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In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Il futuro del gruppo MPS: Mediomonte o Montemedio?

Come valutare la conclusione dell'Opa di Monte dei Paschi su Mediobanca passando da una analisi strettamente finanziaria - che avrebbe ipotizzato un altro epilogo - a una non bancaria. Immaginando anche la potenziale efficacia futura dell'integrazione

Giuseppe Guglielmo Santorsola
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L’operazione di offerta pubblica promossa dal Monte dei Paschi di Siena (BMPS) nei confronti di Mediobanca Banca di Credito Finanziario (MBBCF ) ha raggiunto i suoi obbiettivi. Si è trattato tecnicamente di una delle operazioni M&A tramite offerta pubblica di maggiore dimensione tra due istituzioni bancarie fra loro non troppo distanti sotto il profilo della dimensione, anche se la banca attrice dell’operazione aveva una dimensione degli asset under management maggiore ed una capitalizzazione di mercato superiore e storicamente più stabile.

Sempre sotto la guida dell’analisi finanziaria, l’analisi qualitativa premiava MBBCF per posizione di mercato, andamento tendenziale, robustezza e riconoscimento del management. Infine, BMPS, la banca più antica del mondo al netto delle trasformazioni storiche di alcuni Monti dei Pegni, trasformati in banche dopo il 1472, vantava una presenza sul mercato difficile per reputazione e capitalizzazione negli ultimi 15/20 anni.

Per contro MBBCF ha vissuto una situazione finanziaria stabilmente brillante, ma una profonda trasformazione strategica sempre negli ultimi anni, spostando la propria business combination dal wholesale al retail e cambiando, quindi la formazione prevalente del margine di contribuzione e la natura della propria attività, pur mantenendo un’immagine ancorata al passato.

Tuttavia, osservare con l’occhio del tecnico non consente di comprendere lo svolgersi degli eventi.  Le risultanze contabili e finanziarie debbono prendere in considerazione anche altri fattori trasformandoli in decisioni finanziarie. Possiamo cercare di capire il perché dell’esito finale quantificando alcuni eventi:

  1. le due imprese bancarie avevano numerosi soci in comune con ulteriori posizioni importanti a monte e a valle della catena dei controllori e dei controllanti; le decisioni di costoro erano determinanti nello spostare i pesi delle quote rendendo più facile lo spostamento verso BMPS che viceversa;
  2. a monte della catena risultata vincente vi era il particolare socio Ministero dell’Economia e Finanza (MEF) che ha utilizzato il proprio potere di esercizio del Golden Power, quell’atto volto a tutelare l’interesse pubblico generale anche quando il puro calcolo del numero delle azioni porterebbe ad un risultato diverso;
  3. per singolare contrappasso, il Golden Power si contrappone alla nota posizione di Enrico Cuccia che sosteneva, per convinzione di banchiere e senza sostegno legislativo, che le azioni si pesassero e non si contassero;
  4. l’operazione qui commentata si è inserita (forse volutamente) in un contesto nel quale alcuni azionisti protagonisti erano impegnati e coinvolti in quasi tutte le offerte pubbliche, OPA e OPAS in fieri;
  5. per coincidenza oppure per voluta scelta, la sequenza con la quale le offerte si sono dipanate o sono state tempificate hanno rafforzato il ruolo dei soci che hanno manifestamente guidato la scelta finale;
  6. not least, forze politiche hanno espresso scelte favorevoli verso la soluzione vincente favorendone la coesione ed allargando il campo degli aderenti; non si tratta di una considerazione politica quanto dell’evidenza quantitativa dell’utilizzo esplicito del golden power.

Cambiando approccio nella valutazione, la storia delle offerte pubbliche evidenzia e dimostra che il risultato atteso è favorevole e scontato laddove si considera che un prezzo equo e un buon premio rispetto al prezzo di mercato sono le condizioni di base per il successo delle operazioni, se i governi non si oppongono o un azionista proveniente dall’esterno (il cavaliere bianco) non interviene.

Nel caso in oggetto, l’azionista di riferimento di Mps – di fatto il Governo qualora non fosse in discordia al proprio interno – era apertamente favorevole all’operazione e nessuno ha cercato di contrastarla. Anzi, si è formata un’alleanza fra i due azionisti” non banchieri”, il MEF ed altri soci indirettamente collegabili per ulteriori interessi industriali e finanziari.

Quanto fin qui esposto evidenzia le ragioni non bancarie del percorso dell’offerta pubblica. Per completare lo stato dell’arte che ha indotto a promuovere l’offerta e molti soggetti ad aderire, dobbiamo considerare alcune errate letture in ottica attuale della condizione e della posizione delle due banche, che hanno spinto verso letture non corrette della realtà corrente.

La lettura pubblica della situazione è fortemente condizionata dai due distinti “passati” di ciascun soggetto:

  • BMPS è letta come banca in uscita da un crisi che è stata risolta dal sostegno pubblico, con uno stato tecnico di non fallimento guidato, con l’intervento di molti soci che, dal 2013 hanno perso il proprio capitale di rischio, con un ultimo intervento sempre pubblico che invece ha generato una plusvalenza progressiva accompagnata da una quota residua risultata strategica durante l’offerta e affiancata nelle scelte a quella dei soci industriali (quelli che decidono per disegno strategico) e di molti istituzionali e professionali (quelli che scelgono per convenienza finanziaria); se ne sono sottovalutate la capacità del nuovo disegno strategico e la diversità della nuova struttura organizzativa, i due cardini del posizionamento prospettico sul mercato.
  • MBBCF è letta invece nella sua visione storica della seconda metà del secolo scorso come salotto della finanza italiana guidata da un banchiere unico nella sua natura, dedita al credito finanziario guidato da scelte che non trattano volutamente di corporate e investment banking quanto di un mix di partecipazioni azionarie e soluzioni di finanziamenti che oggi definiremmo strutturati. Dal 2000 in poi invece – mentre l’immagine pubblica rimane di fatto invariata – MBBCF si trasforma in una multi-business dedicata al retail, sia nel campo del credito al consumo e personale (l’inverso logico del credito industriale), sia nella produzione e nella distribuzione del risparmio.
  • Si ha quindi l’impressione che gran parte delle analisi e dei commenti siano condizionati da questa visione strabica e backward looking.
  • Venendo quindi alle valutazioni sulla potenziale efficacia futura della integrazione, possiamo immaginare che:
  • le due entità hanno un valore particolare nei diversi marchi con cui operano; attuare fusioni non sembrerebbe logico, almeno in una non breve fase iniziale:
  • anzi la disponibilità di più buoni marchi non troppo sovrapposti potrebbe consentire una buona creazione di valore, con il rischio già evidente che taluni soggetti abbandonino le proprie posizioni per sfiducia verso le posizioni cui verrebbero dedicati;
  • è opportuno valutare come rischio l’ipotesi che – lato MBBCF – i soggetti apicali abbandonino le posizioni e i ruoli acquisendo i benefit accumulati, generando ulteriori abbandoni tra i collaboratori, evento che avrebbe impatto negativo su immagine e valore soprattutto di Mediobanca Premier, Compass e l’area top del management del segmento superiore della gestione patrimoniale della clientela.
  • anche l’ipotesi del delisting (alla luce del non avere raggiunto il 90% della quota dell’azionariato non è scelta suggeribile; sarebbe stato un costo superfluo l’obbligo della opa totalitaria ed avrebbe creato una più lenta generazione di valore commisurata ai risultati di bilancio e non anche alla domanda e offerta delle azioni entrambe quotate;
  • la diluizione dell’azionariato è ulteriore soluzione non valutabile come ottimale al momento, sia perché non idonea nel contesto, sia non avendo i singoli soci cognizione delle future mosse degli altri.

Questa rappresenta l’incognita principale. Da un lato, ciò rende difficile la valutazione per chi scrive. Più difficili sono anche le scelte per i soci. Non è per nulla certo che l’attuale coesione dei soci che hanno di fatto costruito e manovrato questa e altre operazioni venga mantenuta nel tempo.

Uno dei due soggetti industriali è guidata da un management forte ma che non è in prospettiva l’azionista forte del futuro (nella Delfin). Gli eredi di questa sono molti (otto), tutti uguali nel peso fra loro e non necessariamente coesi nella volontà della gestione dell’oggetto MedioMonte, oppure MonteMedio. Il posizionamento dei singoli futuri soci singoli potrebbe invertirsi al variare della composizione dell’azionariato dopo la ripartizione dell’eredità e le inevitabili scelte di rivendita (esterna e interna delle quote).

L’altro soggetto industriale Caltagirone è oggi in una situazione opposta, avendo un dominus indiscusso, ma anziano, e con uno status ereditario ancora da individuare (anche attraverso l’utilizzo della quota disponibile e le sconosciute scelte dei singoli eredi.

Ovviamente questo scenario muterebbe qualora il management e i soci del lato vincitore fossero in grado di attuare in tempi rapidi una propria strategia, imponendo una soluzione che condizionerebbe le future scelte con governance e prospettive di nuovo diverse.

Sospendo qui l’approfondimento che potrebbe coinvolgere l’intervento di banche terze (più grandi, omogenee o derivanti da una delle mosse ipotizzate da quei soci che attualmente hanno promosso questa ed altre offerte pubbliche).

Come potete osservare non ho citato le due grandi incognite, al momento latenti ma esistenti, e cioè Unicredit e Generali, all’interno delle quali Delfin e Caltagirone sono ulteriormente presenti.

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