Il Principe

di Leonardo Morlino

Le elezioni europee e il paradosso nascosto

Proprio nel momento in cui ci vorrebbe più integrazione si rafforzano, anche nell’elettorato, le posizioni di chi ne vuole meno. Come si spiega?

Leonardo Morlino
MORLINO

Ormai vi sono state le elezioni europee con un risultato atteso, la crescita delle formazioni di destra, e qualche effetto collaterale meno atteso, l’impatto forte sulla politica francese con nuove elezioni e più moderatamente su quella tedesca con l’affermazione dell’Alternative für Deutschland (AfD). Dov’è allora il paradosso?

Come è noto, le formazioni di destra sovranista sono contrarie a un rafforzamento del processo di integrazione europeo e perseguono una visione dell’Unione che lascia il potere nelle mani dei leader nazionali.

Però, questo avviene proprio quando fattori esterni drammatici come l’invasione russa dell’Ucraina e il mutamento degli equilibri politici internazionali con il nuovo protagonismo, oltre che della Russia, anche della Cina e – specificamente nel Medio Oriente – dell’Iran, richiederebbe un’Unione più forte, più coesa con un proprio sistema di difesa e un processo decisionale funzionale e non paralizzato dalla regola dell’unanimità.

Qui sta il paradosso: proprio nel momento in cui ci vorrebbe più integrazione si rafforzano, anche nell’elettorato, le posizioni di chi ne vuole meno. Ma come si spiega?

Se il passato ci insegna qualcosa, la formazione degli stati nazionali durante il XVIII e il XIX secolo, ovvero la devoluzione della sovranità da unità territorialmente più delimitate a unità più ampie, è il risultato di una minaccia all’esistenza stessa di quelle unità più piccole che non hanno avuto alternative se volevano continuare ad esistere con qualche autonomia.

Oggi, la situazione delle democrazie europee non è percepita così drammaticamente. Però, la necessità oggettiva di maggiore integrazione e maggiore funzionalità decisionale esiste ed è indiscutibile. E allora?

Probabilmente due fattori, uno oggettivo e l’altro soggettivo, ci hanno spinto in questo cul de sac. Da un punto di vista oggettivo, la struttura competitiva delle nostre democrazie, che include l’Unione europea, richiede di assumere una posizione diversa rispetto al competitore, spesso anche su questioni vitali. Dunque, se la sinistra e il centro moderato sono pro-Europa, la destra deve presentare una visione alternativa, che non può che essere euroscettica.

Va aggiunto, però, che il rafforzamento dell’euroscetticismo è un effetto collaterale del rafforzamento della destra su altri temi, quali l’emigrazione, o più semplicemente è effetto di uno scontento che passa da un lato a un altro dello schieramento politico. Dunque, la destra si rafforza per ragioni interne ai paesi; la destra ha preso by default una posizione antieuropea; l’antieuropeismo si rafforza di conseguenza.

Forse, però, il fattore soggettivo è più forte dell’altro. Più Europa significa, per chi governa le singole democrazie, meno potere. Ovvero, comporta una devoluzione complessiva di potere che non riguarda solo il mercato ma ambiti strettamente politici e vitali: la politica estera e la politica di difesa, innanzi tutto, senza dire della capacità fiscale e dei diritti sociali.

Se si togliessero i poteri relativi su questi temi ai governanti, questi si sentirebbero fortemente indeboliti e poco rilevanti. Questa posizione può essere anche più sentita dai governanti delle piccole democrazie dell’Unione, che sono ventuno su ventisette.

La domanda cruciale sarebbe: come se ne esce? Ovvero come si realizza una maggiore integrazione senza togliere potere ai governi nazionali? L’esperienza dei federalismi mostra sia la creazione di nuove posizioni di vertice che abbia legami con gli elettori – nel caso, un’elezione diretta di un presidente europeo – sia la creazione di nuovi organi decisionali in cui si compongono i diversi interessi nazionali – nel caso, un senato europeo e un governo europeo. Ma la devoluzione di potere ci sarebbe comunque.

Rimane la strategia residuale, che fin qui è stata seguita e che ora si trova in un’impasse: sulla spinta dei problemi e della necessità della loro soluzione, si allentano gradualmente, anche con complicazioni superflue, le regole più rigide come l’unanimità, e si va avanti.

Accadrà anche questa volta così? Ci sarà qualche piccola invenzione istituzionale? Non lo sappiamo, ma inventarsi qualcosa è urgente, perché i problemi che abbiamo di fronte lo richiedono.

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