Le OPS sul tappeto vivono alterne fortune: alcune prossime al traguardo con esito favorevole, altre in una condizione di grande incertezza. Sarà anche perché i concambi proposti dalle OPS sono quasi tutti a sconto?
A quasi otto mesi dal suo avvio, il processo di ridefinizione degli equilibri del sistema bancario italiano è ancora ben lontano dalla sua conclusione. Se nel recente passato individuare il fattore trainante di fusioni e acquisizioni era ragionevolmente facile (banche in crisi di redditività o peggio in crisi irreversibile, preda di istituti patrimonialmente solidi e con redditività soddisfacente), oggi è difficile ipotizzare con qualche sicurezza lo scenario finale.
Prima di qualche riflessione in proposito, è opportuno riproporre (in maniera molto sintetica) alcuni messaggi contenuti nel recente Rapporto sulla Stabilità Finanziaria (2025/1). La situazione finanziaria delle famiglie rimane solida e ulteriormente migliorata appare la qualità del credito a loro diretto (nell’ultimo trimestre 2024 tasso di deterioramento sceso allo 0,7%). Qualche preoccupazione dal dinamismo del credito al consumo (+5,6% a/a nel trimestre finale del 2024), in rapporto al reddito disponibile ora 4 punti percentuali circa al di sopra della media dell’area euro.
Ben diversi i toni dal lato delle imprese, alle prese con una congiuntura economica fiacca (nel quarto trimestre del 2024 crescita del Pil dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dello 0,6% a/a) e quindi afflitte spesso da deterioramento dei ricavi e dei profitti. La dinamica dei finanziamenti a loro diretti si presenta debole (-2,4% nei dodici mesi terminanti a febbraio), in contrazione per le micro e piccole imprese (più rischiose), mentre per le aziende solide di maggiore dimensione la dinamica del credito è tornata positiva nel 2024.
Poco da gioire per la minore contrazione del credito negli ultimi mesi: la flessione dell’autofinanziamento ha superato quella degli investimenti. Nell’ultima parte del 2024 il tasso di deterioramento dei prestiti alle imprese si è collocato al 2,4%, in aumento a/a di circa 0,6 punti percentuali. Alle imprese vulnerabili (27%) è attribuibile quasi il 40% del debito totale.
Le banche fronteggiano questo scenario in condizione di relativa tranquillità. Il deterioramento della qualità del credito è limitato, più marcato per gli intermediari meno significativi. Ampia è la capacità complessiva di assorbimento delle perdite (vale a dire l’ammontare delle risorse patrimoniali utilizzabili senza violare il requisito minimo): in rapporto agli attivi ponderati per il rischio, a fine 2024 era al 5,9% per gli intermediari significativi e al 9,4% per quelli meno significativi. E la redditività, seppure non brillante come nell’ultimo biennio, si prospetta comunque soddisfacente (le prime trimestrali 2025 lo confermano).
Molto variegato il procedere delle numerose ipotesi di acquisizione sul tappeto. Due sono di fatto arrivate al traguardo. L’OPA lanciata da Banco BPM su Anima si è conclusa con successo e il gruppo di piazza Meda è ora titolare del 90% del gruppo operante nel risparmio gestito (68% acquisito con l’OPA, il 22% già posseduto). Poco più indietro è l’offerta pubblica di acquisto e scambio di Banca Ifis su Illimity: completato quasi interamente l’iter autorizzativo, la proposta è prossima al lancio, con un esito favorevole abbastanza scontato.
Una terza operazione, quella che ha per oggetto l’acquisizione del controllo di Commerzbank da parte di UniCredit, risulta invece di fatto congelata. Con l’intento di ammorbidire la diffusa ostilità tedesca, il vertice di UniCredit aveva già annunciato di voler ascoltare il nuovo governo prima di assumere qualsiasi decisione. Si ipotizzava di concludere questa fase di studio entro l’anno in corso ma nelle ultime settimane UniCredit ha fatto intendere che difficilmente si assisterà a fatti nuovi prima della primavera 2026, se non dopo.
Infine, le nuove nomine al vertice della Popolare di Sondrio potrebbe facilitare l’OPS di Bper, essendo percepita come meno ostile di qualche settimana fa. Peraltro la soglia minima dichiarata accettabile da Bper è fissata al 35%, obiettivo di facile conseguimento considerato che Unipol oltre ad essere azionista di Popolare Sondrio (19,75) è anche partner storico e azionista di Bper (24,6%).
Molto più incerto l’esito delle altre due operazioni, e cioè l’OPS (Offerta Pubblica di Scambio) promossa da UniCredit su Banco Bpm e quella di Monte dei Paschi su Mediobanca, in entrambi i casi definite ostili dalle istituzioni target.
Nel primo caso a complicare il procedere dell’offerta è la lista di pesanti prescrizioni formulate dal governo nell’ambito dell’uso del golden power. In un documento di 12 pagine si richiede a UniCredit di vendere entro i primi giorni del 2026 quanto residua della sua struttura in Russia e si stabiliscono forti limitazioni su credito, modifiche alla rete di sportelli e per 5 anni nella gestione del portafoglio di Anima.
Questo uso del golden power è probabilmente un unicum: è stato evitato nella totalità delle operazioni tra istituzioni domestiche, interviene su aspetti già esaminati da specifiche autorità di vigilanza, dispone prescrizioni non nella disponibilità di UniCredit (i tempi della vendita della rete in Russia sono stabiliti dalle autorità locali), vincola pesantemente la dinamica del gruppo post-fusione rendendo incerto il raggiungimento delle sinergie previste e prospettando un impatto contabile significativo (la struttura operante in Russia è iscritta in bilancio a 2,8 mld.), etc.
I poteri speciali in capo al governo dovevano svolgere un ruolo residuale, una sorta di extrema ratio in nome della sicurezza nazionale. Se ne fa un uso molto discrezionale, creando un pericoloso precedente. In modo sempre più chiaro il governo intende fare di Palazzo Chigi un crocevia obbligato dove in modo opaco si decidono o comunque si condizionano gli assetti proprietari del Paese (alcune volte con l’intervento finanziario di entità pubbliche, altre volte rivendicando il diritto di una preventiva notifica, in questo caso con l’uso del golden power). L’OPS di UniCredit è partita il 28 aprile ed è prevista rimanere aperta fino al 23 giugno. A meno di grandi sorprese (l’Europa ?), la sua chiusura con esito favorevole sembra ad oggi decisamente improbabile.
Più difficile prevedere gli sviluppi dell’OPS di Monte dei Paschi, da qualche giorno condizionata dall’OPS proposta da Mediobanca su Banca Generali. Come è noto, Mediobanca propone ai detentori delle azioni di Banca Generali di scambiare i loro titoli con azioni di Generali. In pratica, per Mediobanca la cessione della partecipazione in Generali (13%) ed il simultaneo investimento in Banca Generali (oggi controllata da Generali), uno scambio del valore complessivo di 6,3 mld. Con questa operazione si scioglierebbe quindi il legame con Generali. A metà giugno l’assemblea ordinaria di Mediobanca deciderà se formalizzare la proposta che si può supporre largamente concordata. Ammesso che non sia cancellata per violazione della cosiddetta passivity rule (la regola che vieta agli amministratori dell’istituzione target di attuare “iniziative difensive” per scongiurare offerte e scalate esterne).
Combinata con Banca Generali, Mediobanca diventerebbe un leader europeo del Wealth Management, settore da cui ricaverebbe il 45% dei suoi ricavi. Un’operazione quindi con un forte razionale industriale: un profondo conoscitore del settore (Pietro Giuliani, presidente di Azimut) ha dichiarato che l’attuale rete di consulenti di Mediobanca non viene considerata adeguata alle potenzialità del gruppo, una debolezza che Banca Generali potrebbe sanare. Nell’insieme, una efficace risposta all’OPS di MPS, operazione gracile sotto il profilo finanziario e inesistente per quanto riguarda le sinergie industriali.
Malgrado la grande copertura della stampa economica c’è un aspetto di queste operazioni poco considerato. Tutte le OPS sul tappeto sono state lanciate con premi molto ridotti. Nell’arco di pochi giorni il movimento delle quotazioni ha reso i concambi proposti a sconto per una percentuale che varia nel tempo ma comunque mai trascurabile. Alla chiusura del 9 maggio, l’OPS su Banca Generali risultava a premio (5% circa), quella di Bper sostanzialmente neutrale; MPS e UniCredit invece dovrebbero integrare in misura importante la loro proposta (1,6/1,7 mld e circa 600mln, rispettivamente) solo per allineare lo scambio alle quotazioni correnti di Borsa (cioè per non rendere penalizzante l’eventuale adesione all’OPS). Gli importi aggiuntivi (qui calcolati considerando un’adesione del 100%) dovrebbero essere corrisposti in contanti essendo già deliberato il numero delle azioni da emettere a servizio dell’OPS.
Questa situazione è in forte contrasto con quanto avvenuto nel 2020 in occasione dell’OPS di Intesa su UBI Banca, operazione simile a quelle oggi in fase di perfezionamento. Il concambio inizialmente proposto da Intesa comportava un premio del 28% sul prezzo di chiusura precedente il lancio, premio salito al 45% con la successiva integrazione in contanti. Un premio significativo segnala la determinazione del proponente a conseguire il risultato (nel caso Intesa-Ubi l’adesione superò il 90%). Perché allora le OPS attuali propongono premi modesti?
Scavando nel problema si trovano frammenti di spiegazione di diversa natura. Tra essi sicuramente importante la constatazione che (lato costi) 5 anni fa i guadagni di fusione ipotizzabili erano certamente più cospicui di quelli ipotizzabili oggi e che (lato ricavi) da allora il processo di ridimensionamento dell’intermediazione bancaria ha continuato a progredire. Negli anni dell’OPS di Intesa il RoE di sistema era al 5-6% (escludendo ovviamente il 2020, anno della pandemia) mentre nel 2023-24 si è posizionato al 12-13%. Ricavare una redditività su questi livelli se non superiore (il completamento di acquisizioni comporta rischi significativi) è oggi impresa improba.