Con lo "schema Ponzi" la compagnia di navigazione ha raccolto un miliardo, soldi che finivano sul conto personale dell'amministratore delegato. La recentissima sentenza del Tribunale civile di Torre Annunziata tira in ballo, nella truffa, il ruolo centrale della Banca Popolare di Ancona. Un'accusa che suona come un atto di responsabilizzazione dell’intero ceto creditizio
1.- Il presente commento, rapido e sintetico, ha ad oggetto una recentissima decisione del Tribunale civile di Torre Annunziata (in composizione monocratica, giudice Vitulano), resa in data 27 ottobre 2025 e inerente a uno di quei casi di c.d. risparmio tradito che purtroppo, con cadenza periodica e immancabile, funestano il comparto finanziario, per vero non soltanto nazionale.
Si tratta, più in particolare, del crac della Deiulemar Compagnia di Navigazione s.p.a., meglio nota (e assurta qualche anno fa agli onori della cronaca) come “la Parmalat del mare”; società armatoriale di grande rilievo nel contesto italiano e internazionale, di recente dichiarata fallita per il dissesto dei propri conti, a sua volta dovuto a un debito monstre (circa un miliardo di euro) connesso all’emissione di prestiti obbligazionari irregolari, posti in essere in spregio delle normative vuoi codicistiche, vuoi dettate dal legislatore in punto di sollecitazione del pubblico risparmio.
In estrema sintesi, accadeva che numerosissimi privati, indotti dalla promessa di interessi particolarmente vantaggiosi e dal convincimento dell’indubbia floridezza della citata società, affidassero i loro risparmi a membri delle famiglie azioniste della stessa, ricevendo in contropartita (e a titolo di quietanza) documenti cartacei riportanti la somma corrisposta, gli interessi pattuiti, la scadenza del prestito e la firma del comandante Michele Iuliano, fondatore e sorta di nume tutelare della Deiulemar, per lungo tempo anche suo amministratore.
Tale ingentissima liquidità, tempo per tempo rastrellata, non confluiva, però, nelle casse della compagnia di navigazione, ma, sotto specie di contante, assegni e bonifici, rimpinguava diversi conti correnti bancari personali intestati al predetto comandante Iuliano e accesi presso una serie di aziende creditizie del territorio, tra cui la (allora) Banca Popolare di Ancona (in seguito oggetto di acquisto/incorporazione da parte di ulteriori intermediari). Va aggiunto, per completezza di quadro, che dai conti correnti in questione veniva altresì estratta, in un giro di movimentazioni anche giornaliere, che definire vorticoso risulta assai riduttivo, la liquidità necessaria a far luogo ai rimborsi via via venuti a scadenza.
A ben vedere, quindi, nulla di particolarmente geniale, ma una rivisitazione del consueto e inossidabile “schema Ponzi”, che tanti risparmiatori e investitori hanno purtroppo sperimentato, con più o meno drastico impoverimento dei propri portafogli e a tutto ed esclusivo giovamento, invece, dei beneficiari ultimi dei rivoli di denaro fluenti dai menzionati conti correnti (ossia i membri delle famiglie di cui sopra: Della Gatta, Iuliano e Lembo, da cui l’acronimo DEIULEMAR).
Fatto è che la macchinazione sarebbe proseguita chissà fino a quando, se non fosse intervenuto il fallimento di un’altra nota compagnia di navigazione, la Dimaiolines, con conseguente trepidazione e allarme degli (pseudo)obbligazionisti della Deiulemar, i quali, determinatisi a ottenere rassicurazioni circa i propri crediti e non ricevuto alcun ufficiale riscontro dagli uffici della società, in un breve volgere di tempo hanno promosso denunce e segnalazioni, cui hanno fatto seguito custodie cautelari, processi penali, condanne, nonché – per quanto qui maggiormente rileva – la declaratoria di fallimento della stessa Deiulemar.
2.- L’azione giudiziaria che, allora, mette capo alla sentenza in commento costituisce una lucida intuizione della curatela fallimentare, la quale, del tutto condivisibilmente, ritiene integrati, nel caso, incontrovertibili profili di responsabilità anche a carico della Banca Popolare di Ancona, per aver essa fiancheggiato – se non dolosamente, quanto meno colposamente – l’attività fraudolenta concretatasi nell’emissione di obbligazioni irregolari, là dove appare evidente che la citata banca disponeva certamente del bagaglio cognitivo utile a far emergere l’operazione di illecita e abusiva raccolta del risparmio. E a farla, di conseguenza, cessare tempestivamente, onde il cennato debito monstre di circa un miliardo di euro non sarebbe andato, da ultimo, a gravare lo stato passivo della procedura fallimentare.
3.- Come prevedibile, le difese articolate dalla banca convenuta si sono tradotte in un autentico “fuoco di sbarramento”; è stata eccepita l’intervenuta prescrizione della condotta illecita; si è sostenuto il deficit di legittimazione attiva della curatela, in ragione del fatto che le obbligazioni irregolari non erano state correttamente emesse dalla Deiulemar e le relative somme mai erano effettivamente transitate nella sua contabilità; si è tentato di opporre in compensazione un diverso credito vantato dalla Popolare di Ancona nei confronti della compagnia di navigazione.
Nessuna di queste eccezioni ha, però, trovato accoglimento presso il giudicante. È qui interessante verificare come la sentenza in esame sia specificamente giunta ad affermare la sussistenza della legittimazione attiva dei curatori.
Tutto, in sostanza, si rannoda all’incolpevole affidamento ingenerato dalle caratteristiche dell’operazione fraudolenta presso l’estesa platea dei soggetti drenati.
Il comandante Michele Iuliano, che – va ricordato – sottoscriveva le ricevute cartacee rilasciate agli pseudo-obbligazionisti, è stato un autentico genius loci dell’area geografica interessata dalla vicenda; era notorio e incontroverso che era stato lui ad accompagnare la Deiulemar verso i successi e i traguardi imprenditoriali, economici e finanziari conseguiti nel tempo e testimoniati dall’ingrossarsi progressivo della flottiglia; nessuno poteva ritenersi autorizzato a dubitare, neppure remotamente, della certa rimborsabilità dei capitali affidatigli e degli interessi pattuiti.
Oltre a ciò, il giudicante a ragione valorizza alcune risultanze documentali, ossia la decisione assunta dalla stessa Deiulemar, a un certo punto, di procedere a un censimento degli obbligazionisti e, così, al riconoscimento del relativo debito, infatti – come detto – inserito nello stato passivo del fallimento; il che non pare revocabile in dubbio che assuma una portata manifestamente confessoria.
4.- Ma, di certo, il passaggio maggiormente qualificante della pronuncia in esame è quello in cui il giudice indica nella normativa anti-riciclaggio (sia primaria che secondaria, costituita, quest’ultima, dalle varie circolari ed istruzioni rilasciate dalla Banca d’Italia, ivi compreso il c.d. decalogo per l’individuazione delle operazioni sospette, nelle sue versioni via via aggiornate) il referente giuspositivo di una serie di adempimenti obbligatori per la Banca Popolare di Ancona (e per qualsivoglia altra banca), i quali, ove fossero stati puntualmente e diligentemente assolti, avrebbero, appunto, consentito di intercettare l’operazione fraudolenta, determinandone l’interruzione.
Il perno incontrovertibile dell’intera regolazione è costituito dalla c.d. know your customer rule.
La banca non può più ignorare la controparte con cui si rapporta; deve preventivamente profilarla; deve giungere a conoscerla, inquadrandone l’età, la tipologia di attività svolta, il patrimonio posseduto, i flussi finanziari in entrata e in uscita che interesseranno il rapporto instaurando. Non solo: la profilatura non è una tantum, ma va attualizzata con cadenze regolari non significativamente discoste le une dalle altre. Unicamente mediante l’assolvimento di questi incombenti si può approssimare il meritorio obiettivo (i) di rendere il comparto lato sensu finanziario effettivamente impermeabile alle infiltrazioni criminali e (ii) di evitare che gli intermediari – più o meno colposamente – si prestino alla ripulitura del denaro di provenienza illecita.
Ovviamente, ogni condotta, comportamento, operazione che esorbiti dalla profilatura in essere deve suscitare l’attenzione della banca, la quale, a sua volta, è legittimata ad approfondire con il cliente, al fine di reperire elementi conoscitivi di maggior dettaglio, in grado di sincerare ultimativamente circa la fisiologia o la patologia di quanto si sia in procinto di processare; nella seconda eventualità, l’intermediario deve astenersi, potendo addirittura arrivare ad ingiungere la terminazione del rapporto.
Ebbene, alla luce di tutto quanto precede, perché la Popolare di Ancona ha tenuto bordone alle frenetiche e incoerenti movimentazioni dei conti intestati al comandante Iuliano?
A quale titolo l’autentica colluvie di bonifici, assegni e contanti affluiva a tali conti, poi a opera di un’estesissima platea di soggetti collocati sul territorio?
Perché un consigliere d’amministrazione di una società di navigazione, per quanto importante, avrebbe dovuto ricevere e far defluire sui propri conti personali, ogni mese, centinaia di migliaia di euro e, ogni anno, decine di milioni di euro?
L’abusiva raccolta del risparmio presso il pubblico si profilava del tutto evidente e il non averla intercettata è, in sostanza, equivalso al non scorgere l’ippopotamo fermo e impacciato nel salone di casa.
Ed ecco, allora, perché la sentenza giunge a osservare che “la banca, in considerazione di tutto quanto innanzi esposto, ha fornito un valido ed, anzi essenziale contributo causale alla consumazione del reato di abusiva raccolta del risparmio e del delitto di distrazione, avendo avallato e consentito innumerevoli operazioni, in uscite ed in entrata, priva di apparenti motivi e del tutto incongruenti rispetto alla tipologia di correntista, consentendo al sistema illecito ideato dai gestori della DCN di autoalimentarsi ed espandersi fino alle dimensioni accertate nelle plurime sedi civili e penali ossia complessivi 800 milioni di euro”.
E ancora: “la banca, omettendo di attivare, e, nei fatti, favorendo, l’attività illecita perpetrata con l’utilizzo del conto, pur essendo in grado di avvertire, per gli inequivoci segnali, cui si è più volte accennato, il grado di pericolosità insito nell’anomala e illecita movimentazione di danaro chiaramente riscontrabile, non rilevando e segnalando e non interrompendo un rapporto connotato da chiara anomalia, ha facilitato quella raccolta illecita tra il pubblico, di cui si è più volte detto, e la relativa diffusione, fornendone anzi un’arma, attesa l’affidabilità che ingenera nei terzi il sistema bancario, così agevolando e consentendo la distrazione di quel danaro dal patrimonio della DCN, pari al danno che, senza il sostegno del sistema bancario, sarebbe stato prevedibilmente contenuto entro dimensioni molto più modeste”.
E infine: “in altri termini, la colpevole condotta della banca che ha consentito l’incontrollata acquisizione e gestione del danaro su un conto corrente personale, in tal modo distratto al patrimonio sociale (potendo aggiungersi che gli investitori sono stati certamente indotti in errore dall’allora apparente stato florido della società e dalla circostanza che il danaro circolava “ufficialmente” tramite il sistema bancario), ha fornito uno dei mezzi essenziali per la commissione di quella tipologia di attività illecita, consentendo al contempo il prolungarsi, in modo anomalo del giro degli affari realizzato da Iuliano e dai suoi complici, in danno della DCN, ed il dilatarsi dell’esposizione debitoria di quest’ultima, tenuta al rimborso del danaro versato dai risparmiatori”.
5.- In conclusione, la decisione del Tribunale di Torre Annunziata qui sinteticamente commentata ha l’indubbio merito di costituire un eloquente atto di responsabilizzazione dell’intero ceto creditizio, nella misura in cui esorta le banche ad adempiere gli incombenti contemplati dalla regolazione anti-riciclaggio con smalto e proattività.
È richiesta, in altre parole, una sorta di cambio culturale: le relative procedure aziendali non vanno ottemperate in modo “notarile” (nell’accezione spregiativa del termine); non devono essere avvertite e declinate come se fossero fonti importune di fastidiosi costi; al contrario, rappresentano l’opportunità preziosa di presidiare la “sana e prudente gestione” delle banche, elevando, nel contempo, il livello di virtuosità dell’intero sistema e denervando efficacemente l’approvvigionamento finanziario dei fenomeni criminali.