Colin Crouch “ Se il lavoro si fa GIG” Il Mulino, Bologna 2019 pagg. 185 euro 13,00
Le trasformazioni del mercato del lavoro nel primo ventennio di questo secolo, con l’impatto significativo dell’innovazione tecnologica, sono già da tempo oggetto di analisi e riflessioni che, finora, non hanno portato ad un’unanimità di posizioni espresse.
I punti del dissenso sono numerosi: dall’ampiezza dei diritti tutelati dei lavoratori, al miglioramento complessivo della loro qualità di vita, alla rappresentatività e alla significatività delle organizzazioni sindacali.
In questo dibattito da un lato si collocano studiosi di ispirazione neoliberista, convinti nel mettere l’accento sulle caratteristiche positive di questi cambiamenti, tra cui la gestione in autonomia della giornata lavorativa; dall’altro vi sono quanti non perdono l’occasione, invece, per sottolinearne le conseguenze negative, principalmente per l’arretramento e il restringimento nella tutela dei diritti dei lavoratori.
Il libro di Colin Crouch, Professore Emerito di Sociologia, da anni consacrato a studiare l’economia capitalistica nei suoi diversi aspetti, interviene ora in questo acceso dibattito, analizzando una della nuove forme di organizzazione dell’economia digitale, la cosiddetta “gig economy”, l’economia dei lavoretti.
A differenza della “sharing economy”, che prevede la condivisione di risorse sottoutilizzate (come negli esempi di trasporto collettivo), la “gig economy” si impernia su un lavoro vero e proprio organizzato da una piattaforma digitale attraverso le prestazioni professionali dei freelance.
Come in altre occasioni, anche questo saggio di Crouch si apre con un riferimento a un fatto realmente avvenuto un paio di anni fa nel sud dell’Inghilterra: la morte di un corriere che lavorava per una ditta tedesca di logistica, una morte avvenuta per il rapido e letale peggioramento del diabete di cui quest’uomo soffriva.
Le indagini successivamente svolte misero in evidenza che il peggioramento era da collegare all’aver trascurato di sottoporsi ai consueti periodici controlli ospedalieri. E il particolare agghiacciante che venne alla luce fu che questa trascuratezza era stata indotta dal timore di incorrere in una nuova sanzione dopo la multa di 150 sterline, comminata dalla ditta qualche tempo prima per non aver effettuato tutte le consegne programmate in una giornata in cui il lavoratore si era dovuto sottoporre ad accertamenti clinici legati alla patologia da cui era affetto.
Il libro di Crouch, che si inserisce a pieno titolo nel dibattito sulle nuove forme di lavoro, suscitato dal clamore e dall’indignazione sollevati da questa tragica vicenda, ha il duplice merito di offrire al lettore una fotografia puntuale della situazione attuale dei mercati del lavoro e di proporre i necessari correttivi nell’ottica di una equità sociale, a giudizio dell’A., spesso fortemente compromessa dal lato dei più deboli.
La trattazione della materia viene svolta in modo da accendere fari di attenzione e riflessione, sia sulla crescita del lavoro precario nel mondo contemporaneo, sia sulle ambiguità del contratto di lavoro geneticamente squilibrato per l’asimmetria di base tra i due contraenti. Sia, infine, sul trend inizialmente crescente e, poi, sempre più in forte diminuzione delle forme di occupazione a tempo indeterminato nelle società contemporanee.
Non mancano, poi, le valutazioni di alcune misure attuate per il sostegno del lavoro e dei nuovi tipi di diritti che si stanno sviluppando dalla parte dei lavoratori, ma che di fatto ben poco incidono su quell’asimmetria cui prima si faceva riferimento. Una premessa indispensabile per meglio comprendere le caratteristiche delle diverse forme di precariato che si collocano al di fuori del modello standard di lavoro e alle quali l’A. dedica uno spazio adeguato.
Nel capitolo conclusivo, anche alla luce dei principali esiti di due importanti Rapporti sul mondo del lavoro pubblicati in questo secolo, centrati sulle sue trasformazioni e sull’impatto della tecnologia – il Rapporto Supiot del 2001 e il più recente Rapporto Taylor del 2016 – Crouch conferma la propria critica verso la tesi neoliberista che vede in queste nuove forme di occupazione un superamento del lavoro precario nella sua accezione classica.
Un giudizio positivo viene speso, invece, sull’esperimento danese della flexicurity: un modello di contrattazione coordinata che, da un lato si pone come modello virtuoso di riferimento imprescindibile per le riflessioni sugli aspetti innovativi del mercato del lavoro; dall’altro fa risaltare in modo evidente la divaricazione rispetto alle politiche del lavoro adottate anche recentemente in sede UE, che continuano a ricalcare schemi concettuali di tipo tradizionale.
Emerge così, con chiarezza, la reale sfida che si pone e si porrà in questi anni per le politiche pubbliche nel campo dell’occupazione: ridurre l’asimmetria di base del contratto di lavoro per migliorare concretamente la qualità di vita dei lavoratori dipendenti, senza, peraltro, nuocere all’efficienza organizzativa delle imprese e alla loro capacità di generare profitti.
Una sfida, certamente impegnativa e complessa, ma che per l’A. può essere ragionevolmente vinta. Ottimismo utopico? Probabilmente no, se – sostiene Crouch – si guarda a quei casi concreti già verificatisi, in cui all’asimmetria contrattuale ridotta è corrisposto un significativo miglioramento dell’efficienza del sistema economico nel suo complesso, in contesti caratterizzati da elevati standard occupazionali e da soddisfacenti livelli di tutela dei diritti dei lavoratori.