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Osservatorio Banche
Un 2025 ricco di occasioni

Quest'anno si definiranno molte delle operazioni annunciate o abbozzate nel 2024. Gran parte dell’attenzione è ovviamente indirizzata alle due iniziative di UniCredit

Silvano Carletti
Carletti

L’anno appena iniziato si prospetta importante sotto il profilo bancario per almeno due motivi.
In primo luogo perché nel 2024 l’ammontare degli utili ha quasi certamente raggiunto un picco. Il permanere di preoccupanti rischi geo-politici, le ampie incognite della nuova presidenza americana, la non brillante congiuntura economica continentale oltre ovviamente l’avviato processo di normalizzazione dei tassi ufficiali sono fattori che peseranno ovunque sul risultato bancario.

L’impatto varierà a livello aziendale, in funzione sia di fattori strutturali (diversificazione dei ricavi, acquisito raffreddamento della struttura dei costi), sia della qualità delle politiche gestionali. Orientativamente, sarà quindi contenuto per le banche maggiori, non trascurabile invece per le banche di dimensioni più limitate, tendenzialmente attive solo nell’intermediazione creditizia.

In secondo luogo, nel 2025 si definiranno molte delle operazioni annunciate o abbozzate lo scorso anno. Ad alimentare questo fenomeno sono molti fattori: gli utili accumulati nell’ultimo triennio, l’effervescenza dei titoli bancari (negli ultimi due anni l’Eurostoxx50 Banks è cresciuto del 45%, il Ftse Italia Banche del 117%), una redditività che pur esposta ad una possibile limatura si prospetta comunque soddisfacente.

A queste motivazioni si deve aggiungere l’amplificazione dell’effetto prodotto dal cd Danish Compromise. Introdotto nel 2012, il Danish Compromise consente alle banche di ridurre l’assorbimento di capitale regolamentare quando acquisiscono partecipazioni in società assicurative.

Un recente report di Mediobanca mette in luce che le regole del nuovo Basilea 3 ampliano questo beneficio in misura apprezzabile purché l’acquisizione venga effettuata da un conglomerato finanziario e sia effettuata da una sua controllata assicurativa. Nella lista dei conglomerati finanziari con capogruppo residente nella Ue (lista aggiornata ogni anno dall’Eba) figurano 63 istituzioni di cui 29 (5 italiane) con attività prevalentemente bancaria e quindi sottoposte alla vigilanza Bce. Secondo Mediobanca questa novità avrebbe incoraggiato la recente operazione Bnpp – Axa avendo reso possibile un risparmio patrimoniale stimato a 3 mld di euro.

Quando si accenna a possibili nuove aggregazioni gran parte dell’attenzione è indirizzata alle due offerte di UniCredit. Considerando i diversi passaggi procedurali, per conoscere il loro esito bisogna aspettare ancora un po’: aprile/maggio per l’Ops su Banco Bpm, estate / autunno per la proposta di acquisto di Commerzbank (si vorrebbe aspettare di conoscere l’orientamento del nuovo governo tedesco che scaturirà dalle prossime elezioni).

Dalla lettura delle molte pagine dedicate alle iniziative di UniCredit emergono aspetti meritevoli di attenzione. Il primo riguarda Andrea Orcel, dal gennaio 2021 amministratore delegato di UniCredit. Romano di nascita, Orcel ha lavorato prima (1992-2012) al dipartimento M&A di Merrill Lynch a Londra e poi (2014-18) è stato presidente di UBS Investment Bank. Negli ultimi trent’anni ha seguito con ruoli di rilevante responsabilità molte operazioni di M&A concluse in Europa alcune delle quali possono considerarsi dei successi, altre invece sono state causa di sviluppi disastrosi. 

Tra queste ultime ne risaltano in particolare due. La prima è l’Opa lanciata nel 2007 su Abn-Amro da un consorzio di tre banche (Royal Bank of Scotland, Fortis e Santander). L’operazione, in cui Orcel assicurò la sua consulenza a RBS, finì travolta dalla crisi finanziaria globale e determinò il crollo (e conseguente salvataggio statale) di RBS, Fortis e Abn-Amro. La seconda è l’acquisizione di Banca Antoneveneta da parte di MPS, operazione nella quale Orcel fornì assistenza al gruppo acquirente, e che contribuì non poco a far precipitare il gruppo toscano in una crisi profondissima.

In definitiva (cfr. scheda predisposta da Wikipedia), quella di Orcel è stata una carriera ricca di luci (è stato anche definito il Cristiano Ronaldo della finanza) ma anche di ombre non trascurabili. L’aspetto sul quale si vuole richiamare l’attenzione è però un altro e cioè che il suo profilo professionale (e quello del suo più stretto entourage) è affine assai più alla finanza che non impregnato di cultura bancaria, mondi che possono essersi anche avvicinati negli ultimi decenni ma che restano tuttavia ben diversi.

Il processo di acquisizione di Commerzbank e/o Banco Bpm si prospetta lungo e complesso e difficilmente destinato concludersi con un KO. Tutti i protagonisti (UniCredit, il governo tedesco e quello italiano, il Crédit Agricole ora primo azionista di Banco Bpm al 15,1% con intenzione di salire al 19,9%) hanno carte da giocare, potenziali ostruzionismi da esercitare e possibili contraccolpi da evitare. In questa fase l’approccio del finanziere potrebbe risultare anche prezioso. In caso di esito  favorevole, però, il percorso successivo si prospetta in decisa salita per i rilevanti problemi di natura bancaria che ogni processo d’integrazione propone, tanto più quando l’operazione è cross border e il target è una realtà problematica come Commerzbank. Una situazione per la quale Orcel sembra avere poca esperienza da spendere.

Un secondo aspetto sul quale è utile soffermarsi è quello di cosa debba oggi intendersi per banca estera, caratteristica che numerosi esponenti politici associano in maniera quasi automatica a quella di operazione ostile. Riferendosi all’Ops lanciata su Banco Bpm un ministro italiano ha definito UniCredit banca estera malgrado la sua sede legale sia a Milano; la stessa sottolineatura è stata invece risparmiata al Crédit Agricole (sede legale a Montrouge), volendo forse segnalare che le sue mosse non hanno un carattere ostile. Con analoga vigore anche il governo tedesco ha fatta propria la combinazione banca straniera – operazione ostile malgrado UniCredit operi in Germania da 20 anni (HVB, oggi UniCredit Bank GmbH, è tra i primi quattro gruppi bancari tedeschi).

Quali sono gli aspetti che portano a qualificare come straniera un’impresa o una banca? Un  primo criterio è quello della localizzazione della sede legale. Criterio preciso ma con crescente frequenza anche povero di contenuto. Nel caso di UniCredit la sede legale è a Milano e quindi secondo questo criterio deve essere considerato un operatore bancario Italiano.

Un secondo approccio fa riferimento al rilievo dei diversi mercati geografici. Una volta che si sia deciso di procedere lungo questa strada quale è l’indicatore da considerare: la struttura dei ricavi il contributo al risultato ante imposta, il mercato ove è erogato il maggiore ammontare di finanziamenti oppure….? In questo caso la qualificazione di banca straniera può variare nel tempo ma non in modo repentino e comunque, escludendo casi particolari, la conclusione è evidentemente condizionata dalla storia del gruppo. Facendo una libera sintesi di quanto indicato nel bilancio consolidato a giugno 2024 emerge che UniCredit dipende per il 45% circa dal mercato italiano, per un terzo dai paesi del Centro ed Est Europa, per un quarto dalla Germania.

Un terzo criterio potrebbe essere quello che fa riferimento all’azionariato. UniCredit è una public company, controllata per oltre l’85% da investitori professionali, dei quali la maggioranza è ubicata fuori dall’Italia. Due soli azionisti sono attualmente oltre la soglia del 3% (società di asset management statunitensi). Gli investitori italiani stabili (le Fondazioni bancarie) pesano per il 4%. Nell’insieme l’indicazione che questo criterio fornisce è imprecisa (da 2/3 a 3/4 dell’azionariato non è identificato) e tendenzialmente instabile. 

Tirando le somme, la qualifica di “banca paneuropea” attribuita da Orcel a UniCredit non sembra un escamotage tattico ma una realistica rappresentazione.

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