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Banche & crediti deteriorati
Il trimestre d’oro ha un nome: IFRS 9
Gandalf*

I risultati del primo trimestre di quest’anno hanno fatto stappare alle banche lo champagne che avevano tenuto in fresco per molto tempo. Ma a cosa si devono questi risultati, apparentemente così brillanti? Certo un ritorno alla redditività si è riscontrato già nel 2017, peraltro largamente indotto da componenti straordinarie. E il trend è continuato quest’anno. Ma c’è un altro fattore certamente non ricorrente che da gennaio ha dato una mano alle banche: l’introduzione del nuovo principio contabile IFRS 9. Un evento che ha rappresentato una grande opportunità per dare una spolverata ai bilanci.

E infatti il primo trimestre del 2018 ha rappresentato per le banche italiane un’occasione imperdibile per procedere ad una ridefinizione del profilo di rischio relativo al credito deteriorato, persino di dimensioni assai più ampie di quello registrato nel 2005 con l’introduzione dei principi contabili internazionali IAS/IFRS.

In questo caso, particolari regole relative alla introduzione del principio contabile IFRS 9 hanno fatto sì che rilevanti rettifiche su crediti (per le banche vigilate direttamente da BCE l’ammontare supera i 13 miliardi di euro) siano state addebitate il 1° gennaio 2018 al patrimonio, senza alcuna rilevazione a conto economico. In sintesi, tramite la cosiddetta “First time adoption”, le modifiche di valore di alcune poste di bilancio vengono imputate a riserve di patrimonio senza transitare dal conto economico. È evidente che si tratta di una questione prevalentemente formale, che tuttavia ha aiutato numerose banche nella decisione di rivedere in profondità le proprie strategie di gestione del credito deteriorato.

Quale diretta conseguenza dell’introduzione dell’IFRS 9, i risultati economici del primo trimestre 2018 sono migliorati sensibilmente (le stesse banche vigilate da BCE fanno rilevare un utile di periodo superiore a 3 miliardi), portando alcuni osservatori a stimare il risultato positivo in 10 miliardi di euro per l’intero 2018.

Proviamo a capire meglio che cosa è successo e come si nascondono nelle pieghe dei bilanci informazioni assai rilevanti, prevalentemente indotte da innovazioni regolamentari, che nel primo trimestre 2018 hanno inciso assai più dell’andamento gestionale, nella realtà non troppo diverso da quello del 2017 al netto delle rettifiche su crediti.

Tutto trae origine dal nuovo standard contabile IFRS 9 che ha sostituito a partire dal 1° gennaio 2018 lo IAS 39 che, fino al 31 dicembre 2017, ha disciplinato la classificazione e valutazione degli strumenti finanziari. Le novità sono numerose e di rilevante impatto soprattutto per gli operatori finanziari: incidono sulla classificazione e misurazione degli strumenti finanziari; sull’impairment; sull’hedge accounting.

Le banche italiane hanno riflesso nella valutazione dei crediti, effettuata il 1° gennaio 2018 secondo il modello di impairment IFRS 9, varie strategie di recupero, che includono anche la probabilità di cessione di crediti deteriorati così come previsti dai vari piani NPL predisposti su richiesta di BCE nel 2017 ed aggiornati nel primo trimestre 2018. Il nuovo principio contabile definisce la perdita su crediti come la differenza tra tutti i flussi di cassa contrattuali dovuti ed i flussi di cassa che la banca si aspetta di ricevere. Ne consegue che, qualora la banca preveda di vendere un credito non performing ad una terza parte sia al fine di massimizzare i flussi di cassa, sia in relazione ad una specifica strategia di gestione del credito deteriorato, la stima delle expected credit lossess (ECL) rifletterà anche la presenza dello scenario di vendita e quindi dei flussi di cassa derivanti da tale vendita.

E numerose banche hanno programmato consistenti scenari di vendita, in aggiunta al recupero considerato ordinario del credito deteriorato, su sollecitazione dell’Autorità di Vigilanza, al fine di corrispondere a quanto riportato nella “NPL Guidance” della BCE (marzo 2017) che ha richiesto alle banche con un’incidenza di crediti deteriorati superiore alla media delle banche europee, la definizione di una strategia volta a raggiungere una progressiva riduzione degli stessi.

Come già detto, l’ammontare degli impairment effettuati al 1° gennaio 2018 dalle banche vigilate direttamente da BCE ha superato i 13 miliardi di euro, prevalentemente a seguito delle nuove e complesse regole di impairment che includono, tra l’altro, parametri forward looking, derivanti dalla considerazione degli scenari macroeconomici futuri per tutte le categorie di NPL, e scenari di vendita per la parte del portafoglio deteriorato con caratteristiche di cedibilità.

Per alcuni intermediari l’impairment è risultato assai rilevante in termini di impatto sul patrimonio e sui coefficienti patrimoniali. Tuttavia, anche per questi casi arriva in soccorso una modifica normativa dello scorso dicembre (“Disposizioni transitorie volte ad attenuare l’impatto dell’introduzione dell’IFRS 9 sui fondi propri”, di cui al Regolamento (UE) 2017/2395) che offre alle banche la possibilità di mitigare l’impatto sui fondi propri dell’introduzione del principio contabile IFRS 9 consentendo di spalmarlo in un periodo transitorio di 5 anni (da marzo 2018 a dicembre 2022), cioè sterilizzando nel CET1 l’impatto con l’applicazione di percentuali decrescenti nel tempo (solo il 5 per cento nel 2018).

Quindi, modifiche nella regolamentazione che sono risultate particolarmente utili per supportare le banche italiane nel ridurre quello che rimane come il principale svantaggio competitivo nei confronti dei competitori europei: l’ammontare del credito deteriorato.

Ma tutto quanto finora previsto dalle strategie NPL della banche italiane sarà alla fine sufficiente a garantire uno stabile ed apprezzabile ritorno alla redditività delle banche italiane?

Al riguardo occorre avere consapevolezza sia del rilevante lavoro svolto dal sistema (nel corso del 2017 le sofferenze lorde si sono ridotte di 33 miliardi, attestandosi a 167 miliardi a fine 2017, e quelle nette si sono portate a 64 miliardi con una riduzione di ben 23 miliardi, prima dell’impatto dell’IFRS 9), ma anche di quello che rimane da svolgere, in larga misura incluso nella c.d. strategia NPL. Il Risk Dashboard dell’Autorità bancaria europea (ABE) segnala, su dati di fine 2017, che il NPL ratio medio delle banche europee si attesta al 4 per cento, mentre per le banche italiane resta superiore al 10 per cento.

La stessa ABE ha pubblicato l’8 marzo 2018 un documento per consultazione dal titolo Draft Guidelines on management of non performing and forborne exposure”, conseguente alle “Conclusioni del Consiglio (Europeo) sul piano d’azione per affrontare la questione dei crediti deteriorati in Europa” del luglio 2017. In quest’ultima occasione, in un documento assai ricco di indicazioni e sottolineature di ambiti di lavoro, viene evidenziato, tra l’altro, che, “sebbene ricada principalmente sulle banche la responsabilità di ristrutturare i propri modelli societari e risolvere tempestivamente i problemi relativi ai crediti deteriorati, ulteriori misure volte a far fronte agli attuali stock di crediti deteriorati e prevenire l’insorgenza e l’accumulazione di crediti deteriorati in futuro andrebbero a vantaggio dell’UE nel suo complesso, contribuendo a rafforzare la crescita e riducendo la frammentazione finanziaria”; e, inoltre, viene invita l’ABE a “presentare, entro l’estate del 2018, orientamenti generali sulla gestione dei crediti deteriorati, coerenti con i suddetti orientamenti e aventi un campo di applicazione esteso a tutte le banche dell’UE”.

Al riguardo l’ABE ha predisposto un corposo documento contenete le linee guida finalizzate alla riduzione degli NPL nei bilanci grazie ad un’effettiva attività di gestione degli stessi. Lo scopo dichiarato è quello di conseguire una riduzione sostenibile degli NPL nei bilanci, con benefici attesi sia da un punto di vista micro che macroeconomico. Il punto cruciale delle linee guida è rappresentato dalla citata strategia NPL (o NPE) che, tra l’altro, include una valutazione sulla capacità di recupero della banca, sulle opzioni esterne e sulle implicazioni relative al capitale. Questo ha obbligato le banche a redigere dei veri e propri “piani quinquennali” la cui realizzazione verrà costantemente monitorata dalle Autorità di vigilanza.

E il documento chiarisce che la strategia NPL viene richiesta alle banche con un NPL ratio superiore al 5 per cento, “che dovrebbe essere considerato come un elevato livello di NPL”. Pur non essendo il 5 per cento un target esplicitamente dichiarato, è evidente che rappresenta un obiettivo minimo da conseguire nei tempi più brevi possibili; quindi le banche italiane, che stanno oltre il 10, dovranno darsi da fare.

Ma le pressioni delle istituzioni europee finalizzate a ridurre ulteriormente i rischi che fanno capo al sistema bancario non si fermano qui. Da ultimo, il Consiglio Europeo del 25 maggio 2018 ha definito una posizione – che richiede conseguenti passaggi di approvazione del Parlamento Europeo – relativa a due regolamentazioni e due direttive in tema di requisiti prudenziali e di risanamento e risoluzione degli enti creditizi su tematiche di grande rilievo quali il c.d. requisito MREL (Minimum requirement for own funds and eligible liabilities). Un nuovo fronte, destinato a richiedere costose emissioni obbligazionarie alle banche del nostro paese.

* Gandalf è lo pseudonimo di un banchiere italiano