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PRETESTI
Le ragioni dell'Ucraina per ottenere i fondi russi

I timori europei sull'utilizzo dei fondi russi. Le soluzioni prospettate. L'arma delle sanzioni. Ma intanto l'Ucraina ha bisogno di risorse per resistere all'aggressione. Ecco una strada che, in punta di diritto, Kiev potrebbe percorre per ottenere quei fondi

Oliviero Pesce
Olivero-Pesce

La discussione in corso sull’utilizzo dei fondi russi congelati in Europa a favore dell’Ucraina, il loro utilizzo militare o per la ricostruzione, e le sanzioni europee e statunitensi nei confronti della Russia e nell’interesse dell’Ucraina, sono temi strettamente correlati.

FONDI RUSSI

Il terzo pacchetto di sanzioni europee, assunto poco dopo l’invasione russa dell’Ucraina, proibiva qualsiasi transazione relativa alla gestione delle riserve e dei beni della Banca centrale russa detenuti in Europa, stimati in circa 210 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (191 miliardi) presso l’Euroclear, società di diritto belga con sede a Bruxelles, per il saldo depositati in Lussemburgo.

Le preoccupazioni della stessa Euroclear e del Belgio, da un lato, per il timore di ritorsioni e di azioni legali della Federazione russa, e quelle della BCE, per il timore che il loro utilizzo diretto da parte europea avrebbe potuto avere effetti negativi sui depositanti di fondi presso le banche e quindi sulla stabilità del sistema bancario europeo e sul ruolo internazionale dell’euro, hanno portato all’instaurazione di un sistema assai barocco in relazione al loro utilizzo.

I beni russi congelati sono stati considerati beni sovrani, e quindi intoccabili; ma, in quanto congelati, i frutti dei relativi investimenti sono stati considerati non più interessi, ma l’accumulazione di windfall profits (redditi inattesi) del depositario (l’Euroclear), impossibilitato giuridicamente ad utilizzarli (ovvero ad appropriarsene), ma non più beni sovrani. Il Consiglio, infatti, nel 2024, ha ribadito che, in base alle sanzioni, tali redditi non sarebbero stati restituiti alla Banca Centrale Russa neppure dopo la revoca delle misure, e che «quindi, non costituiscono beni sovrani». L’asserzione implica che le norme di diritto internazionale relative alle immunità degli Stati non siano applicabili a tali fondi.

Francamente non si capisce perché appropriarsi dei frutti di un capitale sia meno grave, sul piano legale e reputazionale, all’appropriarsi di un capitale, ma a tale conclusione l’Ue è giunta. Il 21 maggio, il Consiglio ha deciso che il 90% di tali windfall profits sarebbe stato destinato al sostegno militare dell’Ucraina, e il saldo allo sviluppo dell’industria della difesa ucraina e alla ricostruzione, per il tramite, per la quota relativa al sostegno militare, del Fondo europeo per la pace (EPF). L’Ungheria non prese parte alla decisione.

Il Consiglio ha anche deciso che, dato che la decisione era stata presa direttamente dal Consiglio stesso, non sarebbe stato necessario che i fondi venissero accettati dal Political and Security Committee e autorizzati dal EPF Committee, la loro destinazione essendo già decisa. Josep Borrell, ex vice-presidente della Commissione e Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dal 1º dicembre 2019 al 1º dicembre 2024, ha anche dichiarato che, dato che l’Ungheria non aveva partecipato alla decisione sull’utilizzo di tali fondi, non aveva legalmente diritto a partecipare alle decisioni sulla loro destinazione, anche perché non si trattava di fondi derivanti dal bilancio dell’UE o da stati membri, ma da beni russi. Una foglia di fico.

Si è fatto ricorso, per trasferire i fondi, in misura infima, all’Ucraina, di concederle un prestito non dei windfall profits, ma garantito da tali fondi, il che, a mio sommesso avviso, rende piuttosto inconsistente la tesi di Borrell relativa all’Ungheria. Quanto invece ad un prestito basato sui capitali congelati, essi verrebbero trasferiti all’Ue, che li presterebbe a Kiev, in cambio di obbligazioni in capo alla Banca Centrale Russa, ma tenuti fermi fino al risarcimento dei danni di guerra all’Ucraina. 

Come abbiamo visto, il Belgio teme però una causa internazionale da parte della Russia, e chiede una garanzia pro rata degli altri Stati membri. L’esito probabile – si dice – è che l’operazione venga decisa a dicembre, distribuendo tra tutti i Paesi una quota del rischio da garantire. Quella italiana sarebbe sui 20 miliardi e si dice che preoccupi il governo. Ma tutti, a cominciare dalla Bce, chiedono alla Commissione di studiare meglio la proposta. Si ritiene che si vada verso un «sì» collettivo tra due mesi.

I DIRITTI DELL’UCRAINA

Chi scrive ritiene però che, anche se i fondi sono stati congelati dalla Ue in base alle sanzioni, possa essere l’Ucraina a chiedere alla Corte internazionale di giustizia, nota anche con il nome di Tribunale internazionale dell’Aia, di assegnarle al Paese. Infatti:

1)  L’adesione allo statuto della Corte Internazionale di Giustizia è una conseguenza automatica dell’adesione all’ONU, secondo l’articolo 93 della Carta delle Nazioni Unite. Inoltre L’Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri (articolo 2 punto 1), il che esclude che uno Stato che abbia violato lo Statuto delle Nazione Unite possa sottrarsi a tale giurisdizione.   

2) L’aggressione russa dell’Ucraina è stata effettuata in chiara violazione dei preamboli, degli articoli 1 punto 1 e 2 punto 4 del Trattato istitutivo delle Nazioni Unite, cui sia l’Unione sovietica (e quindi la Federazione russa) sia l’Ucraina hanno aderito e che leggono rispettivamente:

1.1. I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace.

2. 4. I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.

3) l’Ucraina ha subìto danni dalla guerra per circa 590 miliardi di dollari, cifra ben superiore alle somme congelate in Europa; senza tener conto dei caduti in battaglia e dei civili uccisi, volutamente o come cosiddetti «danni collaterali».                                                                                

4) A seguito della consegna da parte ucraina, nel 1994, delle 1.900 testate nucleari dislocate sul suo territorio alla Federazione russa (su richiesta degli Stati Uniti, maggior membro della NATO, che non ha mai «abbaiato alla Russia» e con la quale la Russia di Putin, in altre temperie storiche, ha persino collaborato e stipulato accordi), quest’ultima (assieme a Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Cina) si era impegnata a garantirne l’integrità territoriale (Budapest, 1994). L’invasione ha rappresentato una violazione diretta della Russia di un accordo stipulato con l’Ucraina.

Una richiesta dell’Ucraina di trasferimento a suo favore dei fondi russi congelati – perfettamente giustificata e legittima – eliminerebbe in radice le preoccupazioni di Euroclear, del Belgio, della BCE e delle altre autorità monetarie europee e consentirebbe all’Ucraina di fare uso per intero di tali fondi, e non, con tutti i dubbi altrui che abbiamo visto, degli spiccioli che, con varie contorsioni, le sono stati sinora trasferiti. L’Ucraina inoltre, con questo schema, non sarebbe tenuta a restituire i prestiti ricevuti dall’Unione, che non è, nella fattispecie, che un terzo.

L’Ucraina ha pieno titolo (a differenza dei suoi alleati) a richiedere che i fondi russi presso terzi le siano conferiti, a parziale ristoro dei danni subiti, danni che continuano quotidianamente a verificarsi, in primo luogo a seguito delle illegittime invasioni subite nel 2014 e dal 2022 a oggi, e in secondo luogo per le inadempienze di cui la Russia si è resa responsabile nei suoi confronti. In realtà l’Ucraina avrebbe titolo ad aggredire beni russi in qualsiasi altra giurisdizione, anche se in questo caso le sue pretese sarebbero difficilmente azionabili; come avrebbe titolo a pretendere non solo i beni bloccati, ma anche quelli derivanti da pagamenti in corso di effettuazione a favore della Federazione Russa o di enti pubblici russi, a qualsiasi titolo. Rivolgendosi a tutti i Tribunali, statali o sovranazionali, competenti. In particolare, quanto ai fondi congelati, ai tribunali del Belgio.

ARMAMENTI

Consentendole di acquistare gli armamenti che le servono, da chiunque fosse disposto a fornirli, senza costringere l’Ucraina a sottostare alla volontà di altri paesi, più o meno ed ondivagamente alleati; e a diventarne debitore.

SANZIONI

Effetti diversi da quelli sopra indicati, ma sempre finalizzati a limitare le capacità russe a perseguire i propri fini in Ucraina, sono le sanzioni degli USA, dell’Ue, del Regno Unito e degli altri paesi che le hanno adottate o di paesi che temono le «sanzioni secondarie» (indirette), adottate principalmente dagli Stati Uniti in tema di libera circolabilità di gas e petrolio, nonché dell’utilizzo del dollaro. (Gli effetti reputazionali della bellicizzazione – weaponisation – del dollaro non sembrano preoccupare più di tanto gli Stati Uniti).

Poiché il settore dell’energia, e specialmente del petrolio e del gas, fornisce i fondi più rilevanti derivanti dal suo commercio internazionale al governo della Federazione russa, responsabile dell’annessione della Crimea e dell’aggressione dell’Ucraina, Rosneft, Lukoil, Gazprom, Neft, Surgutneftegaz, tra le principali imprese russe attive nell’estrazione, nella commercializzazione e nella prospezione di tali beni, sono state assoggettate a pesanti sanzioni – specialmente dopo il fallimento dei tentativi di Trump per porre fine alla guerra – e, tra l’altro, non potranno più usare il sistema bancario USA e il dollaro.

Il timore di sanzioni secondarie, e le pressioni americane, avrebbero già comportato una forte diminuzione degli acquisti di petrolio e gas russi da parte della Cina e dell’India, e Narendra Modi avrebbe promesso che l’India avrebbe cessato di acquistare petrolio russo, fattore che potrebbe far diminuire le tensioni con gli Stati Uniti. L’insieme di tali fattori fa aumentare enormemente i costi del conflitto per Mosca (difficile sostituire tali proventi in valuta con la stampa di rubli), e le pressioni, anche interne, su Putin perché ponga fine alla guerra.

DIRITTO DI VETO

Si inserisce, in questo contesto, la discussione, in Europa, per limitare il diritto di veto di paesi che rendono inefficiente il sistema decisionale dell’Unione, in particolare se ci vogliamo effettivamente difendere. Il nostro Presidente del Consiglio ha dichiarato:

«Non sono favorevole ad allargare il voto a maggioranza, in luogo dell’unanimità, all’interno delle istituzioni europee». «Su molti temi le posizioni della maggioranza [degli Stati membri] potrebbero essere abbastanza distanti dalle nostre e da quelle dei nostri interessi nazionali, e la mia priorità rimane difendere gli interessi nazionali italiani».

Rischia così di delegare la nostra politica europea a Orban, o a Cipro, o a Malta, e non vede che in nostri interessi nazionali potrebbero essere frustrati da uno qualunque degli altri 26 stati membri dell’Unione i cui interessi nazionali fossero diversi dai nostri. Le entità democratiche non sono regolate dal diritto di veto, ma dalla accettazione della volontà, democraticamente raggiunta, di maggioranze, magari qualificate. Come sinora avviene, e speriamo continui ad avvenire, in Italia.

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