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Il Servizio Sanitario Nazionale alla prova del futuro: perché non basta più “aggiustare”

Negli ultimi trent’anni le riforme si sono concentrate su decentramento e contenimento della spesa, più che su un aggiornamento dei modelli clinici e organizzativi. Ecco i motivi per cui la sfida, oggi, non è mettere più soldi, ma ripensare l'intero sistema

Vincenzo Atella
Vincenzo-Atella

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è stato per decenni un pilastro del welfare italiano, capace di garantire cure universali con costi relativamente contenuti e indicatori di salute in linea – e spesso migliori – rispetto alla media OCSE. Ma oggi il sistema mostra crepe sempre più evidenti. Il problema non è solo di risorse, bensì di adattamento: la sanità italiana non è riuscita a tenere il passo con i profondi cambiamenti che hanno trasformato la medicina, la società e i bisogni di cura. Ne trattiamo ampiamente con analisi e proposte nel numero di Economia italiana appena uscito: www.economiaitaliana.org

Un modello nato in un’altra epoca

Il SSN nasce nel 1978, in un contesto in cui le patologie croniche non rappresentavano la principale sfida sanitaria. Quella struttura istituzionale ha funzionato bene per anni, garantendo equità e protezione sociale, ma oggi appare sempre meno adeguata. L’Italia è uno dei Paesi più anziani al mondo: oltre il 23% della popolazione ha più di 65 anni, il 40% degli adulti convive con almeno una malattia cronica e uno su cinque ha due o più patologie.

La vera sfida non è più curare l’episodio acuto, ma gestire condizioni croniche e multimorbilità lungo l’intero arco di vita. Ciò richiederebbe modelli organizzativi flessibili, capaci di integrare prevenzione, servizi territoriali e assistenza sociale. Il sistema, invece, resta ancorato a un approccio ospedale-centrico e reattivo, che rincorre i problemi senza prevenirli.

L’asimmetria tra medicina e istituzioni

Nel frattempo, la medicina ha cambiato pelle. La genomica, i big data e l’intelligenza artificiale stanno aprendo la strada a una sanità personalizzata, predittiva e preventiva. Il paradigma tradizionale dell’“evidence-based medicine”, centrato sul paziente medio, lascia spazio a una cura costruita su misura, mentre i concetti di network medicine e One Health sottolineano come malattie croniche, ambiente e fattori sociali siano parte di sistemi complessi.

Le istituzioni, però, non hanno saputo tenere il passo. Negli ultimi trent’anni le riforme si sono concentrate su decentramento e contenimento della spesa, più che su un aggiornamento dei modelli clinici e organizzativi. Il risultato è un sistema che spende meno della media europea (circa il 7% del PIL contro l’8,8% della Germania e il 9,5% della Francia), ma che fatica a garantire qualità e omogeneità dei servizi.

Disuguaglianze e insoddisfazione

Gli indicatori internazionali confermano alcune eccellenze: aspettativa di vita alta, mortalità evitabile relativamente bassa. Ma il consenso dei cittadini non segue lo stesso andamento. Solo il 55% degli italiani si dichiara soddisfatto del SSN, contro il 67% della media OCSE.

Le disuguaglianze territoriali restano marcate: al Nord i servizi sono più accessibili e rapidi, al Sud permangono carenze strutturali e liste d’attesa lunghe. A questo si aggiunge una copertura insufficiente degli screening preventivi e una carenza cronica di personale sanitario. L’Italia ha infatti 6,2 infermieri ogni mille abitanti, contro una media OCSE di 9, e rischia di perdere circa il 30% dei medici nei prossimi dieci anni a causa dei pensionamenti.

Il peso delle riforme mancate

Dalla grande riforma degli anni Novanta al PNRR, passando per i mercati interni e le politiche di austerità dopo il 2008, il SSN ha subito cambiamenti importanti ma mai risolutivi. L’autonomia regionale ha garantito flessibilità, ma ha anche creato un’Italia a due velocità. I vincoli di bilancio hanno contenuto la spesa, ma hanno lasciato il sistema sotto-organico e privo di investimenti strutturali. La pandemia di Covid-19 è stata un vero stress test. Ha mostrato la fragilità di un modello che non aveva sviluppato reti territoriali forti né strumenti digitali adeguati. In emergenza, gli ospedali hanno retto grazie alla dedizione del personale, ma con altissimi costi umani e organizzativi. Senza un ridisegno complessivo, la resilienza futura resta a rischio.

Una sostenibilità a rischio

La tenuta del SSN oggi è minacciata da tre ordini di fattori:

  • Finanziari: la spesa sanitaria cresce più lentamente rispetto ai bisogni, e aumenta il ricorso a co-pagamenti e spesa privata, con il rischio di ridurre l’equità.
  • Demografici ed epidemiologici: l’invecchiamento e la diffusione di malattie croniche rendono obsoleti i modelli centrati sull’ospedale e sull’intervento acuto.
  • Istituzionali: il sistema non si è dotato di meccanismi di auto-correzione e continua a funzionare con riforme episodiche, incapaci di adattarsi alle trasformazioni scientifiche e sociali.

Ripensare il sistema, non solo aggiustarlo

La vera sfida non è “mettere più soldi” in un modello datato, ma ripensarlo per adattarlo ai bisogni del presente. Le priorità individuate dagli esperti sono chiare:

  • rafforzare il capitale umano sanitario, investendo in infermieri, medici di base e nuove competenze digitali;
  • potenziare la prevenzione, con campagne di screening più estese e programmi sugli stili di vita;
  • accelerare la digitalizzazione, dotando il Paese di cartelle cliniche elettroniche interoperabili e piattaforme di analisi dati;
  • ridurre le disuguaglianze territoriali, garantendo un accesso equo a Nord e Sud;
  • rivedere i modelli di finanziamento in una prospettiva di sostenibilità di lungo periodo.

Un patrimonio collettivo da aggiornare

Il SSN resta uno dei patrimoni più preziosi del Paese e uno strumento di coesione sociale che il mondo continua a guardare con interesse. Ma per continuare a esserlo deve evolvere insieme alla medicina e alla società. Non è più sufficiente “tirare a campare”. La vera domanda, oggi, non è se possiamo permetterci di cambiare il SSN, ma se possiamo permetterci di non farlo. Perché, in un mondo che cambia velocemente, restare fermi equivale a perdere terreno, equità e, in ultima analisi, fiducia dei cittadini.

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