Le nostre democrazie sono condannate a un declino irreversibile perché non riescono a invertire il trend della protesta e della insoddisfazione dei cittadini? Secondo il famoso incipit di Tolstoj in Anna Karenina ci sono maniere diverse di essere infelici nei vari paesi. Così, mentre in Polonia può bastare poco a migliorare il welfare, da noi riaccreditare la democrazia agli occhi dei cittadini è più difficile. Ma una ricetta, comunque, c'è.
Il contesto socioeconomico delle democrazie europee è profondamente cambiato in questo ultimo decennio. Anche quello internazionale è diventato notevolmente incerto con le relative conseguenze economiche. Questi due sono i macro-fattori principali dell’attuale declino democratico. Si può invertire la tendenza uscendone con successo?
Cominciamo con il rispondere alle diverse domande implicite in queste prime affermazioni. Innanzi tutto, esiste un declino democratico?
Se si analizzano i giudizi e gli atteggiamenti dei cittadini europei sul funzionamento delle proprie istituzioni, insoddisfazione e, in diversi casi, protesta, prolungata e radicale come quella che avviene in Francia, sono evidenti. Sia pure con caratteristiche e livelli diversi, esse sono diffuse sia nell’Europa del Sud che in quella dell’Est, ma anche nel Regno Unito e altri paesi finora meno toccati dal fenomeno, ad esempio l’Austria.
L’insoddisfazione è dovuta sia a fenomeni oggettivi, quali la prolungata stagnazione dopo la crisi economica con la relativa disoccupazione, specie quella giovanile, sia ad accentuazioni soggettive di quei fenomeni da parte di leader e partiti che fanno vedere negli emigranti i responsabili dell’insicurezza delle nostre città o della disoccupazione. Ignorando in questo modo le trasformazioni tecnologiche, industriali e di mercato che portano alla contrazione dei posti di lavoro.
In breve, i problemi ci sono e modificano il contesto socioeconomico in cui si sono consolidate e stabilizzate le democrazie nei decenni passati, ma alcune forze politiche le usano ed accentuano per avere successo nella competizione elettorale.
Agli aspetti interni si aggiungono quelli internazionali: il mutamento del ruolo e della disponibilità degli Stati Uniti dall’inizio del XXI secolo è stato netto e continuo. Sottolineare solo gli errori e la erraticità di Trump trascura che il disimpegno internazionale è in continuità con quello inaugurato da Obama, sia pure con maggiore ragionevolezza e responsabilità.
Gli Stati Uniti non sono più il gendarme garante della pace nel mondo, ed altri attori diventano decisivi nelle aree che ci interessano, soprattutto nel Medio Oriente. Pace, intesa, collaborazione, anche solo perché vi era una sola potenza dominante, gli USA, non sono più caratteristiche di questo ultimo decennio, e anche oltre andando indietro nel tempo.
Però, il punto centrale del declino è che le nostre democrazie si sono stabilizzate e sono state sostenute dalla combinazione di crescita economica, che consentiva più facilmente politiche di redistribuzione, e dall’attenzione e soddisfazione dei diritti sociali, pensionamento per anzianità inclusa.
Se il contesto economico cambia, la struttura industriale è cambiata e la protezione dell’ambiente essa stessa costa, se le aspettative di vita sono aumentate con aumento della spesa pensionistica, e contemporaneamente le risorse disponibili sono diminuite, le nostre democrazie sembrano destinate a un declino irreversibile con sempre maggiore conflitto, protesta e polarizzazione.
Come se ne esce? È possibile invertire il trend? Qui non può che venire in mente il famoso incipit di Tolstoj in Anna Karenina sulle maniere diverse di essere infelici nei vari paesi. Ovvero paesi come la Polonia, che pure ha livelli di welfare comparativamente inferiori a molti altri paesi europei come la Germania e il Regno Unito, può migliorare quei livelli anche inventandosi i contributi monetari per aiutare le famiglie numerose, ovvero una forte crescita del salario minimo.
In tutti questi anni la Polonia non ha avuto crisi economica e ha un debito limitato. I suoi problemi sono piuttosto sul versante delle limitazioni delle libertà. In breve, lì i leader populisti hanno le condizioni oggettive per avere successo. Ma anche la Francia, con tutti i privilegi di chi va in pensione poco dopo i cinquant’anni e una situazione dei pensionamenti variegata e costosa, ha però un prodotto lordo alto e un debito limitato. Il conflitto continua, ma si troverà alla fine un qualche aggiustamento per la presenza di margini di compromesso.
Il problema più serio ce l’ha l’Italia, che pure avrebbe un maggiore equilibrio nel bilancio pensionistico. Gli squilibri regionali e l’alto debito paralizzano qualsiasi politica al di là delle ovvie dichiarazioni di chi non può ammettere la propria impotenza politica. E allora, di nuovo, come se ne esce?
La ricetta è ovvia e ben evidente per tutti: politiche graduali protratte negli anni e sempre attente ai diritti sociali e, al tempo stesso, al sostegno del sistema industriale possono fare raddrizzare la nostra democrazia mettendola lungo una rotta percorribile.
Ma per realizzare queste politiche ci vuole collaborazione sociale, meno conflitto, governi stabili e molto impegno responsabile. Insomma, un bel cambiamento di atteggiamenti e comportamenti politici delle élite italiane rispetto a quelli attuali.