POLITICA MONETARIA / COME AFFRONTARE L'EMERGENZA
Ci salverà l'elicottero?

In pochi giorni, nel mezzo di una tempesta in atto sui mercati finanziari, ci siamo ritrovati di colpo indietro di 12 anni. In meno di un mese le borse, dai massimi di inizio febbraio, hanno lasciato sul terreno tra il 25 e il 40% e gli spread dei paesi più fragili si sono impennati. Come nel 2008, sono le politiche economiche ad essere chiamate a reagire agli eventi, e sia Fed che Bce hanno preso provvedimenti immediati. Cos'altro si potrebbe fare? Ecco le proposte

Giorgio Di Giorgio
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Il mondo assiste con terrore al diffondersi del COVID 19. L’emergenza sanitaria che ha prima colpito la Cina sta rapidamente dilagando ovunque. I sistemi ospedalieri e sanitari dei paesi sono messi sotto pressione, si conta un numero impressionante di vittime e di malati che richiedono cure in terapia intensiva o sub intensiva.  

A fianco di tali drammatici sviluppi, non possono essere trascurate le rilevanti conseguenze indotte dalla crisi pandemica sui mercati finanziari e sugli scenari economici e commerciali. In meno di un mese le borse, dai massimi di inizio febbraio, hanno lasciato sul terreno figure comprese tra il 25 e il 40%, riduzioni di poco inferiori hanno interessato il debito corporate, in particolare nella categoria high yield. Le curve dei rendimenti governativi si sono rapidamente spostate verso l’alto, accompagnate da aumenti negli spread dei titoli emessi dai governi con finanze pubbliche più fragili.

Come già avvenne nel 2008, sono le politiche economiche ad essere chiamate a reagire prontamente agli eventi, per tentare di limitare danni pesanti ai redditi nazionali e all’occupazione, sia nei paesi industrializzati che in quelli emergenti. 

La politica monetaria ha risposto rapidamente alla sfida, quasi ovunque. Dapprima la Federal Reserve, a inizio marzo, ha ridotto di 50 basis points i tassi di interesse e assicurato ampio sostegno al funzionamento del mercato secondario per I titoli di Stato. 

Ad una settimana di distanza, la BCE, pur con errori clamorosi di comunicazione, approvava un pacchetto di misure per la verità notevoli, finalizzate a migliorare le condizioni di liquidità e di accesso al credito nell’area euro: il Quantitative easing, riattivato con 20 miliardi al mese di acquisti già da novembre, veniva dotato di ulteriori 120 miliardi, disponibili per l’acquisto sia di titoli del settore pubblico che corporate; una serie di operazioni settimanali di finanziamento a tassi negativi al settore bancario (con pieno assorbimento delle richieste) veniva predisposto per garantire pieno sostegno fino alla data del 24 giugno 2020, in cui si sarebbe attivata una nuova ondata di operazioni di finanziamento a lunga scadenza “mirate” esplicitamente a mantenere quantomeno, se non aumentare, l’offerta di credito bancario all’economia reale, a tassi addirittura potenzialmente inferiori a quello sui depositi presso la banca centrale (-50 bps).

Poche ore dopo, la FED annunciava un nuovo massiccio programma di espansione quantitativa, e a distanza di due giorni riduceva ulteriormente i tassi di interesse, di domenica e per un ammontare “eccezionale” di 100 punti base, riportando i tassi di policy nella forchetta 0-25 bps che aveva caratterizzato il lungo periodo che va dal fallimento di Lehman Brothers al timido primo accenno, poi rimandato di quasi due anni, di normalizzazione della politica monetaria, nel dicembre del 2015. 

E ancora, a seguire, di nuovo la BCE tornava ad intervenire annunciando un programma di acquisti esplicitamente indirizzato al contenimento degli effetti negativi prodotti dalla pandemia sulla dinamica degli spreads dell’eurozona e sul regolare funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria. 

In pochi giorni, nel mezzo di una tempesta in atto sui mercati finanziari, e nell’impossibilità di disporre di stime realistiche sulla tempistica e la dimensione del contagio nell’economia reale dovuto a chiusure di fabbriche, istituzioni pubbliche, esercizi commerciali, scuole, ci siamo ritrovati di colpo indietro di 12 anni, all’alba di una recessione globale, con l’aggravante del timore per la salute nostra, dei nostri cari e di tutto il genere umano. 

In questo contesto non può non sottolinearsi la grande differenza esistente tra Stati Uniti e Europa in merito al secondo grande attore di politica economica, la politica fiscale. L’amministrazione Trump, con l’angoscia di affrontare in una duplice crisi, economica e sanitaria, le prossime elezioni di novembre, ha dichiarato l’emergenza nazionale, sbloccato 50 miliardi di dollari vincolati alla protezione civile e deliberato un ingente fiscal transfer a favore dei cittadini residenti. 

In Europa, o meglio, nell’area dell’Euro, non si è potuto andare oltre il temporaneo abbandono del Patto di Stabilità. La sospensione di questo dogma europeo (peraltro i limiti a deficit e debito, come noto, sono regole di buon senso che non hanno vere basi concettuali) è stata palesemente imposta dagli eventi ma non va comunque sottovalutata: la sospensione del patto potrebbe aprire un dialogo più scevro da pregiudizi per costruire su basi maggiormente cooperative il futuro della politica fiscale europea. 

Tuttavia, oggi brilla in negativo l’assenza di una autorità fiscale centrale e di un bilancio europeo che lascia ogni singolo Stato a dover fronteggiare in autonomia una sfida difficile. A meno di richiedere che anche la politica fiscale venga, in delega, svolta dalla BCE.  Non è esplicitamente vietato nei Trattati che questa possa accreditare i conti correnti dei residenti nell’area euro, una tantum, o regolarmente per alcuni mesi, al fine di sostenere la domanda e consentire di onorare gli impegni debitori anche ai tanti che hanno perduto il lavoro o vedono le proprie entrate bloccarsi a causa delle severe restrizioni alle attività economiche  e al commercio. 

Una forma particolare di helicopter money, che non passi attraverso il finanziamento in base monetaria di aumenti di spesa pubblica o di riduzioni di tasse. Ma anche una  seconda opzione, su base temporanea e in via eccezionale, potrebbe essere concessa alla BCE. 

La BCE potrebbe accreditare i conti presso di lei accesi dai singoli Governi dell’Eurozona, affinché essi li usino per un ingente fiscal transfer ai propri cittadini, senza dover ricorrere ad aumenti di tasse o di debito per finanziare gli stessi, o per aumentare la spesa necessaria per far fronte all’emergenza sanitaria (costruendo nuovi ospedali e assumendo medici e infermieri). L’unione dello strumento monetario con quello fiscale configura un approccio emergenziale ed eccezionale alla politica economica. Non sono ancora in molti a ritenere che non sia questo il tempo di sperimentarlo!

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