TEMI NAZIONALI
La mia crociata contro il debito

Intervista a Michele Rinaldi, Fondatore e Presidente della Fondazione Ave Verum

Suonare l'allarme sul livello del debito pubblico è un impegno civico. Così Michele Rinaldi, imprenditore, spiega perché la sua Fondazione Ave Verum ha deciso di sponsorizzare un libro sul tema, dal 3 maggio in libreria

Paola Pilati

«Viviamo sotto la minaccia di un debito pubblico che rischia di travolgerci. Sono convinto che siamo già in zona di pericolo: lo dimostra il fatto che i nostri figli cercano lavoro fuori dall’Italia e che non ci si possa più curare come un tempo. Non sono forse già questi segni evidenti di difficoltà del paese? Il “default” non va visto e temuto solo in termini finanziari».

Michele Rinaldi, 61 anni, imprenditore del settore assicurativo (nella foto), non è solo una delle tante voci preoccupate che la zavorra dei quasi tremila miliardi di debito pubblico metta KO le prospettive di crescita del paese, i suoi progetti per il futuro, il benessere delle generazioni a venire: Rinaldi ha deciso di avviare un progetto “civico”, divulgativo sul tema del debito.

Lo fa con il mezzo che ha a disposizione: con la Fondazione Ave Verum, da lui creata, ha sponsorizzato presso la Luiss la produzione di un libro sul debito pubblico scritto dai professori Giorgio di Giorgio, Guido Traficante e Alessandro Pandimiglio, dal titolo “Nelle tasche degli italiani” – edito da Newton Compton -, lavoro che ha coinvolto numerosi esponenti del mondo universitario, economico e finanziario.

«Faccio, su questo argomento, quello che è nelle mie possibilità: sensibilizzare l’opinione pubblica. L’obiettivo di questo libro è la più ampia divulgazione dell’informativa sul debito e sulle sue gravi criticità, per far crescere il senso di responsabilità sul tema. Cercheremo di  divulgarlo attraverso tutti i media, dalla tv ai social ai giornali, nelle scuole».

Quella sul debito non è però l’unica mission della Fondazione Ave Verum e del suo proattivo fondatore. Oltre a promuovere approfondimenti su modelli di sviluppo sostenibile la Fondazione sostiene iniziative benefiche, ed è sorretta da solide determinazioni di chi vi partecipa.

«La Fondazione è un modo per realizzare una perequazione, essendo più fortunato di altri», spiega Rinaldi. «Siamo in un mondo in cui sia il capitalismo che il comunismo hanno fallito, l’egoismo e l’individualismo dilagano, aumenta la distanza tra persone ricche e bisognose. Anche se c’è stato un miglioramento su molti aspetti, dalla tecnologia, alla sanità, ai diritti civili, aumentano in modo sempre crescente le distanze sociali e il tema della redistribuzione si impone. Così, pur continuando nella mia attività di imprenditore assicurativo, ho deciso di affiancare ai miei impegni questa fondazione, che ho chiamato Ave Verum per citare l’incipit di un inno religioso sul mistero dell’eucarestia suonato anche da un magnifico mottetto di Mozart. Con questo nome ho inteso raccogliere l’invito degli ultimi pontefici sull’importanza della memoria delle radici cristiane che caratterizzano in particolar modo l’Europa e il nostro Paese».

Non sarebbe bastato fare delle donazioni alle tante organizzazioni che già operano nella beneficenza o nel volontariato?

«Una fondazione è un impegno che richiede attenzione, gestione amministrativa e partecipazione diretta. Farla nascere ha voluto in qualche modo creare un obbligo e richiamare l’attenzione anche dei miei figli, sperando che possa diventare un impegno duraturo».

Nello statuto della Fondazione c’è l’attività benefica e c’è la cultura e la ricerca. Perché è partito proprio dal tema del debito? Proprio ora che anche Mario Draghi invita l’Europa a fare più debito…

«Draghi parla di debito buono e di debito comune di livello europeo, di eurobond, di un’Europa che deve federarsi e smettere di farsi bloccare dal no di questo o di quello, ma scegliere di andare avanti a maggioranza. Ma guardiamo ai conti del nostro paese: pagheremo nel 2024 88 miliardi di euro di interessi sul debito, supereremo i 100 miliardi nel 2026 e possiamo investire in sanità solo 3 miliardi, ricorrendo ad ulteriori deficit per infrastrutture di varia natura tra cui il ponte sullo stretto di Messina».

Lei usa la logica del buon padre di famiglia, ma un paese come l’Italia ha comunque bisogno di infrastrutture, che servono per attirare investimenti.

«Quando deve cercare chi sottoscriva quasi 400 miliardi di debito pubblico, come quest’anno, c’è bisogno di un supplemento di senso di responsabilità. Perché sopra tutto c’è il mercato che comanda: le agenzie di rating ci attribuiscono la tripla B, ma se andiamo giù di uno-due punti i titoli italiani diventano spazzatura. Questo vuol dire che i fondi internazionali non possono più investire nel debito italiano, lo spread facilmente può rialzare la testa, e creare nella migliore delle ipotesi situazioni da manovra Amato del 1992, con la tassa notturna sui depositi, o da governo Monti del 2012, con la inevitabile mannaia su pensioni e welfare. Possiamo avere un governo di centro, di destra o di sinistra, ma per il mercato non fa differenza: se non si riduce il debito, le cose da fare sono quelle. La nostra classe dirigente ha scelto che sia il mercato il vero padrone delle nostre vite».

Siete operativi dal 2023, lei è affiancato nella Fondazione da Federico Pascucci, che è stato segretario generale dell’ABI e oggi svolge analogo incarico presso le tre Fondazioni promosse dalla stessa Associazione e dall’avvocato cassazionista Vittorio Versace. Si aspetta contributi esterni?

«È una scelta autonoma e personale, ma ovviamente qualunque contributo è ben accetto, anche non strettamente di natura economica, come hanno fatto i numerosi professori ed illustri economisti che ci hanno affiancato per mesi nella preparazione del libro sul debito pubblico. Recentemente, proprio per uno dei progetti che stiamo seguendo, mi sono trovato di fronte ad un importante supporto economico, inaspettato, di una primaria banca. Nel sito c’è la possibilità di donare».

I bisogni sono tanti, lei avrà la fila fuori della porta.

«Come metti il naso fuori dalla tua “comfort zone” ti rendi conto della disparità crescente creata dal nostro mondo contemporaneo e ti imbatti in situazioni inaccettabili. Una mia cara amica, Provveditore alle carceri, mi ha segnalato un istituto penitenziario in cui donne e figli minori vivono in una situazione di grande disagio perché mancano persino infissi funzionanti. Così è nato il progetto carceri. Poi c’è il progetto in Brasile che coinvolge 120 ragazzi e le relative famiglie, quello a Nairobi, che coinvolge 450 ragazzi e relative famiglie. A Betlemme, tramite la Fondazione Pro Terra Sancta, collaboriamo a un progetto di formazione dei ragazzi a cui insegniamo lo spagnolo e l’italiano per renderli liberi, potenzialmente, di emigrare, collaboriamo con la Fondazione di Don Gino Rigoldi per le borse di studio per i ragazzi meno abbienti di Milano e così via. L’importante è poter incidere in maniera certa e più diffusa possibile».

La fede è un dono. Lei viene da una famiglia religiosa?

«Mia madre sì, mio padre no, anche se ha vissuto senza ignorare, ritengo, uno solo dei comandamenti del Vangelo. Io credo che in ogni cosa che uno fa, se mette al centro Cristo lo fa meglio e la vita è più bella, ha più senso. Credo sia preferibile vivere il Vangelo, ma senza diventare bigotti, testimoniandolo per quanto possibile e senza invadere la sfera altrui: una vita normale, ma in cui uno degli aspetti centrali è il Trascendente e lo sforzo a migliorarsi. Ciò detto, la Fondazione Ave Verum è una fondazione laica aperta ad ogni professione di fede e ad ogni persona con progetti che possano migliorare la vita dei meno abbienti».

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