Capire le elezioni americane
Leonardo Morlino
MORLINO

Quali sono le domande che dobbiamo porci per capire meglio le recenti elezioni USA di midterm? In prospettiva, cioè avendo in mente le elezioni presidenziali fra due anni e lo stato della democrazia USA, i quesiti sono due. Il primo: Trump è diventato il leader riconosciuto ed accettato del partito repubblicano, il GOP? Il secondo: il sistema elettorale uninominale maggioritario (il cosiddetto first past the post) privilegerà ancora, come ha fatto per decenni, il voto moderato?

Le due domande nascono entrambe dalla situazione nuova che si è creata con Trump e la sua sorprendente elezione nel 2016. Innanzi tutto, Trump era riuscito a vincere le primarie interne al partito, ma a dispetto dei leader del partito stesso. Era, cioè, un leader esterno, quasi il risultato di un’opa ostile. Tenendo presente il funzionamento effettivo del processo decisionale americano e la necessità del presidente dell’appoggio dei senatori e deputati per realizzare il proprio programma politico questa frattura andava necessariamente sanata. 

Uno dei momenti migliori per farlo erano proprio queste elezioni in cui il partito aveva bisogno del presidente. Trump ha perfettamente inteso e sfruttato l’opportunità in due modi: impegnandosi in prima persona e a fondo nella campagna elettorale e promuovendo i candidati più direttamente vicini a lui. I risultati elettorali sembrano avergli dato ragione. Il partito è ora molto più legato al presidente e diversi candidati a lui vicini sono stati eletti.

Anche la seconda domanda è assai importante e peculiare. Per come è congegnato, il first past the post privilegia i candidati moderati. Ovvero per vincere il seggio, avendo in mente un’immaginaria distribuzione del voto a campana, più sei vicino al centro più numerosi saranno gli elettori moderati che ti possono votare. Dunque, sulla carta e in base alle esperienze dei decenni precedenti, la campagna elettorale era quella moderata condotta da Hilary Clinton. Con Trump per la prima volta nella storia della democrazia americana contemporanea la presidenza è stata vinta da un candidato radicale. Come mai? Semplicemente, o anche purtroppo – a seconda dei punti di vista – la campana si è rovesciata. Il voto moderato è diventato largamente minoritario, e con la complicità dei sostenitori di Sanders che non sono andati a votare il radicale Trump ha vinto. 

In breve, negli USA vi è stato un processo di forte radicalizzazione politica che ha anche reso quella democrazia più difficile da governare. Con questa chiave di analisi la domanda appunto è: fino a che punto si è spinta la radicalizzazione a livello statale e locale? Se i risultati elettorali ci suggerissero una radicalizzazione diffusa, Trump potrebbe dire di avere già vinto le elezioni del 2020. Una risposta approfondita a questa domanda richiederebbe diversi controlli specifici. In prima approssimazione, sia pure con pochi dati a disposizione, si può affermare che visti i candidati eletti, sia repubblicani che democratici, in molte constituencies elettorali si è vista la campana rovesciata. Ovvero la radicalizzazione è emersa anche in molte constituencies, indipendentemente da chi ha vinto. 

Senza dubbio, non si tratta di quadro uniforme. In molti casi il candidato moderato è riuscito a conquistare il seggio. Ma la tendenza, emersa clamorosamente nel 2016, sembra consolidarsi ormai anche a livello locale. E questa non è una buona notizia per la democrazia americana, ma lo è per Trump, che può essere soddisfatto dei risultati ottenuti.

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