Sono ancora incerti i tempi entro cui conosceremo i risultati definitivi delle elezioni negli Usa. Ma a una domanda, per noi importante, cominciamo avere qualche prima risposta. La domanda è: qual è l’impatto elettorale della pandemia? Ovvero: la pandemia ha cambiato il comportamento di voto degli americani e, se sì, in che direzione? Una risposta approfondita sarà utile anche per capire meglio altre elezioni che si terranno nei prossimi mesi, ma anche senza conoscere gli esiti elettorali qualche osservazione rilevante si può già fare.
Iniziamo dalla prima. In anni ‘normali’, cioè in assenza di crisi o altri shock esterni, lo stare al governo è un vantaggio per il presidente o qualunque altro governante democratico che affronta una prova elettorale. Le ragioni prevalenti, di solito richiamate, fanno riferimento alla maggiore visibilità di chi sta al governo e alla gestione delle risorse pubbliche, cioè a due vantaggi che possono attrarre più facilmente il consenso degli elettori.
In tempi di shock esterni, ad esempio di crisi economica, gli effetti interni della stessa ribaltano la prospettiva: l’elettore scontento punisce il governante per una situazione che magari non dipende da chi detiene il potere, ma come una sorta di responsabile oggettivo.
Ma che cosa succede se lo shock esterno è una pandemia? Dovremmo dare per scontato che l’elettore massicciamente punisca il candidato uscente che ha gestito la pandemia. Ma, come sappiamo, così non è stato in Italia, dove diversi presidenti di regione sono stati invece premiati o anche puniti dagli elettori a seconda del loro giudizio sulla gestione governativa dell’emergenza sanitaria. È questo che sta avvenendo anche negli USA?
Come si sta vedendo, la risposta dell’elettorato è più articolata e anche contraddittoria. Da una parte, sembra diffusa l’opinione che un atteggiamento di sottovalutazione del fenomeno, se non proprio di negazione, abbia condotto Trump a gestire male l’emergenza. Infatti è tra i pochi presidenti che in questi ultimi decenni rischia di non essere rieletto per il secondo turno.
Dall’altra parte, non sembra che per una porzione dell’elettorato americano la protezione della salute e la conseguente migliore gestione della pandemia siano le maggiori priorità. Per molti elettori sembrano essere più importanti altri problemi, in questo mostrando come Trump sia allineato ai loro atteggiamenti e ai conseguenti comportamenti elettorali. Alla fine, quindi, l’impatto elettorale della pandemia dipende semplicemente dall’importanza attribuita alla protezione della salute, che si presume maggiore in società con età media più alta.
La seconda considerazione, suggerita da queste elezioni rispetto alla pandemia, riguarda la polarizzazione dell’elettorato. Altre elezioni in altri paesi e momenti drammatici, mostrano che di fronte a una forte incertezza, l’elettore medio – confermando anche un punto fermo dell’economia comportamentale – è avverso al rischio e, quindi, è indotto a premiare il candidato moderato che gli dà più sicurezza.
Nel caso degli USA, questa tendenza può essere rafforzata da un aspetto di fondo della legge elettorale maggioritaria, vigente in quasi tutti gli stati, che appunto premia i candidati moderati. Questa ipotesi potrebbe venire confermata, anche parzialmente, se Biden vincesse bene, cioè vincesse in quasi tutti gli stati in bilico. La vittoria di Trump la falsificherebbe, mostrando ancora una volta sia la complessità del reale sia l’erroneità di qualsiasi assunto. In breve, c’è sempre da imparare. E lo vedremo.