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RISIKO BANCARIO
Mediobanca, Generali, MPS... Prede e predatori, con molti conflitti di interesse

intervista a Giuseppe Guglielmo Santorsola, professore ordinario di Asset Management, Corporate Finance e Corporate & Investment Banking e professore a contratto di Finanza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza

La mossa di Mediobanca per la conquista della leadership nel settore del wealth management. Gli effetti in termini di power playing sul vertice di Generali e i nuovi scenari se l'operazione MPS andasse comunque in porto. Orcel come Trump ... I tanti interrogativi del puzzle delle opa bancarie spiegati da un esperto

Paola Pilati

«Perché vediamo gli stessi protagonisti in tante partite diverse? E perché nuovi se ne aggiungono? Perché giocare tante partite significa che qualcuna ne dovranno vincere per forza. Sarà interessante vedere, alla fine, se quelli che oggi appaiono sullo stesso fronte lo saranno ancora alla fine dei giochi». Giuseppe Guglielmo Santorsola, professore ordinario  di Asset Management, Corporate Finance e Corporate & Investment Banking e professore a contratto di Finanza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, è un attento osservatore del risiko bancario in atto, esercizio utile in questo momento per dipanare i tanti interrogativi che nascono dal puzzle delle opa e contro opa che sono sul tavolo.

L’ultima mossa è quella di Mediobanca: l’amministratore delegato Alberto Nagel ha appena annunciato l’ops che intende lanciare su Banca Generali, controllata dalle Assicurazioni Generali, utilizzando per pagarla i titoli delle stesse Generali che ha in portafoglio. Quel prezioso pacchetto del 13,1%  che ha consentito finora alla banca di Piazzetta Cuccia di determinare i vertici della compagnia triestina a ogni rinnovo. Come valuta questa mossa?

«Una volta partita la sequenza di operazioni, aperta da Unicredit su Bpm, seguita a caduta fino al progetto di MPS di andare all’attacco di Mediobanca, era naturale che Mediobanca si difendesse. Avrebbe perso non tanto la sua autonomia quanto la sua immagine».

Eppure, Mediobanca non è più il crocevia degli affari del capitalismo italiano, come era ai tempi di Cuccia. Ha già cambiato pelle…

«Il “modello Cuccia” appartiene al passato: anzi, con questa operazione si completa una Mediobanca diversa, dedita al risparmio gestito, al credito al consumatore (con Compass) e, non dimentichiamolo, ad un’ottima ricerca (Mediobanca Research), il file rouge rimasto rispetto al passato. Restano due aree (il vecchio Corporate&Investment e l’insurance) e si aggiungerebbe Banca Generali. Questa perderebbe il legame con Alleanza Assicurazioni, che appartiene a Generali. Ma credo ci sarà la coda di chi vorrà stringere accordi commerciali con la nuova realtà».

Quindi il progetto di Nagel ha senso?

«L’idea di mettere insieme due grosse strutture distributive con quelle caratteristiche è buona: si creerebbe un soggetto in posizione di leadership nella fascia alta del risparmio, un settore ricco. Sotto il profilo industriale è un’idea che merita di essere sviluppata. Poi il successo o meno dipende da altri fattori».

Ma sarebbe il secondo operatore dopo Fideuram di Banca Intesa.

«Secondo in termini assoluti, ma il primo nel wealth management. Graduatorie a parte, l’aspetto più intrigante, per chi osserva oggi, è un altro».

Quale?

«Quel pacchetto di Generali con cui Mediobanca vuole pagare l’acquisizione, è vincolato dal lock up di un anno. Un anno in cui tutto può succedere. Nella partita Generali è arrivato un nuovo giocatore, Unicredit, che ha un pacchetto del  6,59% e  che nell’ultima assemblea per il rinnovo delle cariche si è trovato d’accordo con la lista che ha perso, cioè con Caltagirone e gli eredi Del Vecchio. Questi ultimi sono nello stesso tempo attaccanti in Mediobanca con MPS, attaccati come azionisti forti della stessa Mediobanca, hanno in portafoglio un bel po’ di Generali, insomma sono sempre decisivi. Si tratta di vedere che linea terranno per far valere le proprie ragioni».

In che senso quel pacchetto congelato può contare? Nessuno ne potrà disporre prima di un anno.

«Certo. Ma questo rafforza il management di Generali. Che è stato appena scelto con il voto di Mediobanca. Il che vuol dire  che non la penserà in modo diverso da Piazzetta Cuccia e che ha, diciamo così, un vincolo culturale con Mediobanca. Ma, di fatto, è un management libero di fare quello che vuole…».

Caltagirone e gli eredi Del Vecchio dovrebbero essere contenti di non avere più Mediobanca in Generali.

«Il problema che vedo è che stanno giocando tante partite. Chiaro che non possono risultare graditi a chiunque. Si vedrà dove potranno vincere. Ma non posso fare a meno di ripensare a tutte le discussioni degli ultimi cinquant’anni sulle sinergie tra banca e impresa, sulla separatezza di cui parlava Ciampi… Caltagirone è un costruttore, un proprietario di giornali: insomma, ripropone vecchie questioni».

L’operazione Montepaschi, nel frattempo, può continuare ad andare avanti?

«Da un punto di vista tecnico sì, ma occorre tenere conto che Mediobanca, per rendersi più indigesta nell’operazione MPS, con Banca Generali risulterà più grande di prima. È una mossa difensiva, che sfiora i vincoli della passivity rule,  e penso verrà approvata nell’assemblea di giugno. Mi domando però se MPS sarà sempre in grado di comprare una preda che è aumentata di peso».

Ma se l’acquisizione di Banca Generali si fa usando il pacchetto di Generali che ha in tasca, il valore di Mediobanca non resta lo stesso?

«Corretto. Ma consideriamo la cosa sotto il profilo del power playing. MPS – che è una banca commerciale – una volta diventata proprietaria di Mediobanca, che non ha più Assicurazioni Generali, ma che controllerebbe una banca d’investimento tramite il private banking, darebbe vita – certo fatte le debite proporzioni – alla JPMorgan Chase Manhattan italiana. E chi ne sarebbero gli azionisti? Caltagirone e gli eredi Del Vecchio, peraltro non necessariamente uniti».

Nelle partite in atto che peso possono avere i fondi di investimento?

«Gli investitori istituzionali, i fondi sovrani, i fondi di investimento, insomma – mi lasci dire – gli “sciupafemmine” finanziari, quelli che ragionano con il criterio opportunità/vantaggi, non sono aggregabili in un pensiero unico. Assogestioni nell’ultima assemblea delle Generali ha incassato uno stop inatteso, non riuscendo a nominare neanche un amministratore. Ma la maggioranza delle banche e degli istituti di investimento sono stranieri, ognuno fa un suo ragionamento, escono da un fronte, entrano in un altro…».

Nessuna fedeltà precostituita, insomma: questo può cambiare molto il peso degli schieramenti in campo.

«La storia ci insegna che di solito aderiscono alle grandi operazioni come quelle oggi in corso, e lo fanno nella fase finale del timing a disposizione. Magari vendono da una parte e comprano dall’altra: per Blackrock, che muove miliardi in tutto il mondo, partecipare alle nostre partite domestiche è roba da poco».

Con quale logica, secondo lei, l’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel è entrato in Generali (ha il 6,59%), supportando, per ora, il fronte Caltagirone &C?

«Orcel è un manager alla Trump: apre tanti campi, fa tante ipotesi, è presente dappertutto. Per giocare meglio le partite a cui tiene per Unicredit, è entrato in ambiti in cui non era presente. È un altro soggetto che non vincerà tutto, ma qualcosa la deve vincere per forza. Ricorderei anche che ha in atto un’altra partita con l’operazione Commerzbank».

Pensa che Banca Intesa resterà alla finestra?

«Al momento mi sembra difficile una sua discesa in campo: primo, hanno detto di voler crescere non con forze esterne ma solo dall’interno. Secondo, l’operazione di unire Mediobanca premier e Banca Generali dà vita al loro principale concorrente; terzo, Intesa ha un modello di business molto diverso da quelli che si stanno disegnando con le operazioni cui stiamo parlando. Che abbia la potenzialità economica per muoversi, è indubbio. Piuttosto, quello che colpisce, è  vedere che tutte queste banche hanno partecipazioni dirette e indirette in altre banche, che poi sono anche presenti sul mercato in modo autonomo. Qui si sta per decidere a livello di consigli d’amministrazione una serie di operazioni in cui alcuni dei soci sono in tutti e due i lati del business».

Faccia un esempio.

 «Credit Agricole. Se dovesse votare dentro Intesa una operazione, deve considerare che è anche azionista di BPM, e che nel risparmio gestito è socio di Unicredit con Amundi. Che fine ha fatto il concetto di conflitto d’interesse?».

Ma alle Generali, l’operazione proposta da Mediobanca conviene?

«Mi chiedo perché, avendo in corso l’operazione Natixis, le conviene uscire dal mondo delle banche. Da un lato diventa un peso massimo nel mondo delle sgr, dall’altro abbandona il fronte della distribuzione. Per distribuire i suoi prodotti, dovrebbe a quel punto costruire una nuova struttura distributiva per il nuovo gruppo».

Alleanze e cordate, schieramenti che trovano nuovi supporter: alla fine il mondo della nostra finanza si ricomporrà in una nuova costellazione, la differenza tra amici e nemici non conterà più?

«Non è detto che gli eventi passino senza fare dei perdenti. Basti vedere che cosa è successo nel caso Ubi: il management era contrario all’offerta di Banca Intesa, ma gli azionisti hanno aderito in massa all’offerta. I banchieri che guidavano Ubi non sono più nel mercato del credito».

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