Una stima per il caso italiano
C'è un legame tra economia digitale e produttività. Ma come si misura?

La versione integrale dell'articolo è pubblicata sul n°1/2019 di "Economia Italiana" https://economiaitaliana.org/wp-content/uploads/2019/03/EI_2019_1_03_Cinquegrana.pdf

Giuseppe Cinquegrana

Il persistere di livelli di bassa produttività del lavoro nei paesi occidentali nelle ultime decadi ha stimolato gli economisti a produrre numerosi lavori rivolti a spiegare in modo dettagliato quali fossero i fattori rilevanti nel determinare tale stagnazione e se non vi fossero questione irrisolte di misurazione del fenomeno.

In quest’ambito, uno specifico e più recente filone di studi si sta focalizzando sulla presenza e sulla direzione di un legame causale fra innovazione digitale e produttività. Tanto il Fondo Monetario Internazionale (IMF) che l’OCSE, ad esempio, hanno intrapreso un’intensa attività di ricerca finalizzata a valutare se e come il rapido ampliarsi del settore digitale abbia avuto impatto (diretto o indiretto) sulla produttività del lavoro nelle economie avanzate.

Il tema non si presta a un trattamento univoco. Da una parte si evidenziano, infatti, veri e propri problemi definitori, dal momento che i metodi convenzionali delle Contabilità nazionale non sono in grado di catturare completamente i nuovi flussi generati all’interno dell’economia digitale. Il sempre maggiore coinvolgimento delle famiglie nella produzione diretta di servizi in new business models con l’ausilio di intermediari digitali (su tutti valgano come riferimento Uber e Airbnb), la crescita delle piattaforme digitali che forniscono free services, l’ampliarsi della produzione own-consumption consentita dalla digitalizzazione (self-check in, self-service al supermercato etc..) sono tutti fenomeni che aumentano la dimensione dell’economia informale, con maggiori transazioni tra le famiglie e un ampliamento della produzione non-market, e per questo non pienamente considerati nel computo del Pil. Né i Conti nazionali sembrano cogliere pienamente il valore di mercato dei Big Data, che pure sono la vera cinghia di trasmissione della trasformazione digitale.

Dall’altra parte stanno più consuete problematiche di corretta misurazione dei prezzi di prodotti e servizi digitale (in particolare ICT equipment, Software, Comunication services), riconducibili alle fonti utilizzate, ai ritardi di disponibilità e di utilizzo dei dati, alle stesse metodologie contabili di stima dei deflatori, al susseguirsi delle revisioni.

Quando riportate a un paese come l’Italia, queste tematiche, vecchie o nuove che siano, si riconnettono ai noti ritardi accumulati nelle dinamiche relative della produttività, assumendo, quindi, una dimensione idiosincratica che merita un apposito approfondimento analitico. Il ritardo nell’introduzione e diffusione delle innovazioni digitali da parte di imprese, famiglie e istituzioni pubbliche italiane rispetto ad altri paesi avanzati, sembra aver posto ostacoli alla crescita nei settori produttivi a più elevata innovazione tecnologica, all’utilizzo efficiente degli inputs produttivi, al recupero della produttività.

Alcune prime quantificazioni del complesso legame fra economia digitale e produttività, con specifico riferimento al caso italiano, sono offerte nel presente lavoro, attraverso stime che affrontano sia il tema della corretta misurazione del prezzo dei prodotti e servizi digitali nei Conti nazionali, sia la particolare e sfavorevole situazione dell’Italia nel processo di trasmissione fra innovazione ed efficienza delle produzioni. A tal fine vengono sottoposti a stima due distinti modelli, il primo di natura strettamente contabile con differenti ipotesi sulle variazioni dei deflatori dei prodotti digitali, il secondo di tipo econometrico con verifica degli effetti diretti di un indicatore di sintesi della digitalizzazione sulla produttività del lavoro.

Il primo riguarda l’errore di misurazione in cui la Contabilità nazionale incorre nella misurazione dei prodotti digitali. Le dimensioni dell’errore sono in linea con quelle riscontrate dalla letteratura internazionale, ma nel nostro paese la distorsione che ne deriva è più pronunciata a causa delle più lente dinamiche di fondo della produttività. Correggendo l’errore di misurazione sui prezzi l’incremento della produttività risulterebbe, infatti, circa il doppio di quanto misurato dalle statistiche ufficiali. Questa osservazione indica l’opportunità di approfondire ulteriormente questo versante di analisi, anche con apposte disaggregazioni settoriali. Più in generale si trae una conferma delle difficoltà che si incontrano nel distribuire l’impatto della rivoluzione digitale fra prezzi e quantità, con una conseguente sottovalutazione della portata di quest’ultima in termini di benessere economico. 

Il secondo risultato attiene alla capacità del nostro sistema economico di estrarre un beneficio di produttività dall’adozione delle tecnologie digitali. Ai fini del calcolo di un coefficiente di impatto della digitalizzazione sulla produttività del lavoro si prende in considerazione l’Indice Digitale dell’Economia e della Società (DESI), che costituisce un indicatore di sintesi sul livello di digitalizzazione di ciascun paese europeo; l’indicatore copre cinque dimensioni: connettività, capitale umano, uso di Internet, integrazione di tecnologie digitali, servizi pubblici digitali. Ogni dimensione è a sua volta misurata da un indice sintetico, che riassume un insieme di indicatori di base su una varietà di aspetti di quella dimensione. La media ponderata dei cinque indici (0,25 per connettività e capitale umano, 0,2 per integrazione di tecnologie digitali, 0,15 per uso di Internet e servizi pubblici digitali) fornisce una misurazione complessiva del livello di digitalizzazione e del suo andamento nel tempo per tutti i paesi membri dell’UE. Gli indicatori europei confermano come l’Italia abbia accumulato un considerevole ritardo nel passaggio al digitale, che solo recentemente sembra in via di recupero. Il Programma Industria 4.0 e le altre misure per l’innovazione digitale, sembrerebbero avere stimolato le imprese e le istituzioni italiane ad avviare un intenso inserimento della digitalizzazione nei processi produttivi e distributivi e nel contesto sociale, ma in effetti il ritardo dell’Italia nello sviluppo del digitale appare ancora notevole rispetto sia alla media europea sia ai paesi da primato, e tale situazione risulta ancora più evidente se si effettua un’analisi comparata (figura 1) del tasso di crescita medio annuo della produttività del lavoro a prezzi costanti (fonte OCSE) dal 2017 al 2010 e la mediana dell’indicatore DESI nel periodo 2018-2014. L’Italia è nella zona con più bassa digitalizzazione e minore crescita della produttività.

Figura 1 – Indicatore DESI e produttività in Europa: la posizione dell’Italia

Fonte: ns. elaborazioni su dati dell’OCSE e della Commissione Europea.

La disponibilità degli indicatori DESI consente di impostare un semplice modello panel ad effetti fissi per la stima dell’impatto della diffusione digitale sugli andamenti della produttività. 

La stima econometrica del modello è stata effettuata in logaritmi con metodologia panel ad effetti fissi per gli anni 2018-2014 per 23 paesi dell’Unione Europea. Il modello evidenzia un’elasticità aggregata della produttività del lavoro rispetto all’indicatore DESI dello 0,21 (figura 2); in altri termini ad un aumento dell’1% della misura della digitalizzazione la produttività si incrementa dello 0,21% per l’Europa a 23 paesi*. 

Considerando gli effetti per paese risalta che l’impatto della digitalizzazione sulla crescita della produttività è rilevante per alcuni paesi quali l’Irlanda, 0,95% e quelli che affacciano sul Mare Baltico, rispettivamente la Lettonia, 0,48%, la Polonia, 0,39%, la Finlandia, 0,33%, la Svezia, 0,30, mentre per l’Italia è pressoché nullo. Il livello strutturale della digitalizzazione delle istituzioni private e pubbliche italiane è ancora ad una dimensione di notevole ritardo rispetto ai paesi digital-oriented, tanto che nemmeno la forte crescita dell’indicatore DESI dell’Italia nell’ultimo lustro riesce a colmare il deficit digitale. Tra i paesi più rilevanti per peso specifico del Pil, si evidenzia per la Germania presenta un coefficiente di impatto della digitalizzazione quasi pari alla media europea a 23 paesi, 0,18%, mentre per Regno Unito e Francia siamo allo 0,1% circa.

L’esercizio di impatto è stato, inoltre, replicato per le cinque dimensioni dell’indicatore DESI ed i risultati sono sempre riportati nella figura 2.

In particolare si evidenzia per il capitale umano un coefficiente di impatto della digitalizzazione sulla produttività per l’Europa a 23 paesi considerati pari allo 0,31%, con l’Irlanda che consegue il primato sfiorando il 3,0%. La Germania si conferma sul dato stimato per la media europea, mentre sono su livelli inferiori il Regno Unito, 0,25%, e la Francia, 0,16%, quest’ultima prima tra i paesi mediterranei, seguita dalla Spagna allo 0,11%, dall’Italia, che con lo 0,0% conferma l’inconsistenza dell’impatto delle competenze digitale sulla produttività, da Portogallo e Grecia che si caratterizzano per valori negativi. 

Un’altra dimensione sulla quale vale la pena soffermarsi è quella dei servizi pubblici digitali in cui l’impatto sulla produttività si conferma notevole per l’Irlanda, 1,0%, e per i paesi che affacciano sul Mar Baltico, tra i quali si inserisce la Spagna allo 0,28%, con la Germania allo 0,13% pari alla media Europea, mentre l’Italia conferma un coefficiente nullo. In effetti, la nota inefficienza nell’erogazione dei sei servizi pubblici erogati dalle Amministrazioni Pubbliche in Italia potrebbe essere in parte superata con l’adozione di un sistema digitale pari a quello degli altri paesi europei.

Figura 2 – Coefficiente** di impatto DESI su Produttività del Lavoro,  per paese e dimensione (UE a 23, anni 2014-2017)


**stima econometrica con metodologia panel ad effetti fissi

La questione vera, tuttavia, è che la stima econometrica indica come dalla crescita della dotazione digitale non stia comunque corrispondendo alcun significativo impulso sulla produttività. Ci troveremmo quindi di fronte sia a un problema di dotazione di base, sia ad un vero e proprio svantaggio competitivo, determinato dalla presenza di un più debole legame, rispetto ad altre economie, fra innovazione digitale e produttività. 

*Sono stati considerati in quest’analisi econometrica i 23 paesi dell’UE per i quali erano disponibili i dati dell’indicatore DESI e della produttività per gli anni 2014-17; nell’ordine i paesi sono di seguito elencati per sigla: AT, BE, CZ, DE, DK, EE, EL, ES, FI, FR, HU, IE, IT, LT, LU, LV, NL, PL, PT, SE, SI, SK, UK.  

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