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SFIDE
Governance europea cercasi

La presentazione dell'ultimo numero di Economia Italiana è stata l'occasione per una riflessione a tutto campo di Pier Carlo Padoan sull'Europa e sui suoi grandi handicap. Ma anche sulle risorse che ha a disposizione. Come Jean Monnet sapeva bene...

Paola Pilati

Lo spirito di Jean Monnet apparirà all’Europa in affannosa ricerca di una strada come lo spirito del Natale del racconto di Dickens? Uno dei padri fondatori dell’Unione europea saprà ispirarla e confermare che essa riesce a crescere grazie le soluzioni che trova proprio nei frangenti peggiori?

Anche nei momenti bui, l’appello all’ottimismo della volontà non è mai mancato in chi crede nei valori in cui si identifica l’Unione. E questo è uno dei più bui. È accaduto così che la presentazione alla facoltà di Economia della Sapienza del nuovo numero della rivista “Economia Italiana” dal titolo “Ristrutturazione produttiva, investimenti e crescita: le sfide per l’economia italiana”, ha indotto un economista europeista come Pier Carlo Padoan (nella foto), ad alzare lo sguardo oltre i problemi nazionali e inchiodare l’auspicio di Monnet al conflitto geo-politico che stiamo attraversando.

Il momento è grave, ha riconosciuto Padoan. Il primo dei problemi si chiama perdita di competitività nei confronti degli Usa, si chiama assenza di grandi imprese continentali, si chiama ritardo tecnologico, come il Rapporto Draghi e il Rapporto Letta hanno indicato chiaramente. Si chiama pressione crescente proveniente da più parti ad allentare la transizione green.

Ma quello che si sta verificando sotto i nostri occhi va oltre: l’Europa è in piena crisi istituzionale. Non c’è una governance europea. Chi ha le leve del potere non riesce a indirizzarle alla soluzione dei problemi, che invece chiedono risposte urgenti. La governance europea è in piena paralisi.

Eppure le strategie di risposta in altri casi critici l’Europa ha saputo trovarle. In primo luogo ha saputo creare e poi difendere l’euro. Lo ha fatto poi con il Covid, ha ricordato Padoan, e poi ancora tagliando i ponti con la Russia che ha invaso l’Ucraina, schierandosi dalla parte di questa, cercando nuovi approvvigionamenti di energia. E l’ha fatto, in passato, riuscendo a fare progressi quando ha dovuto affrontare crisi internazionali come la svalutazione della lira.

Oggi che è sotto attacco da parte degli Usa guidati da Trump («l’Unione europea è nata per fregarci», ha detto il presidente Usa), quale strategia di risposta può essere messa in campo che non rinneghi le scelte di lungo periodo che l’Unione si è data con la transizione digitale, verde ed energetica? Quale può essere la risposta “alla Jean Monnet”?

Non dimentichiamoci – ha ricordato Padoan – che alcune carte in mano ce le abbiamo. La prima si chiama Next Generation EU, il pacchetto finanziario più ambizioso varato per la crescita del continente. È troppo lento e fatica a procedere? Certo, ammette Padoan, le barriere amministrative restano e non aiutano, e le riforme in questo senso tardano a venire. Resta però il fatto che l’Unione ha saputo prendersi cura di se stessa. Può farlo di nuovo. Oggi che l’Unione è sotto attacco diretto può trovare la capacità e la forza di reagire.

Un altro elemento a nostro favore è il fattore tecnologico: gli sviluppi dell’AI insieme alla maturazione del quantum computing sono la chiave che può risolvere con nuove armi lo svantaggio di competitività in termini di produttività che l’Europa si trascina dietro. La storia economica ci mostra che le economie meno sviluppate (come è oggi quella europea in fatto di AI) hanno benefici esponenziali quando adottano le innovazioni.

Ma il gap tra Europa e Usa non si limita alla produttività. Gli Usa sono diventati una potentissima calamita per il risparmio degli europei. L’eccesso di risparmio che il Vecchio continente produce non trova utilizzo da questa parte dell’Oceano e lo attraversa per comprare titoli made in Usa. La ricchezza di cui si potrebbe giovare la nostra economia diventa ricchezza per gli altri.

Qui l’handicap europeo si chiama assenza dell’unione bancaria, la cui responsabilità, ammette Padoan (che oggi è presidente di Unicredit, uno dei gruppi bancari con più aspirazioni alla dimensione europea), ricade sugli operatori bancari, che l’hanno sempre ostacolata, e sui governi nazionali che se ne sono mostrati sempre sospettosi. Manca un mercato unico dei capitali, il solo che darebbe una dimensione competitiva sufficiente. È uno dei fronti più critici.

Per dare resilienza all’Europa, però, il NGEU non basta. Servono progetti sovranazionali, servono progetti di beni comuni europei: la sicurezza e una capacità fiscale centrale. E chi può mettere insieme risorse nazionali e risorse europee per pensarli e costruirli se non un ministero dell’Economia europeo? È venuto il momento di affrontare il tabù, fa capire Padoan, è quello il posto vuoto che l’Europa recalcitra a riconoscere e a riempire.

«C’è un gigantesco fallimento di azione collettiva», conclude l’ex ministro del Tesoro italiano: «siamo d’accordo su quello che bisognerebbe fare, ma non siamo d’accordo su come distribuirne i costi». Che Jean Monnet illumini l’Europa e che il collettivo politico europeo torni a identificarsi con la sua missione storica: restare unita e tutelare i valori dell’Occidente. Le ultime mosse di Ursula von der Leyen aprono uno spiraglio.

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