È prossima l’entrata in vigore di un nuovo capitolo della normativa sulle banche disegnata dal Comitato di Basilea. Il sostegno a questo progetto si sta però indebolendo, soprattutto Oltreoceano. Tra l'allarme di Panetta e i risultati dell'indagine dell'autorità di vigilanza europea sulla qualità del comportamento delle banche
Tra circa 2 mesi (inizio 2025) entrerà in vigore una nuova parte della normativa prudenziale sulle banche disegnata dal Comitato di Basilea. Inizialmente chiamata Basilea IV, questo insieme di disposizioni è stato successivamente ribattezzato Basilea 3.5 o anche Basilea 3.1. Tutte denominazioni ora abbandonate e sostituite con Basel III Plus o, nelle comunicazioni ufficiali, con “Riforma/completamento di Basilea III” (Europa) o con l’apocalittico Basel III Endgame nel contesto americano.
Prima di procedere, una rapida sintesi del lavoro del Comitato di Basilea, organismo costituito a fine 1974 e composto dai vertici delle istituzioni bancarie di 27 paesi. Obiettivo del Comitato è quello di promuovere la cooperazione fra le banche centrali allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria a livello globale. La sua attività si concretizza in accordi che, nel recepimento nelle legislazioni, sono esposti a possibili modifiche, complessivamente limitate finora (ma nel futuro?).
Ad un primo accordo (Basilea I) raggiunto nel 1988 è seguito il ben più strutturato Nuovo Accordo (Basilea II) finalizzato nel 2004 e divenuto operativo nel 2007. Qualche anno dopo (2010) è stato messo a punto Basilea III, accordo entrato in vigore nel dicembre 2013 ma con un completo recepimento solo nel 2019. L’accordo di prossima applicazione è stato perfezionato nel 2017.
Riferendosi al processo di costruzione di questa infrastruttura regolamentare globale, il governatore di Banca d’Italia Fabio Panetta non nasconde un po’ di amarezza, chiedendosi in sostanza se il famoso bicchiere sia mezzo pieno o mezzo vuoto. Nel suo intervento all’ultima assemblea dell’ABI (luglio 2024) ha riconosciuto che «Le riforme regolamentari varate dopo la crisi del 2008-2009 hanno irrobustito il sistema bancario globale, consentendogli di superare senza scosse eccessive una concatenazione di eventi sfavorevoli senza precedenti: la pandemia, una guerra ai confini dell’Europa, il ritorno dell’inflazione e una stretta monetaria di intensità mai vista nella storia recente. … Il legislatore europeo ha recepito le norme di Basilea senza deviazioni significative dall’impianto iniziale. … Negli Stati Uniti [invece] dove la riforma è stata attuata in maniera poco stringente per una parte del sistema bancario, si sono verificati episodi di crisi che hanno generato effetti di contagio e richiesto pesanti interventi da parte delle autorità».
A rendere meno soddisfacente questo risultato è la constatazione che «la revisione regolamentare ha richiesto ben oltre vent’anni: un periodo troppo lungo se confrontato con le conseguenze di potenziali instabilità e con la rapidità con cui sorgono nuovi rischi».
Questa nuova fase regolamentare avrebbe dovuto entrare in vigore a inizio 2023, ma Stati Uniti, Regno Unito e Ue ne hanno concordato il rinvio a inizio 2025, (forse) come conseguenza della pandemia. L’attuazione sarà graduale e si concluderà nel 2030. Secondo una recente simulazione condotta da Eba, per le banche europee il fabbisogno di capitale aggiuntivo (Tier 1 capital) è molto contenuto (inferiore a 1 mld di euro).
Inoltre, il recepimento del nuovo accordo non sta procedendo come previsto. Nel caso dei rischi di mercato gli Stati Uniti non cominceranno a muoversi prima di inizio 2026, se non dopo. Come riflesso di questa decisione, al fine di assicurare parità concorrenziale tra gli intermediari che operano a livello globale, la Commissione europea ha recentemente (maggio 2024) deciso di compiere un passo analogo. Dagli interventi di alcuni autorevoli esponenti della vigilanza statunitense (Michael Barr, 9 settembre) si percepisce che Oltreoceano il progredire di questo processo regolamentare potrebbe subire altri rallentamenti. Quando si apre una porta è possibile che anche altri decidano di oltrepassarla (il Regno Unito viene indicato come un probabile candidato).
«Non è certo l’esito ottimale: una corsa al ribasso tra diversi ordinamenti non è la risposta che va data all’esigenza di ridurre i rischi e di rendere omogenee le regole a livello mondiale», ha affermato Panetta. Quello che il governatore si è astenuto dal dire è che il rinvio, combinato con il probabile ridimensionamento, sancisce che l’offensiva dei giganti bancari globali (statunitensi ma anche europei) sta conquistando terreno.
Basilea IV (o comunque la si voglia chiamare) affronta numerose questioni di non secondaria importanza. Tra esse però quella a maggior impatto è sicuramente la più severa considerazione dei modelli di rating interni (IRB, Internal Rating Based), quelli che le banche sono autorizzate a costruire e usare per stimare, sulla base dei propri dati, i principali parametri di rischio, ovvero uno dei fondamentali ingredienti per il calcolo dei requisiti patrimoniali.
La messa a punto di un modello interno di valutazione del rischio è operazione impegnativa. Adottando un approccio simile a quello delle agenzie di rating, per ogni determinato portafoglio le banche sono chiamate a definire alcuni parametri tra i quali soprattutto la PD (Probability of Default) e il LGD (Loss Given Default). Questo risultato deve scaturire da un rigoroso screening di dati, che deve essere validato dalle autorità di vigilanza. Si tratta quindi di un percorso che richiede tempo, capacità professionali (in parte fornite da società di consulenza specializzate), con un rilevante costo finale. Nell’insieme, ipotesi percorribile da banche di dimensione apprezzabile. È però attività che può segnare in modo importante il calcolo delle attività a rischio, cioè il denominatore dei capital ratios.
La tentazione/possibilità di forzare i calcoli è ampia. Esperti e istituzioni ufficiali hanno spesso richiamato l’attenzione sul cd RWA density ratio, il rapporto tra l’ammontare dell’attivo ponderato per il rischio (RWA, Risk Weighted Assets) e l’ammontare dell’attivo nominale. Oltre ad ampie differenze tra i diversi gruppi bancari, il valore di questo rapporto ha mostrato un evidente trend al ribasso.
Nell’aprile 2021 l’autorità di vigilanza europea diffuse un rapporto focalizzato sulla qualità dei modelli interni di valutazione del rischio (Targeted Review of Internal Models. Project report). Il documento riassume le risultanze di questa specifica attività ispettiva che nell’arco di cinque anni ha coinvolto 65 dei circa 120 gruppi bancari europei significativi.
I risultati dell’indagine sono decisamente importanti: formulati oltre 5.800 rilievi (deficiencies) dei quali il 30% di apprezzabile gravità, cioè con un impatto non trascurabile sui ratios patrimoniali. Le conseguenti disposizioni dell’autorità di vigilanza hanno prodotto un incremento di 275 miliardi di euro (+12%) del totale delle attività ponderate per il rischio e la parallela riduzione media del CET1 (Common Equity Tier 1 ratio) di 71 centesimi (51 centesimi la riduzione mediana).
Queste ed altre evidenze supportano la tesi che un’interessata lettura del dettaglio normativo può portare a gravi sottostime dei rischi e quindi pregiudicare la stabilità del circuito bancario internazionale.
Per mettere fine a questa continua e costosa “caccia al ladro” Basilea IV stabilisce, in sintesi, due semplici principi. Le banche continuano ad essere autorizzate a sviluppare modelli di rating interno per quantificare l’ammontare delle attività ponderate per il rischio. Il risultato prodotto da questi modelli, tuttavia, non potrà essere inferiore (output floor) al 72,5% dell’importo che si otterrebbe adottando il metodo standardizzato cioè la procedura di calcolo in cui i parametri sono fissati dalle autorità. Nella Ue questo limite inferiore dovrà essere rispettato a livello di singola componente del gruppo bancario e non solo a livello consolidato.
Le autorità europee hanno spesso ribadito che ritengono opportuno “Regolare senza soffocare”. Nella versione adottata in Europa di Basilea IV, in effetti, alcune (poche) tipologie di finanziamento risultano esentate dal requisito dell’output floor. È il caso dei prestiti a imprese prive di rating, caratteristica tipica delle PMI.
In conclusione, il bicchiere all’inizio evocato è sicuramente mezzo pieno, perché il circuito bancario globale opera nell’ambito di una struttura regolamentare altrettanto globale, dimostratasi nei fatti efficace. Non più un progetto ma una realtà, seppure perfezionabile sotto numerosi aspetti.
D’altra parte, però, è consapevolezza generale (Panetta ne è un autorevole portavoce) che l’arretramento politico/ideologico in corso in questi anni incoraggia chi intende contrastare questo progetto e parallelamente, sull’altro versante, rende più complessa e faticosa l’azione di chi deve tenere sotto controllo i rischi sistemici.