Intervista con Stefano Micossi
«In questo momento in Europa l’unica preoccupazione è come costruire un cordone sanitario intorno all’Italia per evitare problemi in caso di shock del debito». Stefano Micossi, economista, direttore generale di Assonime, sintetizza così il clima creato dai nostri conti tra i partner dell’Eurogruppo. «In cinque minuti 27 paesi su 28 hanno votato il sostegno pieno alla raccomandazione della Commissione che potrebbe portare, il 9 luglio, al via libera dell’Ecofin per l’apertura della procedura per deficit eccessivo recapitata al nostro paese». Nell’ultima riunione “informale” dei ministri, insomma, è arrivato un segnale eloquente dell’isolamento italiano, ma anche un messaggio: che il governo, con la mediazione del presidente Giuseppe Conte e gli equilibrismi contabili del ministro Giovanni Tria, riesca o meno a ottenere un rinvio della procedura, o addirittura una grazia, comunque nessuno si fida più dell’Italia. Troppe deroghe, troppa indisciplina. E, con un partner così, i passi verso una maggiore integrazione dell’area euro rallentano per tutti.
«L’Europa è in salute, e cresce da sette anni tra l’1,5 e il 2 per cento l’anno. Crescono i salari e l’occupazione. Tant’è che i movimenti popolisti si sgonfiano. L’idea di un’Europa in crisi è un’idea italiana», attacca Micossi. «Il vero problema, dentro questa costruzione, è questo paese, che non riesce a crescere e il cui debito ha ripreso ad aumentare. È per questo che gli altri non stanno negoziando avanzamenti istituzionali, ma ragionano su qual è il modo migliore per metterci un cordone sanitario intorno. Il negoziato sull’unione bancaria, per esempio, è bloccato a causa della situazione italiana».
Eppure il cantiere apparentemente è aperto: sono in corso le modifiche al meccanismo salvastati…
«Ciò che l’Economic and financial committee sta portando avanti ha una caratteristica: sono meccanismi per forzare la disciplina. A cominciare dall’Esm, il fondo salvastati. E lo fanno pensando a noi».
In che cosa consiste?
«Si è scelto di dare all’Esm il nuovo potere di giudicare i programmi in caso di assistenza finanziaria. Prima di tutto, si concede l’assistenza se il debito è sostenibile. E se non lo è? L’Esm potrà proporre di renderlo tale: chiedendo una ristrutturazione soffice, per esempio con un aumento delle scadenze, o più hard, con un haircut, dipende. Una mossa, questa di affidare all’Esm una competenza che prima era della Commissione, voluta dai tedeschi. E la ragione sta nel fatto che la flessibilità che ci ha concesso in passato la Commissione, 30 miliardi, è stata considerata eccessiva. Ora sarà un organismo intergovernativo a occuparsene, e la musica cambierà. Ultimo tocco: in nome della regola del “no bail out”, prevista dal Trattato all’articolo 125, qualsiasi programma di assistenza deve per forza presupporre che il debito sia sostenibile, altrimenti sarebbe appunto “bail out”. In sostanza, i nostri partner stanno rinforzando le difese anti Italia».
Perché il board dell’Esm, fatto dai ministri delle finanze dei vari paesi, dovrebbe essere più severo?
«Perché riporta le decisioni a livello dei governi, togliendole alla Commissione, giudicata su questo terreno un organismo troppo “politico” per via delle concessioni che ha fatto. Si è scelto di invertire la traiettoria concordata, che era in orgine quella di portare l’Esm all’interno del sistema comunitario, e di farlo obbedire al meccanismo decisionale della Commissione. Invece il sistema degli aiuti dell’Esm sarà più rigido. Con un contentino solo apparente…».
Quale?
«Una nuova linea di credito senza “memorandum of understanding”, cioè una linea di credito precauzionale che un paese può ottenere senza condizioni perché sta già rispettando le regole. Suona bene. Ma non riguarda noi. E chi rispetta le regole non ne ha bisogno».
E il resto: il bilancio dell’eurozona, l’assicurazione sui depositi… tutto fermo?
«Sul bilancio dell’eurozona il dibattito politico riguardava se i soldi messi a disposizione dovevano servire per affrontare le cadute cicliche dell’economia, o per aumentare la convergenza. La risposta è stata: per la convergenza. Ma l’Unione avrebbe bisogno di un bilancio anticiclico, in grado cioè di sostenere la domanda aggregata a livello europeo, e servirebbe ben altro che i 20 miliardi di dotazione di cui si parla. Anche qui, il pacchetto risponde al criterio: “se c’è la crisi il rischio è che gli italiani non paghino i debiti”».
Immagino che anche l’appello di Paolo Savona per affidare all’Esm l’emissione di un titolo “safe” europeo resti lettera morta.
«È un tema autentico. Il fatto di non avere un titolo di debito europeo condiviso produce, tra l’altro, i tassi negativi in Germania. I tedeschi, cioè, pagano il prezzo dei tassi negativi per il rifiuto di condividere i rischi: se ci fosse un safe asset i tassi sarebbero positivi. Ma un safe asset presuppone un accordo sull’unione fiscale che non c’è».
In caso di una nuova recessione, che alcuni prevedono in arrivo nl 2020, il sistema europeo è abbastanza robusto per reggere?
«In caso di recessione ci troveremmo con lo stesso scenario della Grecia nel 2010. Cioè un negoziato spietato sull’aggiustameno dei conti prima di vedere i soldi. Il sistema che abbiamo costruito non è “waterproof”. L’unico vero strumento in grado di ammortizzare gli shock è il sistema dei saldi Target2 (che regola i pagamenti nell’eurozona, ndr.), dove oggi la Germania ha un saldo positivo sui 6-700 miliardi, in larga parte nei confronti nostri e della Spagna, mentre noi siamo largamente in debito. Infatti, per forzarci sulla strada della disciplina, qualche tedesco chiede di obbligarci a rimborsare i Target2. Ma con quali soldi?».
Come vede il negoziato con l’Europa sul debito?
«C’è una componente della Lega che vuole preparare la moneta per uscire. Sono quelli dei minibot, una vera moneta parallela. E se ci mettiamo a stampare moneta siamo fuori, perdiamo l’accesso al mercato, con costi economici e sociali spaventosi. Dietro questa ipotesi vedo un pericolo per la democrazia, il rischio di una svolta autoritaria».
Conte e Tria non hanno spazio di manovra?
«Conte si sta muovendo con abilità ma per ora non ha il sostegna della maggioranza. Non è detto che lo trovi, quando si avvicinerà la soglia della perdita dell’accesso al mercato. Ma è un gioco rischioso, e costoso».
Quale può essere il punto di caduta di un compromesso?
«L’illusione è di cavarsela con lo 0,3 per cento di riduzione, ma in Europa vogliono almeno lo 0,6, una decina di miliardi. Quanto basta per appiattire la traiettoria del debito, che sale inesorabilmente, e non da ora, perché è dal 2016 che ha ripreso a crescere».
Il mercato però non dà segni di preoccupazione.
«Il mercato sconta il fatto che l’accordo si farà, altrimenti saliremmo in tutta velocità a 400 punti di spread. Anche io tendo a pensare che si fermeranno prima di sfasciare tutto, come è successo l’anno scorso in ottobre. La costituency del Nord, gli industriali, non ci stanno a farsi chiudere fuori dall’euro. Avremo un’altra estate di passione. Poi ci beccheremo un aumento dell’Iva. E dovranno attaccare la spesa».