NUOVA COMMISSIONE UE
Commissario Fitto, il catalogo è questo

Il think tank Bruegel invia il suo Memo al nuovo commissario all'economia. Ecco che cosa gli ricorda di dover fare e che cosa gli suggerisce di poter fare

Paola Pilati

La probabile nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente della nuova Commissione europea, unita alle deleghe per l’economia e il PNRR, gonfia il petto al governo Meloni, che potrebbe smentire così chi prevedeva che l’Italia avrebbe pagato pegno per il suo voto contro il secondo mandato von der Leyen.

C’è chi spiega il fatto con la volontà di “deparlamentarizzare” la Commissione, che non rispetterebbe quindi nella sua composizione la proiezione di chi la sostiene, bensì quella dei paesi più rappresentativi. Si può azzardare anche un’altra spiegazione. Quella che attribuire proprio all’Italia l’incarico di guardiano del nuovo patto di stabilità e del monitoraggio del piano da cui dipende il rilancio della crescita europea, essendo l’Italia candidata a finire dietro la lavagna su entrambi i fronti, sia un sadico gioco dell’imperturbabile Ursula.

In quel posto Fitto non potrà certo comportarsi come un topo nel formaggio, ma avrà tutti gli occhi addosso e dovrà essere lui il primo a bacchettare il suo paese se sgarra. L’incarico a cui sembra destinato, d’altra parte, è particolarmente cruciale per le sfide che la nuova Commissione si trova davanti.

Glielo ricorda, nei suoi Memos to the European Union leadership 2024-2029 (https://www.bruegel.org/sites/default/files/2024-08/Memos%202024.pdf) – redatti da Maria Demertzis, André Sapir and Jeromin Zettelmeyer – il Bruegel Institute, il think tank che dal 2009, ogni cinque anni, dopo le elezioni europee e prima che la nuova Commissione si istalli, analizza a che punto sono le questioni connesse con la prosperità dell’Unione, riflette sui problemi da risolvere e invia le sue raccomandazioni su come la nuova leadership dovrebbe affrontarli.

Il Memo indirizzato al nuovo commissario per l’economia e agli affari finanziari riassume utilmente quali sono i compiti su cui dovrà sudare nei prossimi cinque anni: innanzitutto far rispettare le nuove regole fiscali, sulle quali ben otto paesi sono attualmente inadempienti e tre di questi in maniera eccessiva (uno di questi è l’Italia); secondo, premere per ridurre i surplus crescenti dei conti correnti di alcuni paesi (Danimarca, Germania, Irlanda e Olanda) affinché vengano usati per gli investimenti nell’area; terzo, guidare singoli paesi membri che hanno necessità di riforme strutturali – anche qui c’è l’Italia – a metterle in atto per recuperare competitività e solidità fiscale; infine, prepararsi a costruire il prossimo Multiannual Financial Framework (MFF), il nuovo ciclo di bilancio che inizierà nel 2028, da cui dipenderà la realizzazione degli obiettivi strategici che la Ue si è data, a partire dalla questione climatica.

Sul primo fronte Fitto dovrà subito mettere alla prova la sua imparzialità di commissario: il nuovo patto di stabilità richiede che a fine 2024 i paesi presentino azioni e tempi secondo i quali intendono rispettarlo e gli otto in deficit possono chiedere di allungare il rientro nei parametri da quattro a sette anni.

Qui entra in ballo la discrezionalità del commissario, ricorda il Bruegel, che può concedere la dilazione solo a fronte dell’impegno del paese a fare investimenti e riforme in linea con le priorità che si è data l’Unione e che rispettino la sostenibilità fiscale (per esempio, nel caso dell’Italia, siamo sicuri che le deroghe alle regole pensionistiche a cui aspira il governo Meloni lo siano?). In ogni caso, però, anche i paesi che rientrano nella procedura di deficit eccessivo, come il nostro, non possono utilizzare questo status per rinviare il taglio del debito, che è il primo obiettivo del nuovo patto di stabilità e va fatto subito. Nessuna indulgenza è accettata, pena far fallire il nuovo patto già in partenza, avverte il Bruegel.

Il secondo fronte non è meno spinoso. Per affrontate le sfide che l’Europa si è data – la transizione energetica e quella digitale innanzitutto, ma adesso anche quella per rafforzare la sua difesa – servono risorse che si fatica a mobilizzare.

Per la transizione climatica c’è un gap di investimenti di 356 miliardi di euro, per quella digitale di 125. Dove trovare i soldi? Pochi paesi hanno spazio fiscale per incrementare la spesa. C’è viceversa molto risparmio privato – il Bruegel calcola che si tratta di 450 miliardi – che potrebbe servire a colmare quel gap: ma quel denaro viene investito fuori dai confini dell’Unione.

Il compito del commissario all’economia è dunque quello di identificare gli incentivi per trattenere quel risparmio in Europa, ricorda il Memo, lavorando con altri commissari ad abbattere gli ostacoli che ancora imbrigliano il mercato unico dei capitali. Ma occorre anche trovare nuove fonti di finanziamento, cominciando magari a rivedere la missione della Bei (facendole cioè assumere più rischi finanziari) e quella dello European Stability Mechanism (lo spauracchio del nostro governo, che non l’ha mai ratificato), per utilizzare più efficacemente i 400 miliardi che custodisce.

Pungolare i singoli paesi a rispettare le riforme fiscali e strutturali concordate (country-specific recommendations, CSR), è il primo strumento a disposizione del commissario per dare sostanza al suo ruolo. Fare il cane da guardia affinché vengano realizzate non metterà solo in gioco la sua autorevolezza, ammonisce il Memo, ma è fondamentale anche per il suo portafoglio: dalla realizzazione del CSR è dipesa l’approvazione dei PNRR nazionali e quindi l’erogazione dei soldi europei ai singoli paesi.

Per esercitare questo ruolo di cane da guardia non basta valutare qualitativamente le riforme, puntualizza però il Memo, servono strumenti di misurazione del loro impatto sulla crescita e sulla produttività totale dei fattori. Questo strumento non c’è, non esiste. Va dunque creato, per dare credibilità alle decisioni che si prenderanno, per approvare o accordare dilazioni. Insomma, serve dare più spazio ai numeri e meno alle trattative politiche a favore di questo o di quello, meno scambi di favori e più concretezza economica.

Una missione della nuova Commissione tutta, che vedrà il commissario all’economia in prima fila, è quella poi di costruire il nuovo ciclo di bilancio. Come portare avanti i programmi avviati, come l’InvestEU (26,2 miliardi del budget Ue per garantire 372 miliardi di investimenti privati dal 2021 al 2027)? Come dare fondi per realizzare le strategie di lungo termine come il clima?

Qui il consiglio del Bruegel è uno solo: servono soldi e fondi dedicati. Per il clima, l’ideale sarebbe un aumento del budget del Multiannual Financial Framework con un fondo per il clima al suo interno; altrimenti un fondo-clima fuori del MFF, finanziato con debito Ue, che dia soldi non ai paesi ma alle imprese. La qual cosa metterebbe questa spese fuori dalle regole dell’indebitamento nazionale.

Quanto a dare continuità all’azione strategica avviata con InvestEu, è preferibile un fondo all’interno del MFF, uno European strategic investment fund che abbia obiettivi di lungo termine. Perché l’obiettivo è sanare quel difetto di mancanza di continuità con cui oggi la Ue sostiene i suoi investimenti e che di fatto li depotenzia. Serve insomma una visione di lungo respiro. Il Rapporto sulla Competitività di Mario Draghi completerà il quadro delle sfide della nuova Commissione. Ci auguriamo tutti che sia all’altezza.