Nel 2025, il FinTech italiano si trova a un bivio. Dopo una fase di crescita sostenuta, il settore mostra segnali di maturazione e di assestamento. La recente ricerca condotta da EY e Fintech District, “Founders vs Investors: Two Faces of Fintech Funding”, offre una fotografia delle dinamiche di crescita e di raccolta di capitali nell’ecosistema nazionale, mettendo a confronto le prospettive di chi cerca fondi e di chi li eroga
Il nuovo studio dal titolo “Founders vs Investors: two faces of Fintech funding”, a cura di EY e del Fintech District, analizza lo stato attuale e la possibile evoluzione del panorama del fundraising Fintech in Italia, in un contesto in cui regolamentazione, trend globali e maturità del mercato stanno profondamente trasformando le strategie di investimento. Per farlo, è stata adottata una metodologia innovativa e basata su due questionari paralleli, rivolti a oltre 90 founder e 50 investitori operanti in Italia e in questo settore. La ricerca è stata ulteriormente arricchita da 13 interviste qualitative (Founders’ Stories & Investors’ Stories) che raccontano i principali successi e sfide attraversati, nonché dei preziosi consigli e auspici per il futuro, direttamente tramite la voce dei protagonisti del settore.
Un mercato dinamico, in cui non sempre il capitale raccolto soddisfa le attese
Tra il 2022 e il 2024, il 69% dei founder di Fintech ha raccolto almeno un round di equity, mentre l’83% degli investitori ha chiuso almeno un’operazione. Tuttavia, un founder su quattro ha ottenuto meno capitale del previsto. Il funding, in Italia, resta un gioco relazionale: il 75% dei founder e l’80% degli investitori ha trovato la controparte tramite connessioni personali. Concludere un deal con successo riserva in ogni caso molte complessità: il 25% dei founder ha incontrato difficoltà nella chiusura delle negoziazioni: di questi, il 50% segnala condizioni contrattuali sfavorevoli; d’altro canto il 53% degli investitori, alla stessa domanda, cita la mancanza di visione strategica come barriera.
Due lingue diverse per raccontare lo stesso ecosistema
Founder e investitori concordano: le caratteristiche del team, seguite dalla scalabilità della soluzione e dalla solidità del modello di business sono i fattori più rilevanti per finanziare ed investire in Fintech. La scalabilità, in particolare, è un fattore importante perché riguarda la capacità di una startup di crescere ed espandersi in nuove geografie e segmenti di mercato mantenendo al contempo il controllo sui costi: una qualità che per ovvi motivi sta molto a cuore agli investitori, chiamati a “scommettere” su realtà giovani in base al loro potenziale ancora inespresso
La ricerca evidenzia però anche alcune dissonanze: riguardo a quali siano le caratteristiche di un founding team di successo, i founder enfatizzano le competenze tecniche e di prodotto (75%), mentre gli investitori privilegiano leadership e capacità manageriali (75%). Entrambi concordano sull’importanza dell’esperienza imprenditoriale pregressa: il 45% dei founder ha già una venture alle spalle e il 90% degli investitori la considera un driver determinante, capace di aumentare la credibilità e la fiducia nei confronti di una Fintech su cui si vuole investire. La diversity del team è un altro aspetto potenzialmente significativo: il 37% dei founder e il 38% degli investitori la considera un valore positivo nelle decisioni di investimento, mentre la maggior parte lo reputa indifferente.
Visione strategica e attenzione alla compliance: i nuovi pilastri
Se da un lato i founder chiedono decisioni rapide, supporto strategico e maggiore coraggio nelle fasi iniziali, dall’altro gli investitori pretendono visione strategica e ambizioni di scalabilità fin dal giorno uno, modelli di sviluppo sostenibili e piani di compliance solidi. Quest’ultimo aspetto è sempre più centrale: il 68% degli investitori e il 52% dei founder lo considera un fattore chiave per il successo di un deal. In un contesto regolamentato come quello finanziario, la compliance può rappresentare sia un possibile vincolo per gli investimenti che un vantaggio competitivo per differenziarsi e dimostrare solidità.
Il mercato domestico resta dominante, ma l’estero è più attrattivo
Il 90% dei founder ha raccolto la maggior parte dei fondi da investitori italiani, ma il 50% preferisce l’approccio degli investitori esteri, tipicamente apprezzati per rapidità decisionale e orientamento alla scala globale. Solo il 5% dei founder ritiene più facile raccogliere capitali in Italia rispetto all’estero. Anche tra gli investitori, il 49% predilige founder non italiani, ritenuti più ambiziosi e proiettati verso un orizzonte internazionale. In ogni caso, la questione geografica in fondo conta meno del previsto: il 55% dei founder per i futuri round non ha preferenza sugli investitori italiani o esteri; vale lo stesso anche per il 45% degli investitori sulla scelta delle Fintech da finanziare.
Acceleratori: uno strumento utile, ma non decisivo per il fundraising
Il 58% dei founder ha partecipato ad almeno un programma di accelerazione, ma solo il 34% ne riconosce un impatto diretto sulla raccolta fondi, mentre riconosce di aver avuto accesso a mentorship, networking e visibilità. Gli investitori restano scettici: solo il 13% mostra una preferenza per startup passate da programmi di questo tipo. Il mismatch tra offerta degli acceleratori e bisogni delle startup più mature è evidente.
Il futuro? Capitale strategico e alleanze di lungo periodo
Il 66% dei founder e il 55% degli investitori prevede nuove operazioni entro metà 2026. Ma non si tratta solo di raccogliere fondi: il 67% dei founder cerca venture capital e il 53% corporate venture capital, segno che il capitale “smart” – quello che porta con sé competenze, network e supporto operativo – è sempre più richiesto. I settori più promettenti per gli investitori? Payments, RegTech e InsurTech, sebbene la maggior parte di loro non indichi una specifica preferenza in tal senso.
Tre raccomandazioni per un ecosistema più forte
Dalla ricerca emergono alcune indicazioni strategiche per rafforzare il FinTech italiano:
Conclusione
Il FinTech italiano mostra talento, idee e resilienza. Ma per competere su scala globale serve un cambio di passo: più ambizione, più collaborazione e un ecosistema che premi il rischio calcolato e non si accontenti di un semplice assestamento su una dimensione da piccola e media impresa, ben diversa dal respiro delle Fintech emergenti in Paesi a noi vicini come Francia, Germania e Regno Unito.
La sfida non è solo attrarre nuovi capitali, ma costruire un orizzonte di fiducia, visione e valore condiviso. La buona notizia? Le basi ci sono e l’outlook è positivo, con un sostanziale allineamento tra domande e offerta e la volontà condivisa di collaborare più apertamente. Ora serve il coraggio di costruire il futuro e trasformare queste potenzialità in risultati concreti, misurabili e di lungo periodo