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approfondimenti/Mercato finanziario
Banche e covered bond. Opportunità e rischi

Tra gli strumenti che le banche hanno a disposizione per finanziarsi, i covered bond hanno tutta una serie di vantaggi - tassi competitivi, la creazione di un collaterale - ma anche dei limiti. Come il requisito dimensionale e l'organizzazione interna. Sarà per questo che le banche italiane li usano pochissimo?

Lorenzo Faccincani e Michele Rutigliano
Faccincani-Lorenzo
Rutigliano-Michele

L’esaurimento degli effetti della politica monetaria ultra espansiva attuata negli anni passati dalla Banca Centrale Europea (BCE) – con gli ultimi rimborsi delle Targeted Long Term Refinancing Operations (TLTRO) III verificatisi a dicembre 2024 – comporta la necessità per le banche italiane di elaborare nuove strategie di funding, tali da assicurare il reperimento di risorse finanziarie mediante l’accesso a diverse fonti di raccolta e di evitare le conseguenze negative riconducibili a processi di deleveraging (vale a dire di riduzione del livello di indebitamento). Tra i diversi mezzi a titolo di debito a cui le banche possono far ricorso, un’opzione a loro disposizione è costituita dall’emissione di Covered Bond (d’ora in poi anche solo CB).

Si tratta di titoli già ammessi da venti anni dalla normativa italiana che – oltre a far affidamento, come per tutti gli strumenti di debito, sulla consueta garanzia rappresentata dal patrimonio di cui dispone la banca – sono in aggiunta assistiti da determinati attivi di elevato standing creditizio, sui quali i possessori delle obbligazioni, in qualità di creditori privilegiati, possono rivalersi qualora si verifichi l’insolvenza dell’emittente.

Gli obiettivi alla base delle emissioni sono riconducibili a diverse esigenze. Innanzitutto, i CB danno la possibilità alla banca di diversificare le forme di raccolta, con la flessibilità di poter effettuare emissioni anche in una o più tranche o serie distinte. Inoltre consentono di allungare le scadenze del passivo e di finanziarsi a tassi competitivi. Infine, soprattutto in presenza di tensioni di mercato, o comunque a titolo precauzionale, permettono di incrementare la counterbalancing capacity (vale a dire quelle attività liquide che le banche possono utilizzare come collaterale per ottenere finanziamenti, oppure per generare flussi di cassa tramite la loro vendita), trattenendo a tal fine i titoli emessi e creando in tal modo un collaterale da poter utilizzare successivamente.

Tuttavia, rispetto ad altri strumenti di finanziamento, vi sono anche significativi maggiori costi e complessità gestionali riconducibili alle emissioni di CB, oltre ai riflessi negativi prodotti sul livello di rischio complessivo della banca che si riverberano sugli altri suoi creditori, in primis i depositanti. Ne consegue che i CB non siano utilizzabili indistintamente da tutte le banche e in qualsiasi circostanza, bensì solo al ricorrere di determinati presupposti e condizioni e specifici contesti aziendali e di mercato.

In particolare, i presupposti appaiono riconducibili, da un lato, alla presenza di un’esigenza di finanziamento che non possa essere soddisfatta né da depositi stabili, né da quei titoli di capitale e di debito che contribuiscono a raggiungere i target dei coefficienti patrimoniali e MREL (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities) che la banca mira a conseguire; d’altro lato, nel caso di emissioni auto-detenute, alla volontà di poter disporre di collaterali che possano essere sfruttati prospetticamente in operazioni di pronti contro termine con altre banche o di rifinanziamento con la BCE.

Relativamente alle condizioni, si ritiene che le banche emittenti debbano essere di adeguate dimensioni al fine di assicurare la presenza di quei presidi organizzativi e procedurali obbligatoriamente richiesti dalla normativa, oltreché dalle policy che sono parte del sistema di controllo interno.

In aggiunta alla necessità di adeguate strutture e risorse, le banche devono presentare solidi fondamentali in termini di patrimonializzazione e di qualità degli attivi perché l’emissione di CB possa risultare conveniente per lo stesso emittente e per i potenziali investitori.

Infatti, solo un ammontare di fondi propri elevato consente di assicurare ugualmente una tutela significativa ai depositanti e ai creditori chirografari, riducendo le conseguenze negative riconducibili all’aumento dell’asset encumbrance (vale a dire di quelle attività di bilancio che sono vincolate e, quindi, “sottratte” alla disponibilità dei creditori non garantiti). La banca deve poi disporre, in modo continuativo per tutta la durata dei bond emessi e non solamente al momento dell’emissione, di portafogli di crediti di ottima qualità per garantire il rispetto dei requisiti di copertura stabiliti normativamente o contrattualmente, ovvero per assicurare il corretto funzionamento del meccanismo di doppia rivalsa che rappresenta l’aspetto distintivo dei CB.

Va tuttavia altresì sottolineato che il buono stato di salute in cui la banca eventualmente si trova grazie all’adeguata patrimonializzazione e alla disponibilità di prestiti con alto merito creditizio, in presenza di condizioni di mercato distese e non alterate, potrebbe anche tradursi in un ridotto costo del funding non garantito, poiché gli investitori percepiscono una minore rischiosità della banca che richiede il finanziamento: di conseguenza, in teoria, potrebbe anche abbassarsi il differenziale di tasso tra le obbligazioni secured e unsecured fino a un livello tale da non giustificare il sostenimento degli oneri di strutturazione delle emissioni di CB.

Quando invece si verificano tensioni sui mercati della raccolta all’ingrosso che portano ad acuire negli operatori la percezione del rischio di credito anche di quelle banche che si trovano in soddisfacenti condizioni, i CB potrebbero essere uno strumento utile per ottenere direttamente risorse finanziarie e/o disporre di collaterali e abbassare il costo marginale della raccolta.

In merito alle emissioni di CB da parte delle banche italiane, le evidenze fanno emergere che negli scorsi anni è stato uno strumento utilizzato in misura minore rispetto ad altre banche europee, per lo più in situazioni di mercato particolarmente stressate e con l’intento di creare dei collateral più che per ottenere immediatamente liquidità. Non si ritiene peraltro che l’utilizzo complessivamente limitato dei CB delle banche del nostro Paese sia da considerarsi negativamente, poiché la copertura dei fabbisogni finanziari di una banca dovrebbe avvenire soprattutto con altri strumenti, quali i fondi propri, i depositi e quelle passività che sono ammissibili ai fini MREL.

In conclusione, si ritiene che i Covered Bond siano un’opzione di raccolta delle risorse finanziarie che, solamente in specifiche situazioni, potrebbe rivelarsi funzionale agli obiettivi e alle esigenze delle banche in grado di ricorrere allo strumento: per tali ragioni, il loro ruolo a livello di sistema, anche in prospettiva, sembra destinato ad essere residuale rispetto a quello di altre soluzioni di finanziamento a cui la banca dovrebbe dare priorità per coprire le proprie esigenze di funding a medio termine.

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