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PRETESTI
Il peso di Putin da Anchorage a Pechino

La parata di Xi è il pretesto per ragionare sui numeri: sono questi che, meglio di ogni altra cosa, danno la misura dei rapporti all'interno del nuovo fronte che ha sfilato a Pechino. Nel quale Putin assume sempre più il ruolo di un vassallo

Oliviero Pesce
Olivero-Pesce

È opinione corrente che la recente parata della Cina nella piazza Tienanmen sia stata, tra l’altro, una consacrazione internazionale del pieno rientro della Federazione Russa in un ampio consesso internazionale. Consesso, in quella piazza in cui i giovani cinesi furono trucidati dai carri armati del partito-stato, in larga parte composto da stati canaglia o falliti.

Certo Trump, con l’incontro con Putin di Anchorage, i suoi dazi, la sua nefasta alleanza con Netanyahu, il suo ribaltamento dei principi fondativi della democrazia e l’obliterazione dei poteri che dovrebbero controllarlo, non fa che fare autogol e mettere in difficoltà l’Occidente, spingendo il resto del mondo, e forse parte dello stesso Occidente, tra più amichevoli braccia. And he makes America smaller e inaffidabile.

Chi scrive, su Putin è di tutt’altro avviso. Dati il grande senso dello spettacolo della Cina e il peso che il paese ha sempre attribuito alla simbologia, vanno analizzati tanto il senso della parata in sé, quanto il trattamento dell’amico Putin, al di là delle formule di rito e delle strette di mano. La dimostrazione di forza militare e produttiva cinese era certamente rivolta agli assenti, primi tra tutti gli Stati Uniti di Trump; non tanto all’Europa, che al momento va blandita e sedotta, con ‘pontieri’ come Fico, così come Meloni sarebbe un ‘pontiere’ tra UE e USA.

Ed era rivolta anche a tutti i presenti, futuri alleati, ma, per dimensioni e rapporti di forza, possibili antagonisti – come l’India – o vassalli da tenere sotto controllo. Non va trascurato, infatti, che, se l’India ha una popolazione del tutto analoga, se non leggermente superiore, a quella cinese, il suo Pil, di 3,91 migliaia di miliardi di dollari USA, è pari appena al 20,9% di quello cinese, di 18,74 migliaia di miliardi di dollari. E che il Vietnam, con una popolazione di un quattordicesimo di quella indiana, produce un ottavo di quanto non produca l’India, e la sua popolazione gode di un Pil pro capite pari al 175% di quello degli indiani.

La popolazione cinese, di circa 1.412 milioni di persone, è dieci volte quella russa, di circa 143 milioni (solo in parte russi, e decrescente) e il Pil cinese, di 18,74 migliaia di miliardi di dollari USA, è di 8,6 volte quello russo, di 2,17 migliaia di miliardi. E la Russia si sta dissanguando con una sconsiderata ‘operazione militare speciale’, condotta da pregiudicati e mercenari.

Ma, per tornare agli ospiti principali, Putin è stato equiparato al dittatore della Corea del Nord – paese al quale è costretto a fare ricorso, per uomini e mezzi, per continuare la sua fallimentare guerra ucraina, che si sarebbe dovuta concludere in pochi giorni e che dura da oltre tre anni. Anche se la Russia ha mano libera in Ucraina, mentre l’Ucraina è costretta a combattere con le mani legate, quasi esclusivamente sul proprio territorio, con mezzi che i garanti della sua integrità territoriale (vedi gli accordi del 1994 e del 1997) gli hanno centellinato, sottoponendone l’uso a vincoli e restrizioni, anche se sta difendendo l’intero mondo occidentale. Con Kim Jong-un Putin ha dovuto persino condividere la macchina di Stato.

Si prepara, la Russia, a stare alla Cina come la Bielorussia sta alla Federazione russa. A diventare la futura Bielocina. La parte bianca dell’impero Cinese di Xi. La sua ‘pompa di benzina’. Ma c’è chi gli offre tappeti rossi.

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