approfondimenti/mifid
Più informazioni dagli intermediari. Ma gli investitori devono essere in grado di comprenderle

Le nuove regole sulla product governance, cioè le informazioni sui costi di prodotti e servizi, e quelle sulla valutazione di adeguatezza (in cui la Commissione europea chiede di includere le variabili Esg), sono la sfida maggiore per le banche, ammette il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini. E lo sforzo deve essere fatto anche sul fronte degli investitori in termini di educazione finanziaria, per metterli in condizione di utilizzare al meglio le nuove informazioni fornite. Quanto agli effetti dell’unbundling, che nel resto d’Europa sta producendo contraccolpi su banche e società, da noi non si registrano cambiamenti rilevanti. Ma per sapere come è andato il 2018, il rendiconto annuale da spedire per la prima volta ai propri clienti si farà attendere

parla Giovanni Sabatini, direttore generale Abi

Quali effetti concreti ha già avuto la Mifid II sull’Italia?

La MiFID II ha rafforzato in modo trasversale i presidi già previsti dalla MiFID I con riferimento alla tutela degli investitori, alla struttura e al funzionamento dei mercati e alla trasparenza e comunicazioni circa le operazioni eseguite dalle imprese di investimento, introducendo anche alcuni presidi totalmente nuovi come la product governance.

Inoltre, la MIFID II, diversamente dalla precedente normativa, ha definito un quadro di massima armonizzazione delle norme, tramite il ricorso ai regolamenti europei (immediatamente efficaci, senza bisogno di misure di recepimento). E tramite la produzione di misure di attuazione e orientamento di terzo livello, tese a far convergere l’approccio di vigilanza delle competenti autorità nazionali. Il “livellamento del piano di gioco” comunitario ne ha giovato, mettendo a segno un risultato molto importante. Si tratta, dunque, di una novità normativa positiva per l’Europa e l’Italia.

Proprio perché si tratta di una direttiva di massima armonizzazione, la MiFID II rappresenta una normativa molto corposa e dettagliata. Basti pensare che essa è articolata su tre livelli. Il primo livello è rappresentato dalla Direttiva MiFID II e dal Regolamento MiFIR, il secondo livello da due Regolamenti delegati, una Direttiva delegata, 34 Standard Tecnici Regolamentari (c.d. RTS) e 11 Standard Tecnici Implementativi (c.d. ITS). A queste si aggiungono 6 Guidelines e numerose Q&A dell’ESMA che rappresentano le misure di terzo livello.

Le numerose innovazioni apportate stanno progressivamente generando effetti sul mercato. È quindi ancora troppo presto per valutare gli effetti sostanziali di tali innovazioni.

 

È opinione diffusa che la MiFID II abbia complicato, più che regolato il mercato. Anzi, che abbia per ora fallito la sua missione. Qual è la sua posizione?

La MIFID II ha accresciuto in modo rilevante le informazioni sintetiche e analitiche rese disponibili dagli intermediari agli investitori.

È importante che gli investitori comprendano il valore di tali informazioni e apprendano come utilizzarle correttamente per compiere scelte di investimento più consapevoli. Affinché questo accada è necessario anche accrescere il livello di educazione finanziaria. L’educazione finanziaria, infatti, aumenta la consapevolezza e la capacità critica, migliora la comprensione e quindi il dialogo tra cliente e banca, sollecita la riflessione individuale dei clienti sulle proprie esigenze di vita favorendo una visuale più ampia della pianificazione finanziaria.

Molte sono le iniziative realizzate negli ultimi anni, sia dal settore pubblico sia da quello privato – le banche svolgono un ruolo importante in questo campo – ma si continua a registrare un deficit di conoscenze finanziarie da parte dei risparmiatori italiani.

 

Qual è l’impegno più difficile da mettere in pratica per le nostre imprese finanziarie?

In generale gli intermediari italiani hanno avuto minori difficoltà ad adeguarsi alle novità della MiFID II rispetto a quegli degli altri paesi poiché la normativa italiana di attuazione della MiFID I aveva già compiuto scelte molto rigorose e coerenti con gli obiettivi della MiFID II.

Le novità di maggior impatto per le banche, per la parte delle regole di comportamento a tutela degli investitori, sono senza dubbio state le nuove regole di product governance, introdotte ex novo dalla MIFID II: sono quelle relative all’informativa aggregata sui costi e gli oneri dei prodotti e dei servizi di investimento, e i nuovi adempimenti introdotti con riferimento alla valutazione di adeguatezza.

 

Con l’inizio del 2019 la trasparenza e la standardizzazione dei costi da parte degli intermediari dovrebbe essere stata messa a punto. È vero?

Sì. La MiFID II ha accresciuto in modo rilevante i doveri informativi degli intermediari in materia di costi e oneri. In aggiunta a quanto già previsto dalla MiFID I (trasparenza una tantum in sede contrattuale circa i corrispettivi dei servizi offerti, trasparenza informativa successiva alla singola operazione di investimento tramite l’invio della conferma di eseguito in cui sono riepilogati tutti i termini dell’operazione, ivi inclusi il corrispettivo), la MiFID II ha infatti introdotto l’obbligo per gli intermediari di fornire ai clienti una informativa aggregata su tutti i costi ed oneri degli investimenti. Che prenda cioè in considerazione sia i costi relativi al singolo strumento finanziario, sia quelli relativi al servizio prestato per realizzare l’investimento. Questa informativa aggregata deve essere espressa in forma percentuale e in valore assoluto, con indicazione dell’effetto complessivo sul rendimento.

 

Quando avverrà la notifica ai clienti? E a tutti, cioè dettaglio e istituzionali, oppure solo ad alcuni?

Bisogna distinguere tra le due tipologie di informativa aggregata su costi e oneri. Gli intermediari, infatti, devono sia fornire informazioni ai propri clienti dei singoli investimenti, sia rendicontarli periodicamente.

Per quanto riguarda l’informativa ex ante, essa è stata fornita ai clienti sin dall’entrata in vigore della MiFID II (3 gennaio 2018). Tale informativa è aggiuntiva all’obbligo degli intermediari di consegnare al cliente al dettaglio, prima dell’operazione, il KID. Vale a dire un documento standardizzato a livello europeo redatto dall’emittente del prodotto che illustra le sue caratteristiche essenziali, o la scheda prodotto (per i prodotti per i quali non è previsto il KID), redatta dagli stessi intermediari per fornire informazioni sul singolo prodotto.

In aggiunta, gli intermediari devono periodicamente, almeno una volta l’anno, effettuare informativa ex post con riferimento alla totalità degli investimenti detenuti nel corso dell’anno di riferimento. Tale nuovo obbligo avrà per la prima volta applicazione con riferimento agli investimenti compiuti nell’anno 2018 e il rendiconto sarà prodotto dagli intermediari nel corso di questo anno, dopo aver ricevuto tutte le informazioni dai diversi produttori e aver effettuato le necessarie elaborazioni che a loro volta richiedono tempi tecnici.

La tempistica con la quale gli intermediari distributori invieranno tale rendiconto non può essere predeterminata, tenuto conto della diversità della tempistica con la quale le diverse società prodotto invieranno i necessari flussi informativi alle banche distributrici.

 

Per molti osservatori il cosiddetto unbundling dei costi della ricerca da quello dell’esecuzione dell’ordine, che doveva dare una informazione chiara al cliente del costo del servizio che stava usando, è diventata un boomerang: ha tagliato drasticamente (si dice anche del 70 per cento) la spesa degli intermediari nell’analisi. Ha messo sul lastrico molti analisti. Ha ridotto la qualità dell’analisi stessa. Ha tagliato le gambe agli analisti indipendenti. Che ne pensa? Questo effetto è registrabile anche da noi?

L’impatto è differenziato a seconda del modello di business. Al momento, data anche la relativa novità della normativa, non ci sono dati sufficientemente robusti per dare una valutazione oggettiva.

 

La MiFID II potrebbe essere un incentivo al consolidamento del mercato. Questo perché i costi che impone sono troppo alti. È vero?

I costi di adeguamento alla MiFID II sono indubbiamente elevati per gli intermediari. Tuttavia, ritengo che per quanto riguarda le banche tali costi non sono di per sé sufficienti a determinare o incentivare processi di consolidamento. Questo perché le banche svolgono principalmente l’attività di raccolta del risparmio e erogazione del credito, a cui si aggiunge la prestazione dei servizi di investimento.

 

Pensa che dopo il periodo di grazia del primo anno di vita sulla la MiFID II si possa riaprire il cantiere per introdurre delle modifiche?

Nonostante la MIFID II sia entrata in vigore da un anno, persistono ancora alcuni ambiti su quali sarebbe necessaria una maggiore chiarezza. Tuttavia, il processo interpretativo da parte delle autorità europee e nazionali è in corso, e non sembra esserci necessità di modifiche alla normativa.

Va però detto che la MIFID II è una normativa in continuo divenire per seguire le evoluzioni del mercato e delle esigenze dei clienti. Per esempio a maggio 2018 la Commissione europea ha presentato un pacchetto proposte di modifica della MiFID II, proponendo di includere le variabili ambientali, sociali e di governance (ESG) nella verifica delle preferenze dei clienti in termini di obiettivi di investimento (profilatura). Conseguentemente, di ricomprendere tali fattori nelle procedure di valutazione dell’adeguatezza degli investimenti. Su questi aspetti è appena partita la consultazione dell’ESMA.

Condividi questo articolo