COSA DICONO I GURU DELL'ECONOMIA
Anni Venti, ruggenti oppure no?

Esercizi di previsione su che cosa abbiamo davanti, da Sandbu a Mazzuccato, da Shiller a Rey. Con lo sfondo della secular stagnation

Paola Pilati

Sebbene gli anni Venti di questo secolo si siano aperti con una pandemia planetaria, tassi sotto zero, un’economia alle corde e debito alle stelle, l’esuberanza delle Borse che si è manifestata durante tutto l’anno, spingendo l’indice S&P a più 65 per cento negli Usa, e il FSTE 100 a più 31 per cento (accompagnati più o meno dagli indici in quasi tutto il pianeta), alimenta esercizi di previsione su cosa sarà degli investimenti finanziari: quelli che abbiamo davanti saranno dei nuovi ruggenti anni Venti?

Anche se Bloomberg invita i suoi lettori a non fidarsi delle previsioni, visto che in passato anche quelle di molto rispettabili guru hanno fatto cilecca, nell’esercizio si sono lanciati molti economisti e commentatori più autorevoli.

Martin Sandbu, prestigioso editorialista economico del FT, crede senza riserve alla possibilità che, a un secolo di distanza, l’esplosione vitale degli anni ruggenti che seguirono la Prima guerra mondiale possa ripetersi. E non solo per il 2021, ma proprio per un intero decennio. E questo per due ordini di considerazioni.

Uno riguarda l’atteggiamento psicologico delle persone che, rassicurate dalla campagna vaccinale, non vedranno l’ora di riprendere le abitudini a cui hanno dovuto rinunciare: e quindi a comprare, ad andare a cena fuori, a viaggiare. Un’onda di nuovi consumi metterà le ali alla ripresa economica, e la voglia della gente di gettarsi dietro le spalle il 2020 sarà il miglior carburante per ripartire.

Il secondo motivo su cui Sandbu fonda il suo ottimismo è che il sostegno della politica economica, l’allentamento del rigore sul fronte dell’indebitamento, il supporto della politica monetaria, che hanno compensato il crollo dovuto al lockdown, resteranno ancora in piedi per un po’. Anzi, dovranno diventare misure ancora più incisive, per affrontare i problemi che la pandemia lascia sul terreno.

Quali problemi? Quelli delle attività che non sapranno rialzarsi, quelli delle persone che hanno perso il lavoro, quelli che non solo non sono riusciti a mettere da parte risorse – come è avvenuto viceversa per molti possessori di conti correnti – ma sono finiti in rosso fisso. Quelli insomma che sono stati spinti dalla crisi verso i margini della società e che non possono essere lasciati da soli.

È in questa direzione che soprattutto insiste Mariana Mazzuccato, economista allo University College di Londra nonché consigliere di Giuseppe Conte a palazzo Chigi. Mazzuccato lancia quasi un suo “manifesto” in quanto considera il Covid come l’occasione per ricostruire dalle fondamenta il sistema, mettendolo in grado di risolvere tutte le grandi sfide sociali pendenti grazie alla disponibilità di mezzi straordinari messi a disposizione. E questo spingendo i governi a orientare con decisione le economie nazionali verso obiettivi di sviluppo sostenibile e verso una struttura economica più equa. Insomma, gli anni Venti come una palingenesi

Ma c’è un lascito del Novecento che ricompare come l’ombra di Banquo nell’orizzonte previsionale: è la secular stagnation che Lawrence Summers – economista ad Harvard ed ex ministro del Tesoro – ha riportato in auge nel 2013, e che continua a ricordarci l’implicita condanna a una crescita bloccata e della necessità di continui stimoli monetari da parte delle banche centrali, visto che la leva dei tassi è diventata fuori uso.

Se è qui per restare, e continuare a tracciare il cammino nel medio-lungo termine come molti pensano, la secular stagnation ha avuto anche l’effetto di spingere le quotazioni, e di fare delle Borse il posto più effervescente per gli investitori frustrati dai tassi ai minimi. Dunque continuerà così, assicura un altro super-economista come Robert Shiller.

Premio Nobel e professore a Yale, Shiller prevede che le azioni rimarranno attraenti ancora a lungo, e questo sulla base di un suo indicatore chiamato ECY (excess cape yield) che mette a confronto azioni e obbligazioni (https://www.project-syndicate.org/commentary/making-sense-of-soaring-stock-prices-by-robert-j-shiller-et-al-2020-11) il cui andamento promette di tingere le borse di rosa. A patto, ovviamente, che i tassi rimangano bassi.

Una previsione rischiosa, ammonisce un’altra star tra gli economisti, Alberto Edwards di Société Generale, famoso per buttare acqua sul fuoco. Ma è una voce piuttosto isolata. Neanche il fatto che i titoli dei listini Usa non siano mai stati così cari, smonta il sentire dominante nelle stanze delle banche d’investimento. Che resta di umore Toro, in attesa di nuovi record.

Visto che il mercato quando attribuisce un prezzo non lo fa sull’oggi, ma sugli utili futuri, il 2021 è insomma piazzato benissimo per essere un anno con tutti i crismi di una crisi alle spalle, come appunto spiegava Sandbu all’inizio.

Perché i tassi bassi resteranno tali a lungo, prevede anche Hèlene Rey, economista alla London Business School. Aggiungendo, però, di prestare attenzione a quel fattore che molti vogliono dimenticare, e che potrebbe guastare la festa. Fattore che si chiama debito. L’elefante nell’armadio.