RISIKO BANCARIO
Unicredit mossa dopo mossa

L'evento più appassionante che si sta svolgendo nella finanza tra protagonisti, nuovi entranti, strategie esplicite e obiettivi personali

Paola Pilati

La mossa di Andrea Orcel (nella foto) è una mossa di attacco o di difesa? Impegnare Unicredit su due fronti, prima in Germania con la scalata a Commerzbank, poi in Italia con il lancio dell’OPS sul Banco BPM, risponde ad una necessità o ad una opportunità?

La domanda potrebbe sembrare oziosa, e forse tirare in ballo una categoria “psicologica” che in affari ha poco senso, eppure conta nel sostanziare vuoi la determinazione all’obiettivo, vuoi la disponibilità al compromesso o la voglia di trattare.

Visto che, come ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti citando von Clausewitz, «il modo sicuro per perdere una guerra è impegnarsi su due fronti», neanche un top manager determinato e abile come Orcel può permettersi di lanciare la banca – per quanto ben dotata di munizioni finanziarie e in cerca da tempo di occasioni di consolidamento – in una simile doppia impresa in contemporanea. E allora, come mai?

Per ragionare, vediamo i fatti.

Nel suo articolo del 20 dicembre sul Financial Times, quando è già diventato il grande protagonista del nuovo risiko bancario continentale, l’operazione più emozionante in finanza da parecchio tempo, l’amministratore delegato di Unicredit sceglie di far leva sui princìpi.  

Afferma che le mosse della sua banca, oltre a essere a vantaggio dei suoi azionisti, mettono sul tavolo la questione su cui l’Europa dibatte ma non si muove, quella della convergenza verso un mercato unico, a cominciare proprio da un settore strategico come quello bancario.

Il suo, quindi, è un test per misurare l’autenticità delle intenzioni della nuove governance europea nel dare seguito ai suggerimenti di Mario Draghi e di Enrico Letta sulla necessità di grandi campioni europei.

Ma la realtà degli interessi in gioco si muove ben lontana dal mondo dei valori. E il capitalismo, bellezza, viaggia più veloce e cerca risultati immediati.

Immediate infatti sono state le prese di posizione dei protagonisti alle iniziative del capo di Unicredit. Sul fronte tedesco, Orcel si è ritrovato in un ginepraio che solo la peggior Europa delle patrie può esprimere. Mirando a Commerzbank, forse il banchiere di origini siciliane non si aspettava la reazione furiosa dei lander, né quella stizzita e anche un po’ spregiativa del governo federale. Fatto sta, che Berlino ha intimato a Orcel di non provarci neppure ad allungare le mani su Commerzbank. E lo ha liquidato chiedendogli di vendere subito la quota acquisita.

Il timore è che una fusione con la banca italiana metterebbe certamente in pericolo dei posti di lavoro e che il risparmio raccolto nel paese potrebbe prendere altre direzioni e non essere più disponibile alle necessità delle piccole imprese tedesche.

Al netto dello spirito sciovinista della Germania, l’operazione sarebbe comunque piena di spine per Unicredit, se non altro per il dialogo muscolare da gestire con i sindacati e con la politica locale in caso di fusione, visto che il governo di Berlino resta il secondo azionista di Commerz.

Eppure, per lasciare aperta la partita, Orcel ha continuato imperterrito ad accrescere il pacchetto della banca tedesca ed è arrivato al 28% tra titoli e strumenti derivati, con l’obiettivo di raggiungere il 29,9%.

Il pacchetto, per ora, resta congelato, in attesa non solo dell’autorizzazione della Vigilanza Bce (necessaria per essere cresciuto oltre il 9,9%), ma anche delle elezioni politiche tedesche previste in febbraio, che potrebbero cambiare lo scenario. Quel pacchetto potrebbe, come lo stesso Orcel ha concesso, restare una pura operazione finanziaria? Ma se poi la Bce gli imponesse la vendita, sarebbe davvero un’operazione finanziaria buona? Si vedrà.

E veniamo al fronte italiano. Sorprendentemente, la porta sbattuta dai tedeschi non ha suscitato nessuna reazione pubblica del governo Meloni, né in difesa né in presa di distanza. Il governo, invece, si è inalberato quando Unicredit è entrato a gamba tesa nella partita bancaria gestita dal Tesoro, definendo la mossa “non concordata” e balenando l’uso del golden power.

Che cosa è successo? Proprio quando tutto sembrava apparecchiato per guidare Banco BPM verso la costruzione del “terzo polo bancario” nazionale, dopo Intesa e Unicredit – polo che avrebbe pesato più di Unicredit -, Orcel ha fatto scattare la sua Offerta Pubblica di Scambio da 10 miliardi di euro sul cento per cento di BPM. In questo modo, ha bloccato il gioco (grazie alla passivity rule che paralizza per sei mesi la società target) e ha ottenuto il suo posto al tavolo del risiko nazionale.

Se il benvenuto anche qui non c’è stato, Orcel non è tipo da darsene pena. Anche perché un’altra superbanca europea, la francese Crédit Agricole, è subito entrata in partita. Il che aumenta possibilità negoziali e alleanze, strategie e cambi di campo a seconda della convenienza, ora che i protagonisti sono tanti e ognuno con il suo guadagno da portare a casa.

Il disegno bloccato dall’OPS vedeva Banco BPM come il capofila del ritorno sul mercato del Monte dei Paschi di Siena per farne il pezzo portante di un nuovo polo bancario. Con questo obiettivo, BPM ha appena acquisto dal Tesoro il 5% della banca senese, mentre un altro 10% se lo sono diviso tre soggetti uniti dal medesimo interesse, cioè Anima, il più grande gruppo di risparmio gestito in Italia (i cui prodotti sono distribuiti proprio da Montepaschi), la Delfin, finanziaria della famiglia Del Vecchio, e Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore e protagonista delle grandi partite finanziarie italiane.

Una serie di cointeressenze lega tutti questi soggetti. Basti osservare che Caltagirone, oltre al 5% di MPS appena messo in portafoglio, ha anche una partecipazione in Anima (3,46%) e una in BPM (2%). Mentre su Anima era in corso un’Opa da 1,58 miliardi da parte proprio di BPM (ora congelata).

Al reticolo di interessi, va aggiunto adesso Crédit Agricole, altro azionista di BPM, che ha rimpinguato la sua partecipazione salendo al 15% (più un altro 5% in strumenti derivati). I francesi, che da un lato piazzano i prodotti della propria sgr Amundi attraverso Unicredit, hanno anche joint-venture con BPM nella finanza al consumo e dunque non hanno difficoltà a trattare sui due fronti. E astutamente, seguendo la massima “gioco ricco mi ci ficco”, si sono posizionati per contare.

Da un terzo polo bancario formato da Banco BPM, MPS, Anima, Unicredit avrebbe molto da temere. Conquisterebbe una buona copertura territoriale in Italia (cosa che manca a Unicredit sia da noi che in Germania, nonostante la sua stazza complessiva), e diventerebbe un concorrente temibile sul nostro mercato.

Viceversa, il Banco BPM sarebbe il boccone che consentirebbe a Orcel, con una sola mossa, di scongiurare questo rischio e permettergli di sorpassare d’un balzo Intesa Sanpaolo, acciuffando quella leadership bancaria che tante volte gli è sfuggita di mano.

Perché non bisogna dimenticare che per Orcel le avventure nell’M&A in Italia non sono state esattamente una marcia trionfale. Ha scelto la parte del Signor No quando nel 2021 Draghi gli fece arrivare la proposta di entrare in Montepaschi, troppo rischioso. Nel 2022 è poi rimasto beffato da una fuga di notizie sul suo progetto di acquisire BPM e l’ha dovuto far cadere. L’anno passato, stando a quanto riferisce il Sole24Ore, aveva avviato un negoziato per rilevare le quote di BPM delle casse previdenziali e delle fondazioni e quelle di Crédit Agricole, ma non si era trovato l’accordo sul prezzo.

Se poi è vera l’indiscrezione del Financial Times riguardo al fatto che Banca Akros, che ha gestito adesso la vendita del pacchetto MPS, ha ignorato l’avance di Unicredit per comprare il 10% della banca senese (sia Akros che il Tesoro hanno smentito), ce n’è abbastanza per infuocare ulteriormente l’animo del banchiere.

Quella che si presenta ora a Orcel appare insomma come un’occasione a lungo attesa, e forse irripetibile. L’ultima chance da non farsi scappare. Un’opportunità che è anche una necessità: di mantenere le promesse che ha fatto agli azionisti, e di annoverare Unicredit – e se stesso – tra i vincenti del continente. E non tra i perdenti.

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