dai rischi idiosincratici. Anche se finora la gestione passiva ha dato ottimi risultati, grazie all’onda montante di una serie di rialzi che non è mai stata così lunga.
Lungo/breve: la scelta dipende da tanti fattori ma, in linea di massima, maglio accorciare la “duration”.
Borsa: restare, per ora, sull’azionario. Con prudenza, però: non farà più la parte del leone nei portafogli e nella crescita.
Premio di illiquidità: è il nuovo mantra. Per generare rendimenti, occorre andare in cerca di strumenti di investimento “illiquidi”. Il più gettonato è il direct lending (anche se per qualcuno è assumersi un bell’azzardo).
Investimenti immobiliari: chi li ha fatti (soprattutto i fondi pensione), ne escono appena possibile. Perciò, meglio tenersi alla larga. O essere tanto abili da cogliere l’occasione d’oro.
Infrastrutture: è l’altro terreno di caccia, oltre al direct lending, per chi vuole ottenere rendimenti buoni e di lunga durata. Essendo ricercatissimi, non sempre sono a buon mercato.
Sullo stesso tema vedi:
Claudio Casadei, Anima sgr: Verso la fine del QE? Le prospettive per i mercati azionari europeiPaolo Moia, Banca Profilo: Verso la fine del QE? Gli scenari macro e i mercati (slides)