L’elevato livello del debito pubblico italiano costituisce un serio fattore di vulnerabilità per l’economia nazionale, collocando il paese in una condizione di sorvegliato speciale all’interno del contesto normativo europeo e di mercato. La fiducia degli investitori è prioritariamente condizionata ad un impegno credibile a favore della riduzione del rapporto debito/PIL, impegno che dovrebbe essere accompagnato da politiche di gestione del debito che contribuiscano a mitigare l’incertezza e le preoccupazioni dei mercati finanziari. L’analisi presentata in questo articolo tratta un aspetto legato appunto alla gestione del debito: la politica di emissione dei titoli di Stato. In particolare, si confrontano due strategie di allungamento della vita media dello stock di titoli con uno scenario di vita media mantenuta costante. L’obiettivo di queste strategie è ridurre il volume di emissioni annue, in modo da attenuare il rischio connesso al rifinanziamento dei titoli in scadenza e al finanziamento dei nuovi fabbisogni.
Negli anni più recenti, le favorevoli condizioni di finanziamento originate dal Quantitative Easing (QE) e da una congiuntura internazionale vivace hanno permesso di segnare una discontinuità rispetto al passato nella gestione del debito pubblico italiano.
Al forte rallentamento della dinamica crescente del rapporto debito/PIL (soli 2,2pp tra il 2013 e il 2017, dal 129% al 131.2%) si sono accompagnati: i) una risalita della vita media residua del debito e della componente titoli; ii) un aumento della quota di titoli a reddito fisso; iii) una più omogenea distribuzione delle scadenze.
Nonostante questa gestione virtuosa del debito, nei prossimi anni l’Italia dovrà ancora fare i conti con il collocamento di un considerevole volume di titoli (circa 400 miliardi annui) e con una domanda che risulterà indebolita dall’azzeramento degli acquisti netti da parte della Banca Centrale Europea (BCE) e dalla limitata disponibilità a nuovi acquisti da parte del settore bancario domestico.
A partire da queste riflessioni, nel 2017, abbiamo cominciato a ragionare sull’idea di una politica di emissioni che potesse allungare la vita media dello stock di titoli e ridurre i volumi da collocare sul mercato. Nella prima versione di questo esercizio, l’attuazione di una simile strategia appariva favorita dal combinato disposto di un costo del debito ai minimi storici e di un lento percorso di rialzo dei tassi previsto per gli anni a venire. Il più elevato livello attuale dei rendimenti ha reso il contesto odierno meno favorevole alla realizzazione di una tale politica, tuttavia la quantificazione del suo costo resta un utile esercizio illustrativo.
Le ipotesi
Nel nostro scenario di base si ipotizza che la vita media residua dello stock di titoli resti costante, attorno a 6,7 anni. L’ammontare di BOT resta invariato nel tempo, mentre il profilo delle emissioni diverse dai BOT è coerente con la composizione delle emissioni al 2017 e con le “Linee Guida della Gestione del Debito Pubblico – Anno 2018” (Fig.1a).
Tale scenario viene confrontato con due strategie di allungamento:
Le due strategie di allungamento permettono alla vita media residua dello stock di titoli di raggiungere nel 2025 rispettivamente quasi i 9 anni e i 10 anni.
Il calcolo dei costi avviene sulla base delle previsioni Prometeia circa l’evoluzione della curva dei tassi governativi e del fabbisogno pubblico. Con riguardo alla curva governativa, prevediamo nel 2020 e nel 2021 una diminuzione dei tassi sulle scadenze medio-lunghe rispetto al 2019 fino a un massimo di 30pb, mentre sulle scadenze a breve termine i rendimenti aumentano. Dal 2022 i tassi tornano a salire anche sul segmento medio-lungo, raggiungendo nel 2025 i valori medi previsti per il 2019 e stabilizzandosi poi su un livello appena superiore.
Infine si ipotizza che lo stock totale di titoli segua lo stesso sentiero nei tre scenari, ovvero il disavanzo non ingloba il maggior costo dell’allungamento, il quale, quindi, non viene coperto attraverso maggiore deficit, bensì attraverso minori spese e/o maggiori entrate.
Le emissioni annue
Dal 2027, a turnover completato, la strategia 1 garantisce una riduzione delle emissioni per quasi 70 miliardi (17-19%) rispetto allo scenario di base. Mediamente si hanno 315 miliardi di emissioni contro i 380 della baseline. La strategia 2, invece, prevedendo anche la sostituzione di 40 miliardi di BOT tra il 2019 e il 2022, permette di abbattere le emissioni annue di quasi 110 miliardi (27-29%) dal 2027. In tal caso le emissioni si stabilizzano attorno ai 275 miliardi (Fig.2).
Al netto dei BOT, il cui rifinanziamento risulta di più agevole realizzazione anche in situazioni di stress, e prendendo sempre come riferimento il 2027, le emissioni a medio-lungo termine ammontano a circa 160 miliardi di euro in ambo le strategie di allungamento, in media 65/70 miliardi (30%) in meno rispetto allo scenario di base.
I costi
L’esercizio considera il solo stock di titoli, il quale non è esaustivo del debito pubblico italiano (a fine 2017 costituiva l’84%). Parimenti, neppure gli interessi rappresentano l’intero costo del debito.
La strategia 1 prevede un maggior esborso per interessi rispetto allo scenario di base per 0,7 miliardi nel 2019 (da 53,9 a 54,6), 5,3 nel 2025 e 5,8 nel 2030 (Fig.3). Il maggior costo cumulato ammonta a 23,3 miliardi nel 2025 e a 51,7 nel 2030. Nella strategia 2 il maggior costo rispetto alla baseline è di 0,8 miliardi nel 2019, 6,3 nel 2025, 6,8 nel 2030 (Fig.3). Cumulativamente, si quantificano costi per 28.2 miliardi nel 2025 e ben 61,4 nel 2030.
A turnover avvenuto, il costo annuo dell’allungamento è nell’ordine dello 0,3-0,4% di PIL. Il finanziamento di questa operazione implicherebbe, quindi, la sottrazione di una importante quantità di risorse a misure di sostegno alla crescita, in un contesto caratterizzato da un elevato rapporto debito/PIL e in cui la spesa per interessi sullo stock di titoli tornerà a salire anche nello scenario di base, passando dai 53,9 miliardi del 2019 ai 62 del 2025 e ai 66 del 2030.
Questi risultati contrastano con quanto ottenuto nella prima versione del lavoro, dove l’onere aggiuntivo rimaneva stabile nel tempo nonostante l’allungamento progredisse. In quel caso l’allungamento permetteva di bloccare tassi più bassi per periodi lunghi di tempo e il risparmio così ottenuto andava a compensare il costo di uno spostamento verso scadenze maggiori lungo la curva dei rendimenti.
Questioni aperte
La fattibilità della strategia ipotizzata richiede infine alcune considerazioni rispetto alla sola analisi dei costi.
In particolare, è importante domandarsi chi (e perché) deterrebbe quantità significativamente maggiori di titoli a lungo termine, i quali sarebbero maggiormente penalizzati dagli attesi rialzi dei tassi. In entrambe le strategie, nel 2025, i titoli in essere con durata all’emissione di 15 e 30 anni aumentano rispetto allo scenario di base rispettivamente attorno ai 60 e ai 265 miliardi.
Negli ultimi anni i risultati dei collocamenti di BTP a 20, 30 e 50 anni hanno riscontrato una domanda vivace soprattutto da parte di fund manager esteri e di investitori, come fondi pensione e assicurazioni, meno sensibili al rischio di mercato per via delle caratteristiche delle loro passività. Tuttavia, questi investitori assorbirebbero interamente quantità così rilevanti di titoli? E poi, non vi è il rischio che, crescendo la partecipazione estera alla detenzione del debito pubblico italiano, la base di investitori possa risultare più volatile e propensa alla fuga in caso di deterioramento della fiducia?
Conclusioni
In definitiva, due principali risultati sono contenuti in questa analisi.
Il primo è che, a turnover avvenuto, le strategie ipotizzate permettono una riduzione delle emissioni lorde totali di quasi il 20% e il 30%, con la vita media residua dello stock di titoli che sale dagli attuali 6,7 anni rispettivamente a 9 e a 10 anni. Le emissioni diverse dai BOT diminuiscono dai 230 miliardi dello scenario di base ai 160-170 delle due strategie di allungamento (-30% circa).
Il secondo risultato è che una tale riduzione delle emissioni annue potrebbe essere conseguita ad un costo che ammonta a regime a circa 5-6 miliardi annui, corrispondenti allo 0,3-0,4% del PIL. Cumulando gli interessi aggiuntivi annui, si calcola che nel 2025, a sei anni dall’inizio dell’implementazione della strategia, le risorse impiegate a tal fine ammonterebbero a 23,3 miliardi per la strategia 1 e 28,2 per la strategia 2 (circa 1,3% e 1,6% del PIL).
In conclusione, una simile strategia appare oggi vincolata dalla onerosità dell’operazione unitamente alle evidenti difficoltà di reperire risorse nello spazio ristretto delle finanze pubbliche italiane. D’altra parte, richiamando la prima versione dell’analisi, l’allungamento delle scadenze si configurerebbe invece come un’utile e conveniente politica di gestione del debito in un contesto di tassi bassi e di lento ma sostanziale rialzo in previsione.
*Prometeia Associazione
**Università di Padova, Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno”; Prometeia Associazione