NUOVA COMMISSIONE UE
Fitto: un lavoro di serie A?

Cifre alla mano, che cosa comporta l'incarico di Commissario alla coesione affidato a Raffaele Fitto e se è davvero una vittoria italiana

Paola Pilati

L’incarico dato da Ursula von der Leyen a Raffaele Fitto è di serie A o di serie B? Rispetto alle previsioni iniziali, che davano per sicuro un incarico da vicepresidente della Commissione e un portafoglio di peso, quello di commissario per l’Economia, con un fluido passaggio di testimone tra lui e l’uscente Gentiloni, le cose sono andate diversamente: a buon fine la vicepresidenza esecutiva, che dà peso politico, diverso il portafoglio. Sul quale le interpretazioni divergono. Risultato trionfale per il governo, deludente per l’opposizione. Probabilmente la verità si colloca in mezzo. Vediamo.

Fitto si occuperà di Coesione e Riforme come vicepresidente, e avrà il portafoglio delle politiche di coesione e dello sviluppo regionale e delle città, incarico quest’ultimo che nella commissione precedente era della portoghese Elisa Ferreira. Se una prima osservazione si può fare, rispetto all’incarico alla Ferreira, è che lei fu delegata 5 anni fa con una lettera di missione assai più asciutta di quella indirizzata oggi a Fitto. Come se la delega dovesse essere interpretata con più libertà allora, entro binari più rigidi oggi.

La lettera di missione firmata oggi da Ursula spiega con molti dettagli che cosa vuol dire l’incarico: lavorare per rendere il tessuto europeo sempre più coeso e resiliente in termini economici e sociali, ridurre le disparità territoriali e quelle tra abitanti delle diverse aree in termini di qualità della vita. Le leve saranno il miglioramento della produttività, l’innovazione e la competitività e avranno come goal le transizioni verde e digitale.

Monitorare le riforme messe in campo dal Next generation Eu sarà quindi fondamentale per realizzare la sua missione, come pure la realizzazione dei PNRR nazionali. Fitto del PNRR se n’è occupato, da ministro, per l’Italia. Ora l’incarico si amplia al controllo di tutti i PNRR, ma non sarà solo a farlo, perché lo condividerà alla pari con il commissario all’Economia, il lettone Valdis Dombrovskis, logica nordica e tempra da falco.

Da solo, invece, Fitto dovrà girare come una trottola negli Stati membri, nelle varie regioni, chiede Ursula, non dimenticando le zone costiere e le comunità locali, nel settore agricolo e in quello della pesca, nel turismo e nella blue economy, portando ovunque il lume delle tre parole d’ordine – competitività, resilienza e sostenibilità-. Non dimenticando poi le necessità specifiche delle isole, dei paesi ai confini orientali dell’Unione e delle regioni ultraperiferiche, come Azzorre, Guiana, Canarie. E lavorando a un’agenda ambiziosa per lo sviluppo delle città in chiave di clima, digitalizzazione, mobilità e sviluppo abitativo. Ascoltare, dare supporto, facilitare, accrescere la conoscenza e la consapevolezza della missione di cui è portatore sono parole su cui Ursula non si risparmia di martellare.

Resta il sospetto che l’enfasi usata dalla presidente non sia tanto per ricordare a Fitto quanto dovrà pedalare sulla bicicletta che ha voluto, ma per imbandire meglio il posto offerto.

È vero però che l’ampiezza degli interventi e l’agenda ambiziosa che Ursula si attende fanno dell’incarico a Fitto un lavoro massacrante, ma anche penetrante e pervasivo. Potrà essere lui la faccia dell’Europa nelle sue varie provincie, il dispensatore di quel denaro che dall’Europa percola nei mille rivoli fino alla comunità più remota, per la finalità più localista.

Tutto bene, dunque? La soddisfazione del governo per l’incarico è ben fondata?

A parte qualche conflitto di identità che il neo commissario italiano si troverà a vivere sulla transizione verde, che Giorgia Meloni ha bollato come “disastrosa” e ha promesso agli industriali di rivedere, mentre la presidente della Commissione la brandisce come la punta della sua lancia, a parte insomma qualche slittamento della coscienza (a chi dò retta?), il vero potere di Fitto ha a che fare con i soldi.

E qui le cifre sono sostanziose: il portafoglio delle politiche di coesione assomma a 378 miliardi di euro, un terzo del budget Ue. Il fatto è che Fitto non ne dispone completamente. Quel budget, infatti, riguarda il periodo di tempo dal 2021 al 2027, e quindi la programmazione è già stato avviata sotto la precedente gestione della Commissione.

Qual è dunque il quadro che Fitto si trova davanti? I 378 miliardi europei sono stati utilizzati per progetti voluti e cofinanziati dagli Stati membri nelle loro varie articolazioni territoriali. Con il contributo di questi ultimi la cifra per i programmi di coesione è lievitata a 528 miliardi.

Anche le destinazioni sono state già definite: 165 miliardi sono per finalità sociali come l’educazione e il lavoro (“social Europe”), 128 per la transizione verde (Greener Europe), 114 per digitalizzazione e sviluppo tecnologico e sanitario (Smarter Europe), 53 miliardi per connettività, trasporti e abbattimento delle barriere tra stati (Connected Europe), poi ci sono 27 miliardi per la voce “Europe closer to citizen”, 26 per gli obiettivi del Just Transition Fund (cioè gli obiettivi climatici dello European Geeen Deal), 13 miliardi per l’assistenza ai territori la cui forza lavoro è seriamente impattata dal declino demografico.

Anche i paesi destinatari dei progetti e dei fondi sono già tutti coinvolti. A prendere il pacchetto più consistente è la Polonia con 92 miliardi, segue l’Italia con 74 e la Spagna con 52. Dietro tutti gli altri.

Peccato che di questa montagna di denaro sia stato speso pochissimo. Dei 378 miliardi della Ue, ne sono usciti concretamente dal portafoglio solo 19,6 miliardi (alla data del 19/9/24) ; quanto ai paesi, dei suoi 75 la Polonia ne ha ricevuto circa 4, l’Italia 1,3, la Spagna meno di 1 miliardo. Di fatto, il piano di coesione non ha ancora davvero acceso i motori per partire, anche se la sua struttura è già definita.

Questo scenario, in definitiva, è per Fitto una bella sfida. Dovrà fare il cane da guardia sulla realizzazione dei progetti e anche dimostrare che sa oliare la macchina che guida affinché quelle tre parole – competitività, resilienza e sostenibilità, su cui aleggiano anche gli ammonimenti di Mario Draghi – si trasformino in risultati concreti. Anche perché è già quasi venuto il tempo di formulare il nuovo budget dal 2027 in poi. E se le spese per la coesione si dimostreranno in ritardo, qualcuno potrebbe obiettare che di nuovi fondi la coesione non ha proprio bisogno.