Senza farsi quasi notare, le banche italiane hanno fortemente compresso il costo del funding. Un intervento che contribuisce non poco a mantenere consistente l’utile netto, anche in uno scenario in discesa dei rendimenti finanziari
Dopo il brusco aumento registrato tra luglio 2022 e settembre 2023 (10 rialzi in 15 mesi per complessivi 4,5 punti percentuali), i tassi ufficiali europei sono ora indirizzati in direzione opposta. Da giugno 2024 sono stati percorsi i primi 5 scalini. Nell’insieme, una discesa di 1,25 punti percentuali per il tasso sui depositi overnight (ora al 2,75%), un po’ di più (1,60 pp) per quelli applicati alle operazioni di rifinanziamento principale (al 2,90%) e di rifinanziamento marginale (al 3,15%).
Secondo le attese al momento più condivise, il movimento al ribasso dovrebbe proseguire nel 2025 con tagli moderati (0,25 punti percentuali ogni volta) per un totale compreso tra 0,50% e 0,75%. È questa una previsione aperta a correzioni nei due sensi, considerate le incertezze sull’andamento nell’Eurozona di inflazione e crescita.
Le rilevazioni della Banca d’Italia documentano come il nuovo orientamento della politica monetaria cominci gradualmente a trasferirsi nei tassi bancari. Scorrendo l’ultimo aggiornamento di Banche e Moneta se ne trovano prime indicazioni, inevitabilmente parziali considerato che gli ultimi due interventi della Bce hanno avuto decorrenza il 18 dicembre 2024 e il 5 febbraio 2025, quindi oltre il confine temporale dei dati presentati nella pubblicazione appena citata (novembre 2024). D’altra parte, però, in presenza di una tendenza così chiara, la concorrenza tra le banche tende ad anticipare i passi delle autorità monetarie.
Un primo dato che è opportuno evidenziare è il proseguimento della fase di contrazione del volume dei prestiti. A novembre, i prestiti al settore privato non finanziario sono diminuiti dell’1,1% sui dodici mesi (-1,0% nel mese precedente), sintesi di un andamento non brillante di quelli alle famiglie (tasso di variazione nullo sui dodici mesi) e ancora decisamente sfavorevole di quelli diretti alle società non finanziarie (- 3,6%, -3,1% nel mese precedente).
Sono molti i fattori che contribuiscono a determinare questo trend negativo per i finanziamenti alle imprese, tendenza in atto da quasi due anni: dai criteri ancora severi adottati dalle banche nella selezione degli affidati (timori per un possibile aumento del rischio di credito) alle molte incertezze dell’attuale congiuntura che inevitabilmente indeboliscono la propensione a investire.
Secondo la Banca d’Italia la consistenza dei prestiti alle imprese è segnata anche dalla decisione di molte imprese (soprattutto più grandi) di estinguere anticipatamente parte dei prestiti in essere. Questa tendenza, propostasi con forza a partire da fine 2022, sembra ancora in atto e nel terzo trimestre 2024 si è manifestata anche per i finanziamenti acquisiti tramite corporate bond.
Un ruolo in queste dinamiche lo svolgono ovviamente anche i tassi applicati dalle banche. Pur se una limatura risulta evidente, i tassi attivi applicati ai nuovi prestiti delle imprese si mantengono elevati: dopo il massimo di 5,59% a novembre 2023, a novembre 2024 ci si posiziona a 4,53%, ma a novembre 2022 si era al 3,00%. Per i nuovi prestiti alle famiglie destinati all’acquisto di abitazioni (la tipologia di finanziamenti alle famiglie di gran lunga più importante) il profilo risulta diverso: i tassi applicati hanno registrato nella fase di ascesa incrementi più contenuti (massimo a 4,50% a novembre 2023) e quelli rilevati alla data più recente non sono lontani da quelli di due anni fa (3,23% rispetto a 3,06%).
Il costo marginale della raccolta bancaria (cioè la media ponderata del costo delle varie fonti di provvista), dopo aver condiviso la fase di ascesa dei tassi (+2,1 punti percentuali nel biennio 2022-23), si adegua ora lentamente al movimento al ribasso dei rendimenti (- 0,55 pp negli ultimi dodici mesi). L’andamento di questo indicatore è fortemente condizionato dalla massa dei conti correnti ordinari, la cui remunerazione è stata di fatto azzerata da tutte le banche. Per giustificare la novità, le banche hanno spesso sottolineato che il conto corrente è strumento disegnato per gestire la normale operatività quotidiana di incassi e pagamenti e non una forma di investimento. Affermazione con un po’ di verità, ma invocata in modo palesemente strumentale.
Esemplificativo è il caso di una banca di significative dimensioni che all’inizio del 2023 (quindi in piena fase di rialzo dei tassi ufficiali) ha inviato alla clientela una “proposta di modifica unilaterale del contratto” articolata in molteplici riduzioni e rialzi del costo dei servizi. Tra le novità, quella probabilmente più importante (ma poco evidenziata) era l’azzeramento del tasso creditore annuo nominale relativo al conto corrente, fino allora legato alla media mensile dell’Euribor a 1 mese. Per memoria, l’Euribor a 1 mese è salito sopra il 3% a maggio 2023, ha sfiorato il 4% dodici mesi dopo per ridiscendere successivamente sotto il 3% tra la fine del 2024 e inizio 2025.
Il timing dell’intervento a volte risulta diverso. Come si può constatare dai “fogli informativi” inviati alla clientela, però, l’approdo è sempre lo stesso (0% o quasi), con in prima fila tutte le banche di maggiore dimensione. In qualche caso le banche online risultano leggermente più generose.
Ci sono pochi dubbi che il deciso contenimento dei costi della raccolta abbia largamente contribuito al forte incremento del margine d’interesse delle banche italiane, perché il raffreddamento della remunerazione si applica ad un aggregato prossimo ai mille miliardi. La modifica è peraltro avvenuta in parallelo con una piena reattività al rialzo dei tassi attivi. Poco tempo fa il governatore Panetta ha ricordato che in Italia circa l’80% dello stock dei prestiti alle imprese e circa il 35% di quelli alle famiglie sono a tasso variabile con le corrispondenti quote in Francia e Germania inferiori al 40% per i prestiti alle imprese e tra il 5 e il 15% per quelli alle famiglie.
Questa scelta gestionale relativa alla remunerazione dei conti correnti produce nell’immediato un evidente vantaggio che in prospettiva può però ridimensionarsi e/o produrre qualche tensione nel finanziamento delle poste dell’attivo. Ciò avverrebbe se quote importanti di clientela scegliessero di indirizzare la liquidità detenuta nei conti correnti bancari verso altre attività finanziarie e/o verso altri circuiti. L’eventualità di tensioni nel finanziamento delle poste dell’attivo è solo un’ipotesi, sia perché attualmente la domanda di finanziamenti è debole, sia perché la Bce è comunque sempre disponibile per le ordinarie operazioni di rifinanziamento.
Quanto sono probabili questi sviluppi sfavorevoli? Premesso che per adesso gli spostamenti sembrano di limitato rilievo, è noto che la maggior parte della ricchezza (in Italia e altrove) è di competenza degli over 55, cioè persone che sono all’apice della vita lavorativa o pensionati, tendenzialmente meno reattive ai mutamenti di scenario.
Una rimodulazione delle scelte finanziarie è possibile ma richiede tempo per produrre effetti importanti. D’altra parte, però, il rapporto banca-cliente avviene sempre più spesso in modalità digitale con riflessi importanti sul comportamento e le scelte della clientela. Una ricerca della Banca d’Italia ha mostrato che mentre la riduzione dei depositi a vista è avvenuta in maniera simile nelle diverse banche, lo spostamento verso i meglio remunerati depositi a termine è stato sensibilmente più rilevante per le banche con clientela altamente digitale.
Nell’insieme, è più che ragionevole attendersi che possa lentamente prodursi una percepibile riduzione della massa dei conti correnti a vantaggio di tipologie d’investimento finanziario più remunerative. Tuttavia il costo del funding, che secondo molti report doveva essere un fronte vulnerabile per le banche italiane, nel complesso non risulta invece tale. Se ne ricava questa possibile indicazione: seppure il ribasso dei tassi ufficiali in atto segnerà inevitabilmente in modo negativo il conto economico (soprattutto quello delle banche a più modesta diversificazione), l’utile complessivo dovrebbe nel prossimo futuro continuare a risultare consistente.