L'economia della morte in Russia. Il voltafaccia degli Usa all'Ucraina. La strategia bellica di Israele. Il fronte della guerra - e dei colpi di stato, dei confitti tribali, dei prevaricatori - si sta ampliando senza più freni. Segna il tramonto delle democrazie e del diritto. Ma anche delle nostre coscienze?
In un precedente articolo abbiamo esaminato la situazione in quello che fino a poco tempo fa usavamo definire l’Occidente, e che ora uno dei due componenti principali di quella civiltà sta cercando di dimenticare, per arrivare a un appeasement con la Russia, che ritiene, a mio avviso a torto, una grande forza, da sedurre – e portare al proprio fianco – per avere mano libera in Cina. Ciò ha effetti dirompenti sul resto del mondo, che qui cerchiamo di esaminare.
Decine di migliaia di romeni hanno manifestato nelle strade di Bucarest contro la decisione della Corte costituzionale di annullare i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali, nelle quali Calin Georgescu, semi sconosciuto candidato filorusso, era inaspettatamente riuscito vincente, per le interferenze di forze russofile. Difficile accertare fino a che punto queste interferenze siano state determinanti, e quindi se la decisione sia stata corretta o meno. Ma il problema evidenziato sopra (sub 3,7.) è grave e preoccupante.
Andare al fronte e venire uccisi un anno dopo, sul piano economico è più redditizio che non continuare a vivere. L’economista russo Vladislav Inozemtsev ha calcolato che la famiglia di un soldato russo di 35 anni ucciso in battaglia riceverebbe l’equivalente di circa 150.000 dollari USA tra salario e indennizzi per la sua morte. Più di quanto avrebbe guadagnato da civile, in alcune zone, se fosse vissuto fina a 60 anni. Questi pagamenti “da economia mortuaria” (Inozemtsev ha coniato il termine “deathonomics”) starebbero trasformando le economie locali di alcune delle regioni più povere della Russia. L’economista ha fornito questi dati al Wall Street Journal, che li ha pubblicati a inizio d’anno.
Ovviamente, se ciò è vero per gli eredi, e anche se sembra che ciò stia rendendo meno povere addirittura alcune economie locali delle regioni più povere della Russia (dalle quali i soldati vengono arruolati, e ciò bene spiega il disprezzo dei governanti russi per le vite dei sudditi – spesso non russi – delle proprie colonie interne), ciò non è affatto vero per i soldati defunti, che avrebbero certamente preferito vivere almeno fino a sessant’anni.
Vi si aggiungono altre provvidenze, per i familiari e congiunti, per cui nei primi due anni di guerra sono stati distribuiti 30 miliardi di dollari ai familiari dei caduti (che permette di calcolare il numero dei soldati defunti: 30 miliardi, diviso 150.000 per testa, fa 200.000, anche se, da quanto sappiamo da altre fonti, i morti sarebbero molti di più. Inozemtsev parla di una «economia della morte», parallela alla «economia di guerra», che starebbe trasformando pezzi della società e della geografia russa.
Secondo il Corriere della Sera (18 novembre 2024), anche la banca centrale della Finlandia ha pubblicato uno studio sugli incentivi alle reclute: «Salari altissimi esercitano una potente attrazione nelle regioni povere»; e riferisce che il New York Times ha raccolto prove aneddotiche di questa improvvisa ricchezza che affluisce nelle regioni di provenienza delle reclute: raddoppio dei prezzi degli appartamenti, vendite di auto di grossa cilindrata e di accessori di lusso, come segni visibili di una recente prosperità. A Tuva, una regione periferica che ha un indice di povertà triplo rispetto alla media nazionale, dall’inizio della guerra i depositi bancari sono cresciuti del 150%.
Sempre secondo il Corriere, reportage dal terreno indicano come le famiglie dei caduti li considerino «angeli benefattori», che hanno sacrificato la vita non solo per la Patria, ma anche per dare sicurezza economica a mogli, figli, genitori. Putin applicherebbe una lezione appresa da alcuni dei suoi peggiori nemici come l’Isis e altre milizie jihadiste, che da molti anni gestiscono un welfare per i parenti dei loro «martiri»: un fattore che si è dimostrato influente anche nel reclutamento degli attentatori-suicidi. Intanto Putin continua la sua operazione speciale con i mercenari stranieri, coreani del nord rapidamente scomparsi dal fronte, e carcerati.
Ricordiamo che con gli accordi di Budapest, quando l’Ucraina trasferì alla Russia, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, 1900 testate nucleari, su pressioni statunitensi (altro che «abbaiare alla Russia»), all’Ucraina venne garantita, dalla stessa Russia, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, e più tardi dalla Cina e dalla Francia, l’integrità territoriale. Impegno violato da tutti i «garanti». E Trump sembra voler concludere «la pace» bilateralmente con Putin, a spese dell’Ucraina e dell’Ue.
Antonio Costa, Presidente del Consiglio europeo, ha spiegato che entro la fine dell’anno la Ue avrà donato alle casse ucraine 4,2 miliardi di euro extra e a partire dal gennaio 2025 trasferirà mensilmente 1,5 miliardi, che rappresentano gli interessi dei capitali russi congelati principalmente in Europa, nell’Euroclear (soldi quindi non europei). Con la scusa che la Russia potrebbe cessare di essere sanzionata e quindi «ritornare in bonis», l’Euroclear, e le autorità bancarie europee, hanno consentito a questo pagamento mensile, – irrisorio per le esigenze di difesa e ricostruzione dell’Ucraina -, ma non a trasferire maggiori somme, cosa che secondo loro potrebbe creare problemi di fiducia nei sistemi bancari e dei pagamenti (ciò che a rigore potrebbe avvenire anche per l’appropriazione degli interessi, definiti, chissà perché, «extraprofitti»).
Si calcolava mesi fa che, dall’inizio dell’invasione russa, l’Europa avesse donato circa 115 miliardi di euro, contro i meno di 90 americani. L’Ukraine support tracker, un osservatorio che fa capo all’università tedesca di Kiel, nel suo ultimo report, pubblicato il 14 febbraio scorso, dice che complessivamente i Paesi europei hanno sborsato 132 miliardi di euro contro i 114 americani. Ma Trump sostiene – una tra le sue tante bugie -. che gli USA abbiano erogato più di 300 miliardi, e vuol essere rimborsato con 500 miliardi sotto forma di terre rare, ennesimo ricatto da parte di un «garante» dell’integrità territoriale ucraina. Un’estorsione a colpi di sanzioni pubbliche e affari privati, ai danni di un intero paese, dato che il suo Presidente è odiato da Trump perché non si è piegato alla sua pretesa di accusare il figlio di Biden. Intanto Putin aumenta le spese militari: per il 2025 dovranno superare i 145 miliardi di dollari, che rappresentano il 32,5 per cento del budget nazionale russo; nel 2024 hanno superato di poco il 28 per cento.
L’Ucraina ha ricevuto dall’amministrazione Biden l’autorizzazione a utilizzare missili a lungo raggio solo nel gennaio 2025, a 1.041 giorni dall’inizio della «operazione militare speciale» iniziata il 24 febbraio 2022. Autorizzazione che Trump, che vuole la pace ad ogni costo (a spese dell’Ucraina e dell’Europa), potrebbe revocare. In realtà l’Ucraina, per volere dei suoi alleati, ha combattuto questo conflitto con le mani legate, in maniera asimmetrica, potendo difendersi, ma non attaccare specularmente la Russia. Poiché ha subito danni dal conflitto per una somma ben superiore ai circa 300 miliardi congelati in Belgio presso l’Euroclear, (per non parlare delle vite umane, a partire dal massacro di Bucha), ben potrebbe intentare un’azione perché tali fondi le vengano consegnati per intero, mossa che risolverebbe anche i problemi che gli aiuti europei e americani creano nei bilanci (e nelle volontà) dell’USA, dell’Ue e dei suoi Stati membri.
Nel frattempo il maramaldo americano, come il lupo di Esopo, accusa l’eroica Ucraina di aver combattuto una guerra inutile, come se l’avesse iniziata lei, mentre è stata invasa, e di aver fatto spendere agli Stati Uniti somme ben superiori a quelle effettive, al fine di impadronirsi delle terre rare del paese. Dimenticando le garanzie offerte in passato dagli Stati Uniti all’Ucraina e attribuendo a Zelensky scelte americane. E denigra Zelensky, inutile ormai per il suo appeasement con la Russia, dandogli del comico di terz’ordine, come denigra Biden e l’Europa, subito seguito dalla mosca cocchiera Musk.
Dal 1970, la Siria è stata governata da Hafiz al-Assad, e, alla sua morte, dal figlio Bashar al-Assad, medico e militare. La loro dittatura è stata caratterizzata da massacri, a Homs negli anni Ottanta di 30.000 persone, torture, e dal 2011 da una guerra civile che si è conclusa nel 2024 con la dissoluzione del regime e la fuga a Mosca della famiglia del dittatore.
L’alleanza con Mosca – amica e sostenitrice di autocrati e dittatori – è costata la vita a mezzo milione di persone, morte nei raid russi, l’esilio di un milione di siriani, accuse gravissime di crimini di guerra, processi aperti in Europa, accuse di corruzione. Gli Assad hanno anche combattuto una guerra contro l’Isis e concluso un’alleanza con Teheran per sostenere gli Hezbollah in Libano. La sconfitta degli Assad ha portato al potere una fazione di forse-ex terroristi, per cui il futuro del paese è ancora incerto.
Presidente ad interim è Ahmad al-Sharaa, noto anche come Abu Muhammad al Jolani, sulla cui testa gli USA avevano imposto – nel 2017 – una taglia da 10 milioni di dollari, considerandolo un terrorista, taglia revocata solo nei mesi scorsi. Israele – nella sua politica di espansione e di creazione di pretese zone cuscinetto – ha approfittato della situazione per occupare con le proprie truppe, prima temporaneamente e poi a più lungo termine, – territori siriani. Secondo il governo siriano, sono «pretesti» quelli in base ai quali l’occupazione è avvenuta, ennesima violazione israeliana del diritto internazionale.
La sezione della Turingia dell’Alternative für Deutschland (AfD) è sotto osservazione dei servizi segreti tedeschi per possibili attività eversive ed antidemocratiche. Con buona pace di chi sostiene che gli elettori hanno sempre ragione. Gli elettori hanno «democraticamente eletto» sia Hitler che Mussolini, e continuano, sempre «democraticamente» a eleggere Putin, che ha eliminato dalla competizione, con mezzi non sempre leciti (veleni, torture, carcerazioni in luoghi estremi), tutti i possibili concorrenti. Mentre Elon Musk sostiene che quel partito rappresenterebbe la salvezza della Germania e Vance lo corteggia.
A seguito dell’esecrabile attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, invece di perseguire una politica di pacificazione – come avvenne tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna, o in Sudafrica eliminando l’apartheid -mediante la rinuncia alle armi, la distruzione concordata dei tunnel creati da Hamas a fini militari, nuove elezioni per l’intera Palestina e la creazione di due Stati, Israele ha avviato una brutale guerra contro Gaza – con forze assolutamente superiori – che ha portato alla morte di 45.000 palestinesi, se non, secondo «The Lancet», di circa 70.000, di cui due terzi donne e bambini. Per le bombe, la malnutrizione, la distruzione di infrastrutture e ospedali, la rovina di intere città e villaggi, le macerie, gli impedimenti posti alla distribuzione degli aiuti umanitari, l’espulsione del personale delle Nazioni Unite, dei giornalisti stranieri. Senza contare i feriti, le amputazioni, gli invalidi. Dato che i palestinesi sono semiti, dimostra di essere antisemita anche il governo Netanyahu.
Si discute, filologicamente, se si tratti di genocidio, di massacri, carneficine, eccidi, stragi, stermini, ecatombi, macelli, carnai, Nakba (disastro). Certo nulla è comparabile alla Shoah, e alla sistematica e scientifica eliminazione di milioni di ebrei da parte del nazismo tedesco. Ma ogni genocidio è diverso, e se sono genocidi quelli degli zingari, degli armeni in Turchia e dei Tutsi in Ruanda non si può escludere, come sta accertando la Corte penale internazionale, che anche in questo caso un genocidio sia in corso. Oltre alle morti, infatti, ci sono state le espulsioni di milioni di persone, ulteriori deportazioni programmate o annunciate, a Gaza e in Cisgiordania, la sistematica occupazione di territori palestinesi. Lo dimostrano le due mappe inserite sotto, che non mostrano lo stato in cui è ridotta Gaza, ma mostrano chiaramente cosa sia rimasto ai palestinesi in Cisgiordania, mentre le comunicazioni tra i brandelli di territorio palestinese sono impedite, tra muri e posti di blocco israeliani in territori altrui.
Nell’atrio dell’ingresso del palazzo della Corte suprema israeliana c’è una scala che conduce verso l’alto, che simboleggia l’aspirazione della terra alla giustizia divina attraverso la legge. La legge fondamentale di Israele stabilisce che lo stato si basa sul valore dell’uomo, sulla inviolabilità della vita e sulla libertà. Ma non sembra che il governo attuale aspiri né alla giustizia divina, né a questi principi, né ai comandamenti scolpiti da Mosè.
Tanto è vero che la Corte penale internazionale ha spiccato mandati di cattura contro i leader di Hamas, ma anche contro Netanyahu e altri membri del suo governo.
Ciò nonostante, nel paese qualsiasi critica alla politica governativa viene considerata come intelligenza col nemico, e la libertà di stampa è a rischio. Il governo israeliano ha approvato una proposta del ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi che vieta a qualsiasi ente finanziato dallo Stato di comunicare con il principale organo di stampa di opposizione, Haaretz, e di pubblicare annunci pubblicitari sul giornale. Un boicottaggio politico ed economico che il governo presenta come reazione ai «molti editoriali che hanno danneggiato la legittimità dello Stato di Israele e il suo diritto all’autodifesa e alle richieste di imporre sanzioni al governo». Ilana Dayan, una delle più importanti giornaliste investigative del Paese, dopo un’intervista alla Cnn in cui aveva detto che i media israeliani nascondono la crisi umanitaria a Gaza, è stata sommersa di minacce sui social e sul suo cellulare privato.
In realtà di intelligenza col nemico dovrebbe essere imputato Netanyahu, che per anni ha consentito il finanziamento di Hamas e il suo rafforzamento, allo scopo dichiarato di tenere Gaza fuori del controllo dell’Olp e di impedire la nascita di uno Stato palestinese, obiettivo frustrato dagli anni Quaranta del Novecento. Da ottant’anni, tra le ambiguità di Arafat, l’assassinio di Rabin da parte di un estremista israeliano, tentativi di pacificazione e arretramenti americani. Fino all’attuale «soluzione» immobiliare.
Mentre Hamas, ad ogni rilascio degli ostaggi, mette in scena disgustose recite per oltraggiare Israele e gli stessi ostaggi.
Carlo V sosteneva che il sole non tramontasse mai sul suo impero. Ora il sole non tramonta mai sulle guerre, i conflitti, i colpi di stato, gli aggressori, gli aggrediti, i prevaricatori. Dall’Africa sub-sahariana alla Libia, al Congo e al Ruanda, al Sudan e al Sud-Sudan, al Corno d’Africa. Allo Yemen e agli Houthi, ai Curdi, all’Iran e i suoi Ayatollah, all’Afghanistan – abbandonato con una fuga disonorevole, negoziata da Trump, ma da lui attribuita a Biden -, agli Uighuri, al Tibet, al Myanmar, alla Corea del Nord e alla Corea del Sud – sinora esempio di stabilità orientale – di un presidente golpista. Al Messico e alla Colombia dei cartelli della droga, a Cuba e alle sue enclave di rifugiati di Batista in Florida, ai Maduro, ai Bolsonaro.
Tutti i poteri politici contrari ai controlli e alla divisione dei poteri, legibus soluti, pretendono, essendo stati «eletti dal popolo», di poter realizzare un «cambio di regime». Concezione proprietaria delle istituzioni che tradisce un’insofferenza ormai classica rispetto agli organismi di controllo e al ruolo dell’informazione. La morte definitiva di Montesquieu.
Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e uomo delle criptovalute: «La democrazia non è più compatibile con la libertà». Abbiamo visto sopra di quale libertà si tratti: quella di tutti i grandi proprietari di imprese di far abolire ogni regola e di eliminare ogni limite alla crescita delle proprie aziende e al potere sulle persone che ne consegue.
Muoiono così, strette in una morsa della politica e degli imprenditori, la democrazia e il diritto.
Come lottare? È sufficiente cultiver son jardin? E ce jardin, potrà sopravvivere?