Incoraggiamo rispettosamente il Parlamento italiano e il Governo a riconsiderare..., scrive l'International Corporate Governance Network, forte di 90 trilioni di dollari di asset amministrati. Ecco, punto per punto, le critiche della finanza globale al testo che dovrebbe rendere più competitivo il nostro mercato dei capitali
“Gli investitori sono preoccupati per diversi elementi chiave che rischiano di indebolire la tutela degli azionisti di minoranza e potrebbero minare la fiducia nel mercato italiano tra gli investitori istituzionali a lungo termine”.
È questo il messaggio chiave che l’International Corporate Governance Network (ICGN) ha voluto far arrivare a Marco Osnato, Fratelli d’Italia, presidente della Commissione Finanze della Camera, e a Federico Freni, sottosegretario leghista al ministero dell’Economia (nonché candidato alla presidenza della Consob dopo Paolo Savona), tramite una lettera recapitata il 12 dicembre.
A smuovere l’ICGN è la proposta di decreto, attualmente in discussione in Parlamento, con cui il governo dichiara di voler dare più competitività al mercato italiano dei capitali ottenendo, a quanto dicono i mittenti, il risultato opposto.
Ma chi sono questi mittenti? L’ICGN riunisce grandi investitori finanziari istituzionali di oltre 40 paesi, sia banche che grandi fondi d’investimento, da Amundi a Blackrock, da Eurizon a Nomura, da J.P. Morgan al Qatar investment authority al Fondo delle Vedove scozzesi, tanto per citarne alcuni, con asset gestiti per 90 trilioni di dollari.
Nella loro compìta lettera (“incoraggiamo rispettosamente il Parlamento italiano e il Governo a riconsiderare…”, si legge), questi protagonisti del mercato mondiale dei capitali bocciano senza mezzi termini molte delle proposte del decreto, a cominciare da quelle che riguardano il nuovo regime di regole per le Pmi e le quotande, di cui Fchub si è occupato nell’intervista a Luca Enriques.
La possibilità accordata alle nuove società che approdano in Borsa di derogare al voto di lista – che è il sistema che oggi garantisce ai soci di minoranza di ottenere una rappresentanza nel consiglio d’amministrazione e nel collegio dei revisori – è vista dai grandi investitori come fumo negli occhi. Il voto di lista è una protezione che deve restare in vigore, affermano, così come la disciplina sulle operazioni con parti correlate. In questo caso, salvo che per operazioni particolarmente significative, il parere di un comitato indipendente sarebbe rimpiazzato, secondo il nuovo decreto, con un rapporto a posteriori al board, mentre una procedura trasparente, ricorda l’ICGN, vuole che il conflitto d’interessi degli amministratori vada invece esaminato ex-ante.
E che dire del modo in cui queste deroghe possono essere ottenute? “La bozza di legge prevede che se una società esclude anche solo una delle disposizioni che garantiscono i diritti degli azionisti – in fase di IPO o tramite una finestra di transizione per le PMI – possa successivamente escludere tutte le tutele rimanenti utilizzando i quorum standard per la modifica dello statuto senza il requisito che la maggioranza degli azionisti di minoranza sostenga la modifica e senza il diritto di recesso per gli azionisti dissenzienti. Temiamo che ciò aggiunga un ulteriore livello di complessità che potrebbe lasciare gli investitori all’oscuro, incapaci di prendere decisioni di investimento realmente informate. Esiste un chiaro rischio che gli investitori non abbiano una piena comprensione della governance della società al momento dell’IPO”. Più chiaro di così il messaggio della missiva non potrebbe essere.
Ma non finisce qui. Il decreto del governo contiene altri aspetti che riguardano modifiche della governance delle società quotate che fanno arricciare il naso ai grandi investitori istituzionali. E non si fanno pregare a elencarli.
Primo, il voto degli azionisti sulle politiche di remunerazione dei top manager dovrebbe passare, secondo il decreto, da vincolante a consultivo. Ebbene, “le aziende italiane che scegliessero questa opzione sarebbero un caso a parte nel mercato europeo, dove le votazioni sulle politiche retributive sono tipicamente vincolanti”.
Secondo, le modalità che consentono l’uso del take-over con la finalità di togliere una società dalla Borsa. In questi casi, le protezioni per le minoranze sono molto deboli. Per rafforzarle, ICGN sottoscrive quanto proposto dal suo socio Assogestioni (l’associazione italiana del risparmio gestito): le decisioni che conducono al delisting devono essere approvate con un’assemblea straordinaria dei soci e una maggioranza del capitale presente del 90 per cento; i diritti di voto multiplo vanno neutralizzati; va consentito il diritto di recesso degli azionisti nel caso si tratti di società quotate sui mercati non regolamentati; il valore di quel recesso sia uguale al prezzo del takeover, non alla media degli ultimi sei mesi come oggi.
Quanto alla diffusione del voto multiplo, che gli azionisti di maggioranza mostrano di apprezzare sempre di più, colossi che gestiscono 90 trilioni di dollari in giro per il mondo si dimostrano i migliori avvocati dei diritti delle minoranze. La best practice della corporate governance è quella che prevede una azione un voto, rammentano.
Qualsiasi altra regola consente “ai fondatori e agli azionisti di controllo di monopolizzare il processo decisionale, mettendo potenzialmente a rischio gli interessi degli azionisti di minoranza e facilitando l’espropriazione degli azionisti di minoranza”. Se proprio si vuole il voto multiplo, quindi, che almeno abbia una clausola di decadenza automatica dopo qualche anno.
Infine, l’ultima preoccupazione: il decreto legislativo consente al board di tenere assemblee a porte chiuse, senza chiedere l’approvazione degli azionisti. Il passo verso la trasformazione dell’assemblea a porte chiuse in opzione standard è breve, agevolato dal fatto che, per opporsi, gli azionisti dovrebbero aggregare il 5 per cento del diritti di voto, soglia molto alta.
Sarebbe meglio che l’Italia si attenesse alle prassi seguite globalmente, consiglia in conclusione l’ICGN. E chiude: per rendere competitivi i mercati dei capitali servono la stabilità degli standard di governance e la protezione degli investitori. Mentre il rischio di dover ricorrere in pochi anni a nuovi decreti correttivi qui è davvero alto. Meditate gente.