Il rapporto tra costi operativi e margine di intermediazione - CIR - è l'indice più diffuso per misurare l'efficienza di una banca. Ma nei prossimi anni, con la discesa dei tassi di interesse e quindi dei margini di intermediazione, quell'indice non rappresenterebbe più la realtà. Ecco una proposta per sanare questo difetto
Nell’ambito delle analisi dei bilanci bancari, il Cost Income Ratio (CIR) – espresso come rapporto tra costi operativi e margine di intermediazione – è l’indice che trova maggiore diffusione ai fini di indagare l’efficienza operativa di una banca.
Il CIR fornisce l’indicazione dell’incidenza che hanno avuto i costi non finanziari rispetto al margine economico che esprime l’insieme di attività, tradizionali e non, che vengono svolte dalla banca: diminuzioni nel corso del tempo dell’indice vengono interpretate come un segnale di un miglioramento dell’efficienza operativa, mentre valori crescenti conducono alla conclusione opposta.
Le problematiche concernenti il CIR sono riconducibili alla grandezza posta al suo denominatore: infatti il margine di intermediazione non appare in grado di esprimere la totalità delle componenti reddituali realizzate nell’esercizio ed è soggetto a una notevole variabilità, in relazione sia ai business svolti e alle aree geografiche presidiate, sia a variabili, in primis la dinamica dei tassi, che non sono controllabili da parte della banca. Ne consegue che limitarsi esclusivamente a una lettura dei valori del CIR può condurre ad esprimere giudizi parziali o addirittura errati in merito all’efficienza operativa di una banca.
Già da numerosi anni molte banche del nostro Paese hanno intrapreso percorsi finalizzati a minimizzare i costi gestionali, con l’intento ultimo di contribuire a generare una soddisfacente redditività in un contesto che si è rivelato particolarmente mutevole e sfidante. Un’attenzione specifica sul contenimento dei costi non finanziari legati all’operatività bancaria si è resa necessaria in ragione delle difficoltà incontrate nell’agire sulla leva dei ricavi dopo la Grande Crisi Finanziaria.
Questo principalmente a causa delle politiche monetarie espansive che vi sono state fino a metà dell’anno 2022 e di alcune criticità che si sono palesate nel conseguire flussi di reddito aggiuntivi tramite le attività diverse rispetto a quella tradizionale, nonché dei rilevanti avanzamenti tecnologici e dei conseguenti processi di digitalizzazione, che hanno inevitabilmente portato a un cambiamento dei modelli operativi delle banche, con un notevole ridimensionamento degli organici e del numero di filiali effettivamente occorrenti per il concreto e quotidiano svolgimento delle loro funzioni.
Anche attualmente le banche italiane, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, stanno continuando ad attuare strategie e politiche di efficientamento, tramite principalmente la riduzione dei dipendenti in organico e degli sportelli: si tratta di manovre realizzabili anche in virtù delle opportunità che la tecnologia offre in termini di nuove modalità di offerta dei prodotti e servizi finanziari.
A livello generale, a fronte di una marcata flessione del personale e delle filiali, nell’ultimo periodo il costo del fattore produttivo lavoro non ha invece mostrato una tendenza a diminuire. Hanno inciso su tale dinamica gli adeguamenti derivanti dal rinnovo del contratto nazionale collettivo avvenuto nell’anno 2023 e gli incentivi all’esodo che le banche stanno corrispondendo da più anni in relazione ai programmi di riduzione della forza lavoro; tali maggiori oneri hanno compensato i risparmi di costo che si sono avuti in relazione al decremento del numero di dipendenti. Per quanto concerne le altre spese amministrative diverse dagli oneri per il personale, rappresentate ad esempio da spese legali, oneri per servizi informativi e costi di marketing, si evidenzia che esse hanno registrato un leggero aumento negli ultimi anni.
A fronte della dinamica dei costi operativi sopra riassunta, a partire dall’anno 2022 si è verificata una sostenuta crescita dei margini di intermediazione delle banche italiane, in ragione dell’incremento che ha contraddistinto i margini di interesse, i quali, a loro volta, hanno potuto beneficiare degli alti tassi di interesse legati alla politica monetaria restrittiva attuata dalla Banca Centrale Europea.
Incrementi lievi dei costi operativi abbinati a margini di intermediazione in notevole crescita hanno perciò causato negli ultimi tempi un abbassamento accentuato del CIR medio delle banche italiane. Tuttavia, le previsioni per i prossimi anni stimano una traiettoria in discesa dei margini di intermediazione, che non potranno continuare a beneficiare dell’alto livello dei tassi registrato negli anni dal 2022 al 2024: a fronte di oneri operativi che si manterranno stabili, il CIR assai probabilmente sarà dunque destinato a innalzarsi.
Il giudizio di miglioramento dell’efficienza operativa, a cui si è recentemente giunti tramite la sola lettura delle percentuali di Cost-Income Ratio, potrebbe quindi negli anni a venire essere ribaltato, a causa però di una diminuzione dei tassi di interesse che, come è ovvio, non ha tuttavia attinenza con la capacità di governo dei costi da parte delle banche.
Anche alla luce delle recenti evidenze empiriche, si sostiene pertanto che, nell’ambito delle analisi delle performance bancarie, il CIR debba essere analizzato e interpretato avendo consapevolezza di quali sono stati gli andamenti del numeratore e del denominatore su un arco di tempo pluriennale. Riportare solo i valori su due-tre anni consecutivi dell’indice, traendo dall’osservazione della variazione avvenuta conclusioni sul miglioramento/peggioramento dell’efficienza operativa della banca, costituisce un approccio inadeguato.
La disclosure sull’informativa finanziaria trarrebbe poi ulteriore giovamento se il CIR venisse affiancato da altri indicatori, quali quelli che esprimono l’incidenza dei costi operativi rispetto al totale attivo, piuttosto che al patrimonio contabile o al Common Equity Tier 1 (CET 1): rispetto al margine di intermediazione, tali variabili presentano di regola una minore volatilità al variare delle condizioni esterne alla banca, rendendo quindi gli indicatori che ne derivano meno esposti a situazioni transitorie e di conseguenza maggiormente rappresentativi. Un’informativa più analitica andrebbe infine esposta con riferimento alla composizione dei costi operativi che si sono sostenuti, evidenziandone anche la ripartizione sui singoli settori operativi nei quali la banca opera.
La versione integrale di questo articolo è pubblicata sull’ultimo numero di Rivista bancaria