Giovedi 12 settembre, la Banca Centrale Europea ha annunciato una nuova serie di interventi volti a favorire, in primo luogo, il tentativo di riavvicinarsi all’obiettivo della stabilità dei prezzi, definito come un tasso di inflazione vicino ma inferiore al 2% su base annua; ma anche a sostenere l’attività economica, l’occupazione e la dinamica del settore bancario nell’eurozona.
Il pacchetto prevede, come noto: una modesta riduzione del tasso sui depositi presso la banca centrale (da -0.40% a -0.50%); la ripresa del programma di acquisti di titoli, a partire dal 1 novembre 2019 e senza annunciare scadenze temporali, al ritmo di 20 miliardi di euro al mese; l’annuncio che tali acquisti netti saranno interamente reinvestiti allorquando verranno a scadenza i titoli in portafoglio per un periodo di tempo sufficientemente lungo a mantenere abbondanti condizioni di liquidità sui mercati anche successivamente all’inizio di una politica di normalizzazione dei tassi di interesse da parte della BCE; modifiche tecniche alle operazioni di TLTRO (targeted long term refinancing operations), la cui scadenza viene portata a 3 anni e il cui costo è previsto ridursi per le banche particolarmente virtuose nell’offerta di nuovi crediti; la riduzione parziale della penalizzazione imposta alle banche sulle riserve in eccesso (il tasso negativo) con il cosiddetto 2-tiering.
In aggiunta, nella conferenza stampa successiva alla conclusione del Consiglio Direttivo, Mario Draghi ha fortemente sottolineato come, nonostante esistano ancora spazi di azione per la politica monetaria, l’attivazione di politiche fiscali espansive nei paesi con le finanze pubbliche più solide sarebbe altamente auspicabile per garantire un più efficace sostegno alla ripresa dell’attività economica nell’eurozona e una dinamica adeguata dei prezzi. Ha anche sottolineato come l’imminente cambio di Presidenza alla guida della BCE richiederà coerentemente una azione di revisione della impostazione strategica complessiva della politica monetaria nell’Eurosistema.
Ancora una volta, l’effetto è stato positivo sui mercati, nonostante la percezione di parziali divisioni e qualche resistenza al “pacchetto” complessivo di misure, emerse all’interno del Consiglio Direttivo.
D’altronde i dati supportano totalmente quantomeno la direzione indicata dagli interventi: il tasso di inflazione è lontano dall’obiettivo della BCE e la sua dinamica, come riflessa in un rallentamento ulteriore delle aspettative, evidenzia rischi crescenti, seppur ancora modesti, di deflazione. Allo stesso tempo, in una economia globale in rallentamento, per una serie di fattori geopolitici ed economici (la guerra commerciale USA-Cina, il rallentamento dell’espansione del dragone, i dubbi sulla Brexit), l’Eurozona mostra i peggiori dati relativi in termini di crescita del PIL, con previsioni schiacciate intorno all’1% nei prossimi trimestri.
Se, al di là delle pressioni esagerate e scomposte del Presidente Trump, anche la Federal Reserve ha invertito la rotta, riducendo i tassi a breve a luglio e interrompendo la politica di riduzione dei titoli in portafoglio attraverso vendite sul mercato, non vi sono dubbi che la reazione della BCE fosse a maggior ragione necessaria. La dinamica economica negli USA, seppure evidenzi rischi al ribasso, mostra infatti ancora un tasso di espansione del prodotto ben superiore al 2%, un tasso di disoccupazione inferiore al 4%, una diversificazione produttiva settoriale molto ampia.
I rischi di recessione, indicati dall’inversione della curva dei rendimenti, ma anche da alcune altre misure del ciclo, come il leading indicator index o la lunghezza del ciclo espansivo, esistono, ma sono controbilanciati da dati positivi come il perdurare di una dinamica positiva dei profitti aziendali o tassi reali di interesse inferiori a quelli medi raggiunti in passato prima del verificarsi di altre recessioni.
Non c’è dubbio che le abbondanti condizioni di liquidità fornite da politiche monetarie così espansive a livello globale innestino nuovi rischi nel sistema, quasi a “drogarne” alcune dinamiche.
Per questo motivo, forse, il passaggio più rilevante dello speech di Draghi, che riprende anticipazioni già svolte in precedenza, è quello relativo a sottolineare la necessità di accostare prima, e sostituire gradualmente poi, all’attuale politica monetaria della BCE politiche fiscali espansive, ovviamente laddove spazi di bilancio sono presenti, nei paesi membri. Un candidato ovvio è la Germania, che ha sperimentato negli ultimi mesi una forte caduta della produzione industriale e rischia una recessione che avrebbe conseguenze negative su tutta l’Eurozona.
Il monito è importante, ma potrebbe rimanere sterile. Esistono alternative? In realtà sì, un ruolo fiscale potrebbe essere assunto anche dalla BCE stessa, richiamando il suggerimento su “l’elicottero” di Milton Friedman. La BCE potrebbe, ad esempio, accreditare direttamente i conti correnti dei depositanti nelle banche nell’Eurozona di una somma mensile per un determinato periodo di tempo, manovra non esplicitamente esclusa nel Trattato, che vieta solo il finanziamento in base monetaria dei disavanzi dei Tesori nazionali o del Bilancio comunitario.
Negli ultimi anni, diversi papers accademici hanno mostrato, riprendendo i suggerimenti emersi in alcuni dibattiti di policy, come diverse politiche assimilabili al cosiddetto “helicopter money”, siano più espansive di politiche fiscali o monetarie tradizionali. Vedremo nei prossimi mesi se queste lezioni saranno o meno incorporate nella revisione della strategia di politica monetaria che la BCE intraprenderà sotto la nuova guida di Christine Lagarde. Certo è che un migliore e più stimolante passaggio di consegne da parte di Mario Draghi, sarebbe stato difficile da immaginare.