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DIBATTITI/ANTITRUST
C'è una soluzione per creare i campioni europei

Le regole antitrust impediscono la crescita di campioni industriali europei? Con un documento di discussione l'Associazione antitrust italiana dà la sua opinione. Che è una difesa della tutela della concorrenza, insieme a dei suggerimenti per conciliarla con la promozione di una maggiore competitività

Paola Pilati

La legge antitrust va riformata? Le norme per la tutela della concorrenza e del mercato, in vigore ormai da 35 anni in Europa (ma le norme su intese e abusi risalgono al Trattato di Roma, 1957), che sanzionano l’abuso della posizione dominante in difesa del cittadino consumatore, ha bisogno di un ritocco alla luce delle nuove sfide che l’economia globale impone all’industria del continente?

Nel corso del tempo questa domanda avrebbe naturalmente ricevuto un sì entusiastico dalle imprese le cui nozze sono state bloccate sull’altare dalle regole antitrust, come è accaduto nel 2019 per Siemens-Alstom, i due maggiori fornitori di materiale rotabile per le ferrovie europee, e un no dai consumatori, quando le regole hanno vigilato sull’abuso della posizione dominante e sulle intese, mettendo nel mirino Ryanair o stangando la Apple con multe miliardarie.

Ma oggi la questione assume un altro aspetto alla luce di un tema che la Commissione uscente ha lanciato sul tavolo e che dovrà essere uno dei cavalli di battaglia della Commissione entrante: l’Europa è abbastanza competitiva? La sua potenza industriale, frammentata spesso su scala nazionale e addirittura azzoppata dalle sue stesse regole antitrust quando cerca di creare dei campioni continentali, non rischia di condannare se stessa alla vulnerabilità? Insomma, la concorrenza può danneggiare la competitività?

A prendersi l’onere di affrontare questo conflitto tra competitività e concorrenza, ci ha pensato l’Associazione antitrust italiana, cui partecipano 58 tra studi legali e società di consulenza economica attivi in Italia nel campo del diritto e dell’economia della concorrenza ed è presieduta da Alberto Pera, economista e avvocato, già segretario generale dell’Autorità Antitrust italiana appena nata. 

L’Associazione ha appena approvato un “documento di discussione”, elaborato dal suo Comitato Direttivo, in cui si segnalano alcune condizioni fondamentali da cui dipende il rapporto tra concorrenza e competitività, in particolare una più profonda integrazione dei mercati europei dei beni, dei servizi e dei capitali. E propongono l’adozione di criteri di attuazione del controllo delle concentrazioni che potrebbero essere più appropriati per i tempi a venire.

Innanzitutto: è vero che la mancanza di campioni europei è tutta colpa delle legge antitrust? Certo, in Europa ci sono solo due imprese europee nelle classifica delle prime venti mondiali per capitalizzazione (Novo Nordisk e ASML), e a dominare quella classifica sono i big del settore digitale made in Usa, un campo di attività in cui l’Europa è certamente indietro. Ma questo non a causa delle regole sulla concorrenza, quanto piuttosto per i nostri limiti nel produrre innovazione.

Non si può negare però che molte imprese europee – indipendentemente dalla loro capitalizzazione e senza essere dei “big” – siano leader nel loro settore e siano ben piazzate sui mercati esteri. Sono forse state costrette a espandersi in questi mercati, invece che crescere di taglia, per colpa delle leggi sulla concorrenza?

Tutt’altro. È stato piuttosto dimostrato che, con l’applicazione delle regole per il rispetto della concorrenza, il clima economico migliora, i consumatori ne traggono vantaggi, le imprese sono spinte a diventare più efficienti. All’opposto, non è sempre detto che con la taglia dell’impresa aumenti anche la sua efficienza: Airbus è un esempio di successo, ma anche una rarità, viso che la storia delle concentrazioni degli ultimi trent’anni si è rivelata in molti casi un fallimento. Insomma, se essere “big” non è di per sé una colpa, non è neanche una garanzia di efficienza.

La conquista dell’efficienza non dipende necessariamente dalle acquisizioni: le big tech made in Usa dimostrano piuttosto che l’efficienza è sì la leva della crescita, ma è la capacità di innovare che la favorisce.

Attenti quindi ad affrontare il conflitto concorrenza-competitività allentando le regole della prima a vantaggio della seconda, afferma in paper. Piuttosto, serve prestare attenzione ai mercati di riferimento. Un caso eloquente è quello delle tlc.

Perché il settore delle telecomunicazioni, con 90 operatori nei 27 stati dell’Unione, non riesce a raggiungere una scala più efficiente? L’handicap sta nel fatto che il mercato delle tlc ha una dimensione nazionale, con la sua regolazione, con il perimetro delle sue reti. Ciascuno Stato ha il suo mercato e il consumatore che si trasferisce da un mercato all’altro deve cambiare fornitore.

Qui il paper affronta il nodo centrale: più che ai vincoli della normativa sulla concorrenza o del controllo sulle concentrazioni, è alle caratteristiche del mercato europeo che bisogna guardare. E addita l’incompleta attuazione del mercato unico dei beni e dei servizi e del mercato unico dei capitali come le strozzature responsabili della crescita limitata delle imprese.

Se a livello di un singolo Stato le operazioni di concentrazione tra operatori di tlc porrebbero problemi di concorrenza, in un mercato di dimensioni europee le operazioni di concentrazione tra i 90 operatori esistenti sarebbero neutrali o anche benefiche. Lo stesso discorso riguarda le reti dell’energia, la produzione di contenuti audio-visivi, la grande distribuzione. Tutti mercati nazionali, ciascuno con il suo sistema regolatorio (anche in presenza di una regolazione unica europea), le sue barriere, i suoi prezzi.

Per rendere libero il gioco della competizione si deve dunque prima di tutto passare dal completamento del mercato unico per beni e servizi e per i capitali. La politica industriale Ue ha preso esattamente questa direzione quando ha varato il Next Generation EU, concentrato sullo sviluppo della digitalizzazione come leva per l’innovazione e sulle energie rinnovabili. È un esempio da seguire, dice il paper dell’Associazione antitrust italiana, concedendo che potrebbe essere affiancato da un “allentamento bilanciato delle regole sugli aiuti di Stato”, specie in aeree come la ricerca e l’innovazione tecnologica e scientifica.

E la politica della concorrenza? L’Associazione è tutt’altro che tetragona: un’evoluzione che tenga conto dell’esigenza di competitività delle imprese europee che si devono battere con imprese che non rispettano le stesse norme rispetto alla tutela dei lavoratori o della sostenibilità ambientale, è necessaria.

L’apertura riguarda quel criterio che valuta i guadagni di efficienza di una concentrazione con l’occhio ai vantaggi per il consumatore in termini di qualità o di prezzo. Questi vantaggi di efficienza devono verificarsi in un arco di tempo di solito di un paio d’anni per giustificare il via libera antitrust. Un tempo troppo breve, secondo le imprese.

Ma laddove le concentrazioni si realizzano in settori con importanti infrastrutture e costi fissi, come appunto le tlc, l’orizzonte temporale per ottenere quei vantaggi di efficienza si fa più lungo.

Senza metter mano alle regole, basterebbe quindi adottare una nuova “prassi applicativa”, in modo che la Commissione, a cui spetta il definitivo via libera per questo tipo di operazioni, valuti la cosiddetta “efficiency defence” da parte delle imprese con un orizzonte temporale adeguato alla situazione. Conquistando così l’equilibrio tra tutela della concorrenza e sviluppo della competitività, senza rinunciare a nessuna delle due.