Trump è convinto che la difesa del dollaro come valuta dominante a livello globale debba passare per la diffusione degli stablecoins. Ecco le ragioni e le mosse di una battaglia ancora sottotraccia. Ma che ha un primo fronte caldo: quello tra Usa e Unione Europea
Non è solo la guerra dei dazi a preoccupare i partner commerciali degli Stati Uniti. Un’altra minaccia, che può avere influenza sul commercio mondiale, è quella che Trump esercita nei confronti di tutti coloro che, secondo lui, possono mettere in pericolo il ruolo del dollaro.
L’arma che Trump vuole usare per difendere la valuta americana sono gli stablecoins, cioè quelle valute digitali che sono agganciate a un asset di riferimento – nella maggior parte dei casi al dollaro – e quindi progettate per avere un valore più stabile delle semplici cryptovalute.
L’Atlantic Council, think tank con la missione di riaffermare la leadership americana lo ha recentemente teorizzato, sostenendo che gli stablecoins legati al dollaro aiuteranno a rafforzare lo status del dollaro come valuta di riserva e nelle transazioni commerciali.
Questa nuova strategia è stata dichiarata in contemporanea con un’altra iniziativa dell’amministrazione Trump. Il presidente ha bandito dagli Usa – sempre con uno dei suoi ordini esecutivi – qualsiasi valuta digitale emessa da una banca centrale (le CBDC, progetto a cui quasi tutte le banche centrali stanno lavorando da tempo, ma non la Fed), con l’imputazione che essa metterebbe in pericolo la sovranità degli Usa e la stabilità del sistema finanziario.
La missione è affidata a Howard Lutnick, nuovo segretario al Commercio, miliardario con interessi proprio in uno degli stablecoin più diffusi, Tether, attraverso la sua società di brokeraggio Cantor.
Ma perché, dopo la benedizione del bitcoin già in campagna elettorale e la creazione di una sua privata valuta digitale, ora Trump celebra gli stablecoin e chiude la porta in faccia alla moneta digitale di istituzioni sicure come le banche centrali?
Perché è convinto che siano loro il veicolo migliore per evitare la ritirata del dollaro sui mercati, fenomeno che lo sta ossessionando perché contrasta la sua visione MAGA.
Che sia una preoccupazione poco fondata, lo dimostrano i numeri: il dollaro rappresenta oggi il 58% delle riserve delle banche centrali (ma era il 71% nel 2001) e quasi la metà dei pagamenti registrati dal sistema SWIFT (la società che sovrintende allo scambio delle transazioni finanziarie a livello mondiale e ne garantisce la sicurezza).
Questi dati sono tutt’altro che rassicuranti per Trump. Sia perché le banche centrali hanno aumentato da un po’ di tempo a questa parte la quota di riserve detenute in oro invece che in dollari, sia perché lo stesso Swift potrebbe perdere il suo ruolo di protagonista assoluto nel mondo delle transazioni mondiali.
Il segnale, per Trump, è venuto quando la Cina ha deciso si costruire una piattaforma di pagamenti interbancaria alternativa allo SWIFT, che ha già associato 160 membri e le cui attività sono lievitate dell’80 per cento dal 2022, anche per via delle sanzioni occidentali verso la Russia, che hanno stimolato la ricerca di valute alternative per le transazioni.
Altro campanello d’allarme è stato il progetto della Banca per i regolamenti internazionali (BIS) chiamato mBridge, con cui l’organizzazione guidata da Agustín Carstens intendeva creare una valuta digitale che legasse le banche centrali di Cina, Hong Kong, Thailandia, UAE e Arabia Saudita (a cui si sono aggiunti poi molti altri come osservatori interessati) con una piattaforma da utilizzare per pagamenti transfrontalieri e cambi in tempo reale, tagliando costi e riducendo le inefficienze tra i diversi sistemi.
Il progetto mBridge è stato improvvisamente abbandonato dalla Bis a novembre del 2024 con la motivazione ufficiale che era ormai maturo per essere ceduto alle quattro banche partner. Alla vigilia della vittoria di Trump e poco dopo che la Russia, in ottobre, ha ospitato il summit dei BRICS, con 36 paesi – il Global South più i big Cina e India – che hanno concordato di operare per mettere in piedi nuovi meccanismi di cooperazione finanziaria che rendano possibile un uso crescente di valute locali, alternative al dollaro. Una tempesta perfetta.
Come si giustifica la fiducia dell’amministrazione Usa negli stablecoins, che oggi sono solo una piccola frazione dell’attività dei mercati finanziari? Che senso ha riporre tanta fiducia in qualcosa che si stima valga 222 miliari di dollari di capitalizzazione di mercato contro i 3,3 trilioni del valore globale del mercato delle cryptovalute, e contro i 6,2 trilioni del mercato dei capitali in dollari?
La risposta sta nella convinzione che le cryptovalute legate al dollaro possano frenare la de-dollarizzazione crescente nel mondo. Un argine che va aiutato con apposite regole: per esempio, per far crescere il ricorso agli stablecoins a livello internazionale, si potrebbe – sostiene l’Atlantic council – stabilire per legge che gli emittenti di stablecoins debbano avere in portafoglio dei Treasury bond, ovviamente in dollari, per garantirne la liquidità. Un passo ulteriore sarebbe quello di creare una riserva federale di cryptoasset a supporto della liquidità dei mercati crypto.
Oltre ai BRICS, anche l’Europa è vista dagli Usa della nuova dottrina Trump come un pericolo per il dollaro. Nel mirino, non soltanto il progetto dell’euro digitale della BCE, il quale potrà competere con l’attività delle grandi società delle carte di credito made in Usa offrendo un sistema locale di pagamenti digitali, ma anche l’uso di token di una CBDC e della blockchain avvenuto per la prima volta da parte proprio di una banca centrale europea a fine 2024.
La Banque de France, lo scorso dicembre ha concluso due operazioni (con Société Générale e BNP Paribas) in cui ha usato i token della sua CBDC per regolare degli investimenti. Un esperimento, ma segna il cammino.
Anche la MiCA (Markets in Crypto Assets), la direttiva europea che regola la finanza crypto, viene vista dall’altra parte dell’Oceano come una mossa contro il dollaro. Un modo per innalzare barriere nei confronti di chi, non essendo europeo, vuole emettere stablecoins denominati in dollari, perché estende anche al mercato dei cryptoasset le stesse regole del mondo bancario. Cosa che darebbe spazio per crescere all’euro digitale o agli stablecoins denominati in euro.
Insomma l’Unione europea è in rotta di collisione con la crociata trumpiana per riaffermare la sovranità globale del dollaro. Un conflitto per ora un po’ sottotraccia ma, come promette l’Atlantic Council, prenderà il centro della scena già nel 2025.